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Iraq: la Pax americana

di Carlo Lupo - 20/03/2007



E’ il 2002, febbraio: l’ambasciatore Joseph Wilson viene inviato dalla Cia in Niger con l’incarico di accertare se l’Iraq stia tentando di acquistare uranio per i suoi programmi nucleari; così non è, le “indicazioni” fornite dagli alleati italiano non hanno nessun fondamento. Sua moglie è un’agente Cia, si chiama Valery Plame e pagherà salata la testardaggine del marito che, pochi mesi dopo l’inizio dell’occupazione, rivelerà ai media americani l’infondatezza delle accuse statunitensi all’Iraq.
Eppure è tutto pronto: l’attacco al popolo iracheno è già stato pianificato, bisogna soltanto convincere l’opinione pubblica che Saddam Hussein è pronto a utilizzare chissà dove micidiali armi batteriologiche. Tutti i media politically correct sostengono l’amministrazione Bush nella guerra preventiva al terrorismo. Non importa se dietro tutto ciò si nascondono affari illegali, mire geopolitiche, il petrolio, il gas: i benpensanti del mondo occidentale, come in un grande Colosseo virtuale, incitano il presidente degli Stati Uniti al pollice verso. New York non è Roma e Bush non si lascia pregare: è esattamente ciò che vuole.
E’ il 28 gennaio 2003: il presidente americano in un discorso ufficiale afferma dinanzi al mondo che in Iraq vi sono laboratori di armi chimiche e mette così in moto la macchina bellica. E’ sostenuto da tutti, falchi e colombe, e anche dai democratici. Nessuno si oppone apertamente, al massimo si contestano le modalità: per i democratici sarebbe stato meglio scaricare sul popolo iracheno micidiali colpi dal cielo, loro li chiamano bombardamenti umanitari. Ai tempi di Bill Clinton sono stati sperimentati un po’ ovunque, a partire dalla Serbia per finire sullo stesso Iraq.
E’ la notte fra il 19 e il 20 marzo, si dà il via ufficiale all’invasione del territorio iracheno. Sono più di dieci anni che il popolo iracheno è sotto embargo. Il mondo civile occidentale specula sulle medicine: in cambio vuole petrolio. La resistenza è vana, la Guardia Repubblicana irachena entra in clandestinità.
E’ il primo maggio del 2003 quando il presidente americano Bush proclama concluse le operazioni militari e annuncia la vittoria. Gli alleati affluiscono come topi su una fetta di formaggio, sorgono le basi militari accanto ai pozzi petroliferi e agli oleodotti: le chiamano missioni umanitarie. L’occupazione si trasforma in guerra civile. E’ un semplice tentativo per dividere un popolo che resiste fiero all’invasione; e l’impiccagione di Saddam Hussein ne è la prova.
Qualcuno comincia a parlare di nuovo Vietnam, è evidente che gli Stati Uniti non hanno vinto. Non basterà un film, questa volta, per cambiare la storia. Il sentimento antiamericano infiamma il popolo iracheno.