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L'effetto serra siamo noi

di Sonia Savioli - 30/03/2007

 

Le “scorte” che ci hanno reso finora sicuri e ricchi: l’aria, l’acqua, la terra e tutte le creature annesse e connesse.
Il fattore omesso non si può più omettere: comincia a mancare. Scarseggia l’aria, scarseggia l’acqua, la terra si desertifica e viene erosa… Scompare l’inverno.
Sì, la somma era falsa. Il consumismo, tutta quella finta ricchezza, alimentata da una competizione che sta distruggendo anche i rapporti umani, stava consumando qualcosa di inestimabile: la vera ricchezza del pianeta e di noi tutti.
Per la prima volta nella storia dell’umanità, l’umanità ha raggiunto (potenti mezzi della scienza e della tecnica!) la capacità di distruggere le fonti della propria vita!
Questo è chiamato “progresso”. O “sviluppo”. O “crescita”. A proposito di cancro.
Però, per la prima volta nella storia dell’umanità, dato che siamo diventati “consumatori”, abbiamo anche il potere di salvarle, quelle fonti. Proprio noi, noi che ci sentiamo senza potere. Cioè “impotenti”.
Invece siamo noi, coi nostri consumi, la base del potere di quelle grandi aziende multinazionali che fanno le guerre, distruggono popoli e paesi, tirano i fili di governi burattini, radono al suolo in un soffio foreste grandi come nazioni, sbarrano fiumi, producono milioni di tonnellate di rifiuti tossici…
Siamo noi, con le nostre bottiglie di plastica piene di liquidi inutili o nocivi, coi nostri fazzolettini di carta e rivoli inarrestabili di carta igienica, con le nostre macchinone messe in moto per andare a prendere i figli a scuola due isolati più in là, con i nostri viaggi aerei in capo al mondo per andare ad annoiarci e a sentirci spaesati ma ricchi e “arrivati”, con i nostri aggeggi elettronici che ci servono a comunicare quel che non sappiamo più comunicare a voce… ecc. ecc.
Un esempio piccolo piccolo: Argentina e Uruguay stanno questionando a causa di una cartiera. La cartiera (gigantesca, naturalmente) la vuole mettere una multinazionale finlandese lungo un fiume, in Uruguay ma al confine con l’Argentina. Il fiume è importante per la cartiera: ci vuole tanta acqua pulita per la lavorazione della carta. Poi, dato che per fare la carta bianca e splendente si usa, tra l’altro, cloro e porcherie consimili, l’acqua torna nel fiume avvelenata.
Gli argentini, che stanno a valle, non gradiscono. E’ un loro fiume, un grande, limpido, bel fiume prezioso.
La multinazionale finlandese, oltre a sfruttare il fiume (in Finlandia non glielo lascerebbero inquinare), può sfruttare i lavoratori uruguaiani (in Finlandia potrebbe sfruttarli molto meno) e può distruggere gratis le foreste uruguaiane e farne carta (in Finlandia dovrebbe piantarli e allevarli, gli alberi da carta). E, fin qui, tutto chiaro a tutti.
E’ da questo punto in poi che noi consumatori ci perdiamo nelle nebbie.
Com’è che siamo arrivati ad avere delle multinazionali della carta? Com’è che la produzione di carta è diventata talmente importante da dar vita a colossi mostruosi che divorano fiumi e foreste?
Io una rispostina o due le tenterei.
Magari da quando usiamo i fazzoletti di carta “una soffiata e via”, al posto di quelli di stoffa che durano vent’anni. Magari da quando usiamo tovaglioli di carta “usa e getta”, rotoloni di carta per pulire una macchia di vino sul tavolo. Magari da quando comperiamo riviste che pesano due chili e mezzo, di cui due chili e tre etti sono di pubblicità. Magari da quando i bambini scrivono sui quadernoni invece che sui quaderni. Da quando ci asciughiamo con salviette di carta, mangiamo su tovaglie di carta, consumiamo grandi fogli per fotocopie stampati per un quarto dello spazio…
Siamo noi i clienti. Siamo noi i consumatori di fiumi e foreste. Nonché gli sfruttatori degli uruguaiani.
Sta a noi smettere di consumarli e possiamo farlo subito.

Gli scienziati più affidabili, cioè che non prendono soldi dai padroni del vapore né chiedono loro favori, dicono che abbiamo dieci anni di tempo per invertire la rotta.
E io ho fatto un ragionamento che magari non sarà scientificamente ortodosso, ma sicuramente è efficace: ho pensato che ogni consumo che riesco a ridurre, che riesco a far ridurre alle mie cugine, alle mie amiche, al Comune dove abito, agli insegnanti e agli scolari del paese dove abito e a chi più ne ha più ne metta, è qualche ora, qualche giorno, qualche settimana di tempo in più prima di arrivare all’irreversibile. Un po’ di tempo guadagnato per avere il tempo di invertire la rotta prima di precipitare nel gorgo inarrestabile. Così, mi sto dando da fare.
Se moltiplichiamo per milioni quelle ore, quelle settimane, la rotta si inverte.
Se valutiamo ogni cosa in base alle sostanze di cui è fatta, alle trasformazioni industriali che ha subito, ai trasporti che richiede, agli imballaggi in cui è contenuta, alla sua durata, alle conseguenze del suo uso, alla sua possibilità di ritornare alla fine nel ciclo della natura o di diventare rifiuto più o meno tossico, allora forse saremo di nuovo risparmiatori. Forse saremo persino di nuovo “contadini”, almeno nell’anima: cioè gente che comprende la natura e che intreccia con lei relazioni vitali, giovandosene senza “consumarla”.

Un’ultima cosa, talmente mostruosa che si fatica a crederci, ma io ve la passo come l’ho trovata: in Italia si consumano 300.000 tonnellate l’anno di plastica per i sacchetti della spesa.
Quante settimane, o forse mesi, ci farebbe guadagnare il risparmio di 300.000 tonnellate di plastica?