Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I borghesi sempre più piccoli

I borghesi sempre più piccoli

di Vincenzo Cerami - 27/03/2007

 
Mentre a Milano si snoda il corteo per la sicurezza, a Roma comuni cittadini occupano molti palazzi vuoti nel centro. Sono fatti diversi e lontani, che tuttavia aprono una stagione inedita all’interno delle dinamiche sociali delle nostre città.
La discesa in piazza di gente fino a ieri «timorata di Dio» e l’atto di forza consumato nella capitale chiamano in gioco le cosiddette persone perbene, già classe piccolo borghese, definite sbrigativamente «maggioranza silenziosa».

C’era una volta la classe media
Qual era il loro ritratto fino a qualche tempo fa, almeno fino alla caduta del muro di Berlino? Il piccolo borghese era una persona di buoni sentimenti ma di principi labili e proteiformi, fortemente individualista, trasversale ai partiti politici, anche se tendenzialmente di destra, in quanto anticomunista; cattolico molto elastico; difensore della famiglia concepita come baluardo contro le avversità e la natura matrigna; conservatore per paura delle novità, sempre vissute come destabilizzanti, e di conseguenza diffidente, se non proprio ostile, verso il fenomeno immigratorio dai Paesi poveri; membro della comunità prima ancora che cittadino per l’abissale distanza dallo Stato, valore ignoto, spesso visto come autorità autonoma e autoreferenziale; rispettoso della legge in quanto dispensatrice di un’identità onesta.

La vita al tempo dell’instabilità
Già negli Anni Sessanta questo italiano, al confine tra solidità economica e precarietà, si è visto denudare del suo prestigio di classe (mai, ad esempio, il figlio di un insegnante o di un impiegato statale avrebbe aperto una macelleria). È successo quando le differenze non erano rappresentate più dalla cravatta o dal «pezzo di carta», ma dal denaro. L’omologazione ha mischiato le carte e ricomposto il quadro sociale secondo la logica economica. Oggi, nel grande minestrone di massa in cui vive, trova sempre meno puntelli per restare in piedi, riconoscersi in un ruolo e difendersi dalle mille insidie di un mondo che corre veloce verso la globalizzazione. Non ha più una costellazione di riferimento, mentre rimane intatta la poca fiducia verso le istituzioni, a partire, simbolicamente, dalle forze dell’ordine, che per definizione dovrebbero far vivere tranquilli. Fatica, giustamente, ad accettare la violenza urbana, la droga, la criminalità. E in più ha figli grandi in casa, destinati a eterna instabilità, dal futuro non più garantito, quindi minacciato dalle ristrettezze e permeabile al male. Nell’occupazione dei palazzi romani, per esempio, sono fianco a fianco extracomunitari di vecchia data e insegnanti o impiegati senza casa.

E l’uomo qualunque scende in piazza
Fino a ieri il piccolo borghese non è sceso in piazza e non ha mai preso possesso di stabili illegalmente. Dalla finestra osservava con distacco e pena persone povere e sfortunate che s’impadronivano di alloggi vuoti. Ora comincia a sentirsi l’ultimo gradino della scala sociale: sotto di lui ci sono solo gli immigrati e gli sbandati. E allora molte di quelle persone che stavano alla finestra hanno deciso di farsi valere.
Il pretesto è a Milano la mobilitazione contro la violenza, a Roma la scarsità e il costo delle case, ma la sostanza di queste azioni va al di là, ha ragioni più profonde, uno spessore culturale e sociale ben più preoccupante. La storia ci insegna che quando scende in strada la piccola borghesia (anche solo per protesta contro le tasse) il rischio di un terremoto è sempre ipotizzabile.