Giochi sacri
di Stenio Solinas - 27/03/2007
S
uleiman Isa, banditomusulmano di Mumbai,
non si stanca di rivedere in
videocassetta
Il Padrino.Gainesh Gaitonde, capomafia
indù e suo rivale nel
controllo della metropoli,
sceneggia e produce per Bollywood un
gangster-movie per lanciare la sua amante e
immortalare la propria vita sullo schermo.
Divisi, in parte dalla religione, ma soprattutto
dagli affari, entrambi sono alla ricerca
di un qualcosa che non tanto giustifichi le
loro scelte, quanto le spieghi, le renda
coerenti. Caos e crimine, pensano, non vanno
d’accordo e perché il secondo abbia un
senso, una logica, occorre che il primo non
regoli il mondo. Solo che per dare a quest’ultimo
un ordine bisognerebbe ripartire
ex novo, da zero...
In
Giochi sacri (Mondadori, 1183 pagine,22 euri), il fluviale romanzo di Vikram
Chandra, Suleiman Isa e Gainesh Gaitonde
non sono i soli che vorrebbero mettere ordine
nel mondo: ci sono i servizi segreti
indiani e quelli pakistani, gli strateghi internazionali
del terrorismo e gli analisti di
politica estera, burattini e burattinai che si
muovono su una scacchiera sempre più
dilatata e nella quale, spesso, ci si dimentica
di aver fatto una mossa, spostato o mangiato
una pedina... E poi, naturalmente, c’è
l’umanità quotidiana, quella che insegue i
propri sogni, cerca di pianificare la propria
vita e sempre e comunque per un inciampo,
una resistenza, una disattenzione, è costretta
a ricominciare da capo, a rivedere ciò che
è stato, a illudersi su ciò che potrà essere.
Sullo sfondo Chandra fa agire Mumbai, una
città vera, ma anche un’astrazione, l’epicentro
della modernità se la modernità vuol
dire la pressione incontenibile delle masse,
del capitalismo, dello sviluppo edilizio.
Quattordici milioni di abitanti, quanti ne fa
l’Australia tutta intera, prima al mondo per
popolazione, Mumbai di fatto è ingovernabile,
una fabbrica di illusioni, un volano di
ricchezza economica circondato dalla più
stridente, sconfortante e opprimente miseria:
metà della popolazione vive in baracche
o per strada, sotto i ponti, lungo le linee
ferroviarie, un uno spazio che non supera il
sei per cento dell’area metropolitana. E tuttavia
è proprio l’assenza di regole che in
qualche modo agisce da contrappeso, addomestica
gli eccessi. Così come la natura ha
paura del vuoto, l’animo umano teme il disordine
pur essendone attratto e produce
quegli anticorpi che ne permettono una
ammaccata sopravvivenza.
La differenza fra Gainesh Gaitonde, il
gangster imprendibile, e Sartaj Singh, il
poliziotto sikh che gli dà la caccia, non
sono poi così tante, sembra dirci l’autore, e
hanno poco a che fare con il mestiere che
hanno scelto. La corruzione delle forze dell’ordine,
così come della politica, in India è
abissale eppure ineludibile, una nazione
dove i partiti storici sopravvivono al governo
solo in virtù di alleanze sempre più
vaste, sempre più eterogenee, sempre più
instabili (negli ultimi quindici anni ci sono
stati sei elezioni politiche generali e sette
primi ministri, un numero maggiore che nei
precedenti quarant’anni di indipendenza,
governi in carica per una media di 18 mesi),
attori, malfattori e giocatori di cricket fanno
i deputati, i governatori o i ministri, nella
Lok Sabha e nella Rajya Sabha, rispettiva-
mente il Parlamento e il Senato federale, c’è
la più alta percentuale di inquisiti per reati
che vanno dal furto al ricatto, dal sequestro
di persona all’omicidio... Quella che è la
più grande democrazia del mondo proprio
perché tale è la meno efficiente, soggetta
com’è a veti, impedimenti, fazioni, che di
fatto la bloccano, ne impediscono il corretto
funzionamento. Quando la volontà popolare
è sovrana, ma gigantesca, è la sua dimensione
a renderla ingovernabile. Nessuno può
sperare di vincere attenendosi alle regole,
ma se tutti barano in qualche modo delle
regole vengono ristabilite... Allo stesso
modo, la polizia non è in grado di vincere la
lotta contro la criminalità in nome dell’onestà
contro la corruzione, perché la prima
parte svantaggiata rispetto alla seconda. Ma
una polizia che accetta di venire a patti, e
che spesso e volentieri mostra di non sapere
che cosa sia lo Stato di diritto, leggi, tribunali,
assistenza legale per gli imputati, corrompe
anche la malavita, la inserisce in un
gioco di premi e di alleanze che la normalizza
e quindi la istituzionalizza. Il killer di
ieri può divenire l'imprenditore di domani e,
perché no, è già avvenuto, debuttare felicemente
in politica.
Gaitonde e Singh, dunque, non sono il male
contro il bene. Entrambi uccidono, entrambi
usano le maniere forti, entrambi accettano i
compromessi. La differenza consiste nel fatto
che il primo ha una volontà di potenza
senza freni, ma soffre per la mancanza di
uno significato, un senso, e il secondo l’ha
incanalata in un universo di riferimenti
familiari che sicuramente la mortificano, ma
la rendono umana. Per uscire dall’impasse,
a Gaitonde occorre un guru che gli dica ciò
che deve fare, Singh se lo dice da solo.
A partire da questi due «eroi» Chandra snoda
così davanti al lettore una narrazione
fluente che assume via via la fisionomia di
un arazzo in cui la disordinata molteplicità
del mondo trova un suo inesplicabile e tuttavia
perfetto disegno. Amore, potere, guerra,
luoghi eterni della vita e del narrare, si
stampano pagina dopo pagina sul corpo del
vero protagonista del romanzo, Bombay,
ovvero l’odierna Mumbai, crogiolo di una
contemporaneità globalizzata che però porta
in sé, tenaci e antichissime, le proprie radici
d’oriente. È in questo intrecciarsi di antico e
moderno, di Est e di Ovest, che risiede del
resto uno dei motivi di fascino del romanzo.
Per molti versi Gainesh è comprensibile per
un lettore occidentale quanto lo poteva essere
il Vito Corleone del
Padrino di MarioPuzo. Ciò che resta fuori, forse, è la dimensione
secolarizzata della religione: al posto
di un cattolicesimo ridotto a superstizione e
pura ritualità, immaginette sacre, offerte
votive, cerimonie funebri, qui c’è la ricerca
spirituale affidata a un guru, un maestro, in
una cornice plurisecolare nella quale la
mancanza di una gerarchia favorisce e giustifica
la via individuale.
Nelle mille e passa pagine del romanzo
Chandra racconta un’india moderna eppure
eterna, le sue contraddizioni, le sue difficoltà,
i soprassalti d’orgoglio nazionale e di
risveglio religioso. Su quest’ultimo punto è
anche coraggioso e controcorrente, perché
sceglie di narrare un fondamentalismo hindù
che si traveste da integralismo musulmano
proprio per far ricadere su quest’ultimo
ogni colpa e ogni punizione. La sanguinosa
«Partition» che all’indomani dell’indipendenza
vide la nascita di due Stati basati su
due differenti credi religiosi, l’India e il
Pakistan, ciascuno contenente però al suo
interno una minoranza di fede diversa, è
ancora oggi un’eredità difficile da gestire,
foriera com’è di contrasti, tensioni, rancori
e odi accumulati, voglia di farla finita una
volta per tutte.
Grande spazio nel romanzo ha il cinema e
quel mondo
glamour che intorno a esso simuove: attrici, modelle, ricevimenti, droga,
sesso, alcol. Bollywood rimane una realtà
gigantesca, mille film all’anno, un indotto
lavorativo di tre milioni di persone, 100
milioni di spettatori a settimana, di cui sappiamo
in realtà poco, proprio perché ciò che
arriva sui nostri schermi ne è la versione
edulcorata e occidentalizzata, laddove nel
suo elemento più classico, l’insieme di
musica, sentimento e azione, è lo specchio
fedele dell’animo indiano.
Pur nella sua grandezza, Gainesh Gaitonde
non è una figura tragica. È feroce, infantile
e vendicativo, ha una sua epicità, ma gli
manca quella coscienza di sé stesso o quell’assenza
totale di coscienza, che è alla base
dei «villain», i grandi cattivi dello schermo,
del romanzo e in fondo della vita. È ossessionato
dal denaro prima, dal sesso poi, ma
darebbe l’uno e l’altro per un “Io” che lo
soddisfi e in cui si possa veramente riconoscere.
Morirà suicida, chiuso in un bunker
antiatomico che si è fatto costruire a Mumbai,
incapace di accettare «l’ordine nucleare
» che il suo guru vorrebbe imporre come
svolta della storia, nostalgico di quel caos
metropolitano da cui, combattendo, aveva
cercato di uscire.