La lezione di Tocqueville
di Eric Werner - 23/03/2007
Fonte: centrostudimeridie
Democrazia, libertà, partecipazione
Come è noto, Tocqueville ha parlato molto della democrazia, soprattutto
di quella in America, ma non solo: anche della democrazia in Europa.
Infatti (e questa è la sua grande intuizione, che giustifica l’appellativo di
veggente che alcuni gli hanno attribuito
1), Tocqueville ha compreso moltopresto che l’Europa era attesa esattamente dallo stesso destino
dell’America. Questo è il messaggio de
La democrazia in America.Ribaltando la prospettiva tradizionale (difesa ancora, nel secolo
precedente, da Montesquieu), che associava la democrazia ad uno stato di
cose ormai trascorso (le città-stato dell’antica Grecia), Tocqueville
dimostra che la democrazia non è soltanto legata al passato, ma è riferibile
anche al presente. La democrazia non è che l’altra faccia della modernità.
La modernità
è la democrazia. Ne La democrazia in America, Tocquevillenon si accontenta dunque, da etnologo, di descrivere le particolarità del
sistema politico americano; il suo libro ha una portata più generale.
Attraverso il prisma americano, è la democrazia stessa che si svela nella
sua essenza più profonda. La democrazia in America è lo specchio
attraverso il quale gli Europei possono leggere il loro avvenire. È
necessario, però, intendersi sul senso che Tocqueville dà alla parola
democrazia. Secondo lui, la democrazia non si definisce in primo luogo
con il riferimento alla
libertà, bensì all’eguaglianza. È l’eguaglianza lanozione fondamentale. Detto in altro modo, il contrario della democrazia
non è il dispotismo (ci torneremo più avanti), ma l’aristocrazia. Per
aristocrazia bisogna intendere l’insieme di quelle società definite
1
Marc Fumaroli, Chateaubriand. Poésie et Terreur, Éditions de Fallois, Paris 2003, p.736. L’ultimo capitolo dell’operaè consacrato ai rapporti tra Chateaubriand e Tocqueville ( Tocqueville era il nipote acquisito di Chateaubriand ).
1
tradizionali, come ad esempio la Francia dell’Ancien Régime. Tocqueville
parla, quanto a lui, di società di
caste (occasionalmente anche di classi).Ma è la stessa cosa. In queste società molto gerarchizzate e ripartite, i
privilegi della classe superiore hanno un carattere ereditario, cioè si
trasmettono di generazione in generazione. Gli uomini appartenenti alle
classi inferiori non accedono che difficilmente a quella superiore. La
democrazia, in realtà, non ignora le classi sociali. Anch’essa è un sistema
di caste (o di classi), ma (ed è questo il punto più importante)
senzaprivilegi ereditari
. Dal punto di vista giuridico, tutti gli individui sonoposti sullo stesso piano. In concreto, ciò significa che le sole ineguaglianze
ancora sussistenti sono quelle legate al denaro. Tutte le altre sono
scomparse.
Questa antitesi tra democrazia e l’Ancien Régime costituisce
l’articolazione centrale de
La democrazia in America, in qualche modo ilsuo “filo rosso”. Tocqueville, giocando su effetti di contrasto, mostra i
numerosi sviluppi della democrazia, in particolare nella seconda e terza
parte del secondo volume, quella che è stata definita la « seconda »
Democrazia in America
(apparsa nel 1840).La democrazia non viene naturalmente dal nulla. Per Tocqueville, essa si
inscrive al termine di una lunga evoluzione storica, che egli fa risalire al
Medio Evo, più esattamente al XII secolo: « Seguendo lo svolgersi della
nostra storia, non riusciamo a trovare in settecento anni un solo
avvenimento che non abbia contribuito al progresso dell’eguaglianza »
2.Egli non esita, a questo proposito, ad evocare i disegni della Provvidenza:
« Lo sviluppo graduale dell’eguaglianza delle condizioni è dunque un fatto
provvidenziale; ne ha i principali caratteri: è universale, è duraturo, sfugge
alla potenza umana »
3. Tocqueville afferma così di aver scritto il suo libro2
Tocqueville, De la démocratie en Amérique, Gallimard, Parigi 1961, t. I, p. 3.3
Ibid., p. 4. Molti cristiani, all’epoca di Tocqueville, combattevano la democrazia. Volendogli credere, essa era operadel diavolo. Tocqueville conosceva bene questa disposizione spirituale, in quanto essa apparteneva al suo ambiente
familiare, l’ambiente legittimista. Adesso egli, giustamente, se ne distanzia. Ne
L’Ancien Régime et la Révolution, altrasua grande opera, di una ventina d’anni posteriore a
De la démocratie en Amérique, egli scrive « Credere che le società2
« sotto l’impressione di una sorta di terrore religioso », terrore generato
nella sua anima « dalla vista di questa rivoluzione irresistibile che avanza
attraverso i secoli »
4. In altri termini, si è in presenza di una pesantetendenza della storia umana, alla quale sarebbe vano opporsi: « È dunque
saggio credere che un movimento sociale che ha origini così lontane possa
essere arrestato dagli sforzi di una generazione? È possibile che dopo aver
distrutto la feudalità e vinto i re, la democrazia indietreggi davanti ai
borghesi ed ai ricchi? Si arresterà proprio ora che è diventata così forte e i
suoi avversari così deboli? »
5.È quindi evidente che la democrazia non ha un carattere statico, ma è
riconducibile ad un processo evolutivo, volto all’eliminazione di
ogniineguaglianza
, e ciò in tutti i campi, compresi quelli originariamente“risparmiati”, come il campo economico. In questo senso, la democrazia è
sempre in movimento, più esattamente essa è tutt’uno con il movimento
stesso della storia, il quale non si arresterà che quel giorno in cui tutte le
ineguaglianze saranno scomparse. Come a dire che non si arresterà mai.
Poiché, evidentemente, ci saranno
sempre delle ineguaglianze dacombattere, quello della democrazia è un compito senza fine. Se pure
alcune ineguaglianze, come quelle che sono opera dell’uomo, possono
essere eliminate, cosa ne sarebbe delle altre, di quelle radicate in natura?
Esse, palesemente, sono ineliminabili: tutto ciò che si può fare,
eventualmente, è nasconderle. Ma occultarle è una fatica di Sisifo: bisogna
sempre ricominciare. E questo è il compito che caratterizza la democrazia
e che le conferisce legittimità. La democrazia non trae la sua legittimità dal
fatto che dà la parola al popolo (può tranquillamente non concedergliela o
fingere di farlo, falsificandone l’espressione, filtrandola, contraffacendola,
democratiche siano naturalmente ostili alla religione significa commettere un grande errore: niente nel cristianesimo né,
allo stesso modo, nel cattolicesimo, è in assoluto contrario allo spirito di queste società, e parecchie cose vi sono molto
favorevoli » (
L’Ancien Régime et la Révolution, Gallimard-Folio, Parigi 2002, p. 64). Se egli non dice precisamente chelo sviluppo graduale dell’eguaglianza è imputabile all’influenza cristiana, suggerisce nondimeno il fatto che esista un
legame tra cristianesimo e democrazia.
4
Ibid.5
Ibid.3
manipolandola, ecc.), ma dal fatto che essa combatte l’ineguaglianza sotto
ogni sua forma.
Libertà degli Antichi e libertà dei Moderni
Ritorniamo adesso alla libertà. Per mettere meglio in risalto l’originalità
delle vedute di Tocqueville in materia, faremo riferimento ad un testo di
Benjamin Constant, la sua celebre conferenza sulla libertà degli Antichi
paragonata a quella dei Moderni, del 1819. Constant sviluppa la tesi
secondo cui ciò che noi, ai giorni nostri, chiamiamo libertà non ha niente a
che vedere con ciò che gli antichi,
loro, definivano con questa parola. Allimite, le due concezioni sono antinomiche. « Il fine dei moderni, egli dice,
è la sicurezza nei godimenti privati; ed essi chiamano libertà le garanzie
accordate dalle istituzioni per questi godimenti »
6. La libertà dei Modernisi identifica dunque con l’indipendenza individuale, nel senso che lo Stato
garantisce «la sicurezza dei godimento privati ». È sulla parola
godimentiche bisogna richiamare l’attenzione. La libertà dei Moderni è dominata
dall’edonismo. Ora, gli Antichi davano alla parola libertà un senso del tutto
differente. Per libertà essi intendevano la « partecipazione attiva e costante
al potere collettivo »
7. È una nozione molto distante da quella diindipendenza individuale. Gli Antichi, rileva Constant, ammettevano,
come compatibile con questa libertà collettiva, l’assoggettamento completo
dell’individuo all’autorità del gruppo
8.Partendo da ciò, Benjamin Constant se la prende con coloro che, come
Rousseau, hanno voluto resuscitare la libertà degli Antichi nell’epoca
moderna. Egli evidenzia, in primo luogo, che la partecipazione al potere
collettivo non merita realmente tale nome se non nel caso in cui la
collettività non superi una certa dimensione. Infatti, più una comunità si
6
Benjamin Constant, De la liberté des Anciens comparée à celle des Modernes, in De la liberté des Modernes, LeLivre de Poche, Pluriel, Parigi 1980, p. 502. Ne
L’Esprit de Lois(XI,6), Montesquieu scriveva già « La libertà politicain un cittadino è quella tranquillità dello spirito che proviene dall’ opinione che ognuno ha della sua sicurezza».
7
De la liberté des Modernes,op. cit., p. 501.8
Ibid., p. 4954
ingrandisce, meno, necessariamente, ciascun individuo esercita influenza
sull’insieme: « L’estensione di un paese diminuisce di molto l’importanza
politica che tocca a ciascun individuo. Il repubblicano più oscuro di Roma
e di Sparta aveva un potere. Non così il semplice cittadino della Gran
Bretagna o degli Stati Uniti »
9. Constant insiste anche sul fatto che icittadini manchino, oggigiorno, del tempo per occuparsi degli affari
pubblici. Essi sono completamente assorbiti dalle loro occupazioni private.
Nell’antichità, i compiti della vita quotidiana erano affidati agli schiavi, e
dunque il problema non si poneva. I cittadini, se lo desideravano, potevano
passare l’intera giornata nella piazza pubblica a discutere di politica. Ora,
con la scomparsa della schiavitù, questa possibilità non esiste più.
Rousseau pecca quindi di anacronismo, poiché egli non ha minimamente
compreso la sua epoca.
Qual è la posizione di Tocqueville all’interno di questo dibattito?
Innanzitutto, egli fa la stessa constatazione di Benjamin Constant, e cioè
che le persone oggigiorno hanno sempre di più la tendenza a ripiegarsi su
loro stesse e, dunque, anche a privilegiare i “godimenti privati”.
Tocqueville, però, si dimostra ancora più preciso: « Gli uomini che vivono
in tempi democratici hanno molte passioni; ma la maggior parte delle loro
passioni provengono dall’amore per le ricchezze o vi conducono »
10. Ma seConstant aderisce senza riserve a questa tendenza, Tocqueville si mostra
molto più critico. Egli non è per principio ostile all’individualismo, ma
nello stesso tempo si impegna a mostrarne le incongruenze. La prima di
queste è legata alla nozione stessa di individualismo. Essa infatti rivela
subito i suoi limiti. « Nelle democrazie, rileva Tocqueville, tutti gli uomini
sono simili e fanno cose pressappoco simili »
11. L’individualismo, guardatoda vicino, non è che l’altra faccia del mimetismo sociale. Le persone si
9
Ibid., p. 498.10
Tocqueville, De la démocratie en Amérique, op. cit., t. II,p. 236.11
Ibid.5
imitano reciprocamente, e perciò si individualizzano. O l’inverso: più esse
si individualizzano, più sono portate ad imitarsi vicendevolmente.
In breve, l’individuo non esiste. Crediamo che esista, ma egli non c’é. È
una conchiglia vuota. Da qui la
noia che ispira la vista di una siffattasocietà: « Dopo aver contemplato per qualche tempo questo quadro così
instabile, lo spettatore si annoia »
12.Gli uomini degradati sotto un dolce dispotismo
L’altra
impasse è quella del dispotismo. È il tema del famoso capitolointitolato « Quale tipo di dispotismo devono temere le nazioni
democratiche », in cui Tocqueville mostra che la ricerca del piacere e
dell’agiatezza conduce gli individui, del tutto naturalmente, a rinunciare
alla loro indipendenza per rimettere allo Stato dell’assistenza il compito di
risolvere l’insieme dei problemi legati alla sete di piacere. Infatti, chi più
dello Stato è nella posizione di rispondere alle aspettative dei cittadini in
questo campo? « Voglio immaginare sotto quali nuovi tratti il dispotismo
potrebbe riprodursi nel mondo: io vedo una folla innumerevole di uomini
simili e uguali che girano senza riposo su loro stessi per procurarsi dei
piccoli e volgari piaceri con i quali riempiono la loro anima […]. Al di
sopra di questi si eleva un potere immenso e tutelare che da solo si incarica
di assicurare il loro godimento e di vegliare sulla loro sorte […]. Esso ama
veder gioire i cittadini, purché essi pensino solo a divertirsi. Lavora
volentieri per la loro felicità; ma ne vuole essere l’unico agente e il solo
arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede ed assicura i loro bisogni,
facilita i loro piaceri, dirige i loro principali affari, le loro industrie, regola
le successioni, divide le eredità; ciò non può liberarli del tutto
dall’agitazione e dalla pena di vivere »
13.12
Ibid.13
Ibid., p. 324. « Una folla innumerevole di uomini simili che girano senza riposo su sé stessi per procurarsi dei piccolie volgari piaceri», dice Tocqueville. Come non ricordare Nietzsche? «Noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli
ultimi uomini, e ammiccano » (
Così parlò Zarathustra, prologo § 5).6
Un tale regime, se non si confonde esattamente con il dispotismo
tradizionale, non merita meno di essere qualificato come dispotico. È,
come spiega Tocqueville, una nuova
specie di dispotismo, concaratteristiche diverse rispetto a quello antico. « È più esteso e più dolce,
degrada gli uomini senza tormentarli »
14.Non si arriverà qui a sostenere che Benjamin Constant non abbia mai
affrontato questo tema. Sempre nella sua conferenza sulla libertà degli
Antichi paragonata a quella dei Moderni, egli attribuisce ai depositari
dell’autorità queste parole: « Qual è in fondo lo scopo di tutti i vostri
sforzi, il motivo dei vostri lavori, l’oggetto delle vostre speranze? Non è la
felicità? Ebbene, questa felicità, lasciateci fare, e noi ve la daremo »
15. MaConstant non si sofferma sull’argomento, lo sfiora soltanto. La sua
attenzione, ancora una volta, si concentra su altro, innanzitutto sui rischi
legati alla volontà di resuscitare la libertà degli Antichi, rischi che si sono
per la prima volta, secondo lui, concretizzati all’epoca della Rivoluzione
Francese. Constant teme infatti che la storia si ripeta, teme un ritorno al
1793. Tocqueville ragiona diversamente. Contrariamente a Constant, non
crede possibile un ritorno del Terrore. Egli stesso afferma, ne
Lademocrazia in America
, che le nazioni democratiche non amano lerivoluzioni
16. La vera minaccia, secondo lui, è un’altra: la propensionetipica dell’uomo democratico ad affidarsi interamente allo Stato
dell’assistenza per realizzare la sua pretesa “felicità”.
Dove Tocqueville si contrappone a Benjamin Constant
È interessante questa contrapposizione tra Tocqueville e Constant. Essa
mette a confronto due padri fondatori del pensiero liberale, che in realtà
difendono posizioni molto distanti tra loro. Per Constant, l’individualismo
14
Ibid., p. 323.15
Benjamin Constant, De la liberté des Modernes , op. cit., p. 513.16
« Non soltanto gli uomini delle democrazie non desiderano naturalmente le rivoluzioni, ma essi le temono» (De ladémocratie en Amérique,
op. cit., t. II, p. 259). In questo senso gli avvenimenti del 1848 lo prenderanno in contropiede.Cfr. su questo punto la prefazione di Claude Lefort ai
Souvenirs di Tocqueville (Gallimard-Folio, Parigi 2004).7
è in sé una cosa buona e si identifica con la libertà dei Moderni, legata alla
ricerca del piacere e dell’agiatezza. Essa procede di pari passo con lo
sviluppo del commercio e dell’industria. Per Constant tutto ciò è positivo,
ed egli vorrebbe che si procedesse ancora più lontano in questa direzione.
È uno strenuo difensore di ciò che oggi si chiamerebbe liberalismo
economico. Certamente, egli segnala un rischio, la possibilità che i
depositari dell’autorità strumentalizzino la ricerca del piacere e
dell’agiatezza. Dal semplice “lasciar fare”, si scivola agevolmente nel
“lasciateci fare” (lasciateci fare, ci si occupa di tutto). Ma non è questo,
secondo lui, il pericolo principale. Quest’ultimo, per dirlo in una frase, non
viene dall’individualismo, bensì da un’eventuale reazione antiindividualistica,
quella consistente nel volere, contro ogni ragione,
resuscitare un modello anacronistico di società, modello ove l’individuo,
nonostante la sua partecipazione al potere collettivo, non sarebbe che una
frazione della totalità sociale.
Tocqueville pensa esattamente l’inverso. Egli ritiene che bisogna porre
dei limiti all’individualismo, vegliare in particolare sul fatto che gli
individui non sacrifichino ogni cosa per la ricerca del piacere e
dell’agiatezza. Ma come si può fare ciò? Troviamo a questo punto la
libertà-partecipazione. Uno degli argomenti invocati da Constant per
sostenere la tesi secondo cui la libertà degli antichi non era trasferibile
nell’epoca moderna era, come si ricorderà, l’eccessiva dimensione degli
Stati moderni, nel senso che « l’estensione di un paese diminuisce di molto
l’importanza politica che tocca a ciascun individuo ». Ora, in una certa
misura, il federalismo permette di aggirare l’ostacolo. L’argomento della
maggiore dimensione degli Stati moderni non vale che per gli Stati unitari,
la Francia ad esempio, in cui il potere è molto centralizzato. Qui
effettivamente sorgono dei problemi. Ma la situazione è differente negli
Stati
non unitari, ove il potere è decentralizzato. In questi Stati tali8
problemi non si pongono proprio perché il potere è decentralizzato. Ci si
trova di fronte a grandi Stati, ma allo stesso tempo anche a Stati in cui i
cittadini partecipano attivamente al potere collettivo, a tutti i livelli della
federazione.
Si spiega così, senza contraddizione, l’ammirazione che Tocqueville
nutre verso il sistema politico americano. Questa ammirazione è
inseparabile dalla percezione acuta che aveva Tocqueville dei vicoli ciechi
a cui conduceva l’individualismo e della necessità di trovare una via
d’uscita. Infatti, in una certa misura, la libertà-partecipazione ne costituisce
una: « Quando i cittadini sono costretti ad occuparsi degli affari pubblici,
sono necessariamente sottratti ai loro interessi individuali e strappati, da un
momento all’altro, alla vista di sé stessi »
17. Tocchiamo qui il cuore stessodella politica tocquevilliana. Come Benjamin Constant, Tocqueville è
legato alla libertà dei Moderni, ma, contrariamente a quest’ultimo, egli
pensa che la libertà dei Moderni non basti a sé stessa. Essa è vitale solo se
si appoggia sulla libertà-partecipazione, libertà che ha di prezioso il fatto
che obbliga l’individuo a prendere in considerazione
altri interessi, nonsoltanto i propri. Strappandolo a se stesso, questa libertà lo spinge
all’altruismo. In ciò, la libertà-partecipazione fa da utile contrappeso alla
ricerca esclusiva del piacere e dell’agiatezza. Questa ricerca certamente
permane, ma perde il suo carattere esclusivo, e quindi anche ossessivo.
Questo è, se lo si vuole, un ritorno alla libertà degli Antichi, ma senza gli
slittamenti della Rivoluzione Francese; infatti, la libertà degli Antichi è qui
accuratamente inquadrata e regolamentata, in qualche modo
raffreddata.Quindi non c’è da temere nessuno slittamento.
Pertanto, si discerne meglio ciò che è proprio della democrazia nei suoi
rapporti con la libertà. Tocqueville vede nell’individualismo il tratto
dominante dell’età democratica. Ora, egli sostiene che l’individualismo
abbandonato a sé stesso conduce al dispotismo. È quindi la democrazia
17
De la démocratie en Amérique,op. cit., t. II,P. 109.9
stessa
a condurre al dispotismo, è questa la sua inclinazione naturale. Maessa, per l’esattezza, non vi è
condannata. È ciò che dimostra il sistemapolitico americano. Il sistema americano interviene come un
correttivo perimpedire alla democrazia di obbedire alla sua logica, che è quella di
tendere al dispotismo. È per effetto di questo intervento che la natura viene
corretta. Tocqueville insiste molto su questo punto. Non è la natura, bensì
l’arte che impedisce alla democrazia di precipitare nel dispotismo.
Tocqueville è condotto così, al contrario di Constant, a rivalutare la libertà
degli Antichi, ma a rivalutarla rifacendosi ad un’altra esperienza, rispetto a
quella a cui si era rifatto Constant nella sua opera sulla libertà degli Antichi
paragonata a quella dei Moderni: non più dunque alla Rivoluzione
Francese (esperienza, effettivamente, poco concludente), bensì alla
democrazia in America. È questo tipo di democrazia, secondo Tocqueville,
che permettere di mostrarsi relativamente ottimisti in questo campo.
In breve, tutto ciò che si può dire sulla democrazia, Tocqueville si è più o
meno sforzato di dirlo. Se non ha esattamente esaurito l’argomento, ne ha
esaminato in compenso quasi tutti gli aspetti. Egli non è né a favore né
contro la democrazia; si accontenta di descriverla così come è, senza una
presa di posizione particolare. Il suo stile è quello di Montesquieu, sempre
sobrio, parco dei suoi mezzi. L’emozione non è completamente assente,
ma, come ha rivelato Marc Fumaroli, essa non ha nulla di invadente. La
sua funzione è soprattutto retorica. Essa concorre ad « ottenere l’assenso
del lettore »
18.Per il resto, Tocqueville non ha mai ceduto alla tentazione passatista.
Egli è il contrario stesso di un nostalgico, e sa che non si tornerà più
indietro. Ma si può fare in modo che le cose avvengano in maniera
migliore di come accadrebbe se fossero abbandonate a loro stesse. Perciò
bisogna arginarle, canalizzarle. È una metafora che torna spesso in
Tocqueville. Se non è in potere dell’uomo far risalire il fiume alla fonte,
18
Marc Fumaroli, Chateaubriand. Poésie et Terreur, op. cit., p. 728.10
egli può almeno prevenirne alcune piene, orientarne il corso affinché non
devasti ogni cosa al suo passaggio.
Cosa direbbe Tocqueville dell’attuale regime occidentale? Vi
riconoscerebbe ancora la “democrazia in America”? Per certi versi, sì. Mai,
ad esempio, le persone si son così tanto imitate come oggi. Almeno su
questo punto la continuità è evidente. Si sta sempre bene in democrazia.
Chi pretenderebbe per di più che “l’amore per le ricchezze” oggi abbia
perso importanza? In questo momento è ancora la passione dominante. Su
altri aspetti, in compenso, si mostrerebbe più riservato. Cosa ne è, in
particolare, della partecipazione? Partecipazione o meno, le persone sanno
molto bene oggi che non hanno alcuna presa sull’andamento della società.
Esso sfugge loro completamente. Almeno su questo punto, Benjamin
Constant si è dimostrato miglior profeta di Tocqueville. Effettivamente, la
partecipazione non è che un mito. Tocqueville diceva che la partecipazione
strappava i cittadini “alla vista di loro stessi”
. Può essere che questoavvenisse ai suoi tempi. Oggi si insisterebbe soprattutto sul ruolo che gioca
la partecipazione nella moltiplicazione, a tutti i livelli della società, di
piccole nomenclature interstiziali e, di conseguenza, sul rafforzamento del
potere della nomenclatura considerata nel suo insieme.
In questo senso la libertà-partecipazione si integra al meglio con le forme
attuali di dispotismo, costituendone uno degli ingranaggi privilegiati.
ÉRIC WERNER
(
traduzione italiana di Francesco Fabio)11