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Sovranità: l'abuso della lingua inglese

di Gian Franco Spotti - 30/03/2007

 
Nel mezzo di un’Europa degradata ed imputridita che sta scivolando verso un’anarchia sociale oscurantista, dominata dalla dittatura del liberismo economico, l’Italia primeggia, unica nel continente, per l’abuso della lingua inglese nella comunicazione di massa.
Conduttori televisivi, personaggi dello spettacolo, politici, economisti, giornalisti, artisti, per non parlare degli spazi pubblicitari, scimmiottano modi di dire di matrice anglo-americana, lasciando intendere al disarmato spettatore che la società sta facendo un salto di qualità mentre invece sprofonda nell’ignoranza nell’immane sforzo di conformarsi alla nuova cultura che prevede l’uso dell’inglese ovunque.

La cosa penosa è che quasi nessuno di questi personaggi conosce lingue straniere e quello che pronunciano altro non è che una serie di parole che imparano a memoria svendendole poi come bagaglio culturale.
Per quanto riguarda la politica, l’ultimo uomo di governo che parlava a politici e capi di stato stranieri in francese, inglese e tedesco, senza l’ausilio dell’interprete, fu Mussolini. Dopo di lui il vuoto pressoché totale. Fatte le debite e rare eccezioni, abbiamo avuto ministri degli esteri che non parlavano altro che italiano, la stessa cosa vale per primi ministri, ministri della difesa e presidenti della repubblica. Le reti televisive italiane non mostrano mai i nostri politici sfoggiare il loro bagaglio linguistico in sede europea perchè lo spettacolo sarebbe deprimente.

E così abbiamo un Veltroni che, anni fa, ad un congresso dei Ds fece fare un cartello con un logo che recitava “I care” (me ne importa), un Rutelli che interviene ad una conferenza sullo sviluppo economico dal titolo “pro growth” (pro crescita), i nostri politici dibattono certi argomenti durante il “question time” (spazio dedicato alle interpellanze), abbiamo un ministro del “welfare” (stato sociale), organizzazioni che si definiscono “no profit” (senza scopi di lucro), revisori dei conti che analizzano il “rating” (punteggio o valutazione), assessori comunali all’urbanistica che promuovo il “bike o car sharing” (noleggio cittadino di biciclette ed auto), supermercati dotati di “health corner” (angolo della salute, cioè quello spazio dove da qualche tempo si possono vendere medicinali), cantanti intervistati nel “backstage” (dietro le quinte), gli indici di ascolto che diventano “shares”, sceneggiati che ora si chiamano “fiction” per non parlare degli idioti “reality show”, l’allenatore in palestra è diventato un “personal trainer”, i travestiti dello spettacolo diventano “drag queen”, la nostra marca di automobili nazionale, nel lanciare un nuovo modello, alcuni mesi fa lasciava l’annuncio pubblicitario ad un attore americano che parlava solo inglese ma con sottotitoli in italiano (per una TV italiana è il colmo!). Ci sono poi giochi di memoria che si chiamano “brain training”, i dibattiti televisivi diventano “talk-shows”.

L’ultimo tormentone, insopportabile, è quello dove due noti calciatori scimmiottano la frase “life is now” (la vita inizia ora) pubblicizzando telefoni cellulari.
Chi vuole una bevanda alcolica con ghiaccio deve ordinarla “on the rocks” altrimenti il barista ci rimane male. E si potrebbe continuare a lungo.
L’italiano, la più bella e completa lingua esistente al mondo, viene snobbato inquinandolo con una lingua di una cultura lontana dalla nostra e che non ci appartiene.
Per quanto poi riguarda la Rai, pagare il canone per sentire i suoi personaggi rivolgersi a noi in un’altra lingua, è alquanto di cattivo gusto e indica maleducazione nei confronti della stragrande maggioranza dei cittadini.

Il tentativo di colonizzazione culturale americana va ben oltre: basta vedere la programmazione di film e telefilm sulle reti Rai, Mediaset e La7. Nella settimana dal 4 all’11 marzo ne sono stati programmati 221. Di questi ben 164 (il 74%) sono americani, 37 (il 16%) sono italiani ed i restanti 20 (il 10%) sono ripartiti fra Gran Bretagna, Germania, Francia ecc. Da questo calcolo sono state escluse telenovelas, cartoni animati e sceneggiati a puntate. Tutti segnali ignorati o sottovalutati ma che pongono l’Italia come il primo Paese europeo senza orgoglio, senza dignità ed eternamente in svendita.