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Ricorsi: il Britannia in Banca d'Italia

di Filippo Ghira - 05/06/2007

 


L’ombra del Britannia aleggiava giovedì scorso alla Banca d’Italia nel corso della relazione finale svolta dal Governatore Mario Draghi. Il Britannia, il panfilo reale che il 2 giugno del 1992 salpò dal porto di Civitavecchia per una breve crociera fino all’Argentario e all’isola del Giglio e ritorno, nel corso della quale numerosi dirigenti delle Partecipazioni Statali, i cosiddetti “boiardi”, si dovettero sorbire una “lectio magistralis” da parte di diversi esponenti della City londinese, banchieri e avvocati, sulla necessità per l’Italia di aderire al sistema della moneta unica europea e sulla sempre impellente necessità di procedere alla parziale o totale privatizzazione delle imprese pubbliche. Come l’Eni, la Telecom, l’Enel e le aziende dell’Iri. Una privatizzazione considerata come l’unico segnale concreto della volontà dell’Italia di aprirsi veramente al Libero Mercato. L’adesione alla moneta unica rappresentava invece la volontà per il nostro Paese di rinunciare alla propria sovranità nazionale. Una moneta unica alla quale i britannici, che evidentemente tengono alla sovranità monetaria e politica, si sono invece guardati bene dall’aderire. Come tanti dirigenti si siano lasciati convincere ad imbarcarsi sul panfilo resta ancora un mistero anche se si deve ricordare che quell’anno, con l’arresto di Mario Chiesa, era stata avviata l’offensiva di Mani Pulite che da lì a poco avrebbe travolto la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, i due puntelli del sistema misto italiano e quindi dell’intervento pubblico nell’economia. In quei mesi era palpabile nell’aria l’impressione, la sensazione, che ci si trovava di fronte ad un cambiamento epocale, ad una classe politica che stava per essere spazzata via e di conseguenza al fatto che c’era un evidente vuoto di potere. Dove il potere debole era la politica e il potere emergente era quello economico che dopo tanti anni di vassallaggio e di coesistenza pacifica voleva prendersi una rivincita. Tra gli italiani saliti a bordo c’era l’allora direttore generale del Tesoro, Mario Draghi. Proprio colui che successivamente doveva gestire l’attuazione pratica del processo di privatizzazione. Proprio colui che dal 2002 al 2005 lavorò come vice presidente per l’Europa della Goldman Sachs, una banca d’affari molto vicina agli ambienti “prodiani” e specializzata in privatizzazioni. Sulla crociera come tale e sull’identità di tutti i partecipanti venne subito imposto il silenzio stampa, ma poi qualcuno parlò e la vicenda finì per uscire fuori anche se i giornali dell’establishment finanziario riuscirono a diminuirne l’importanza cercando di ridicolizzare chi chiedeva chiarezza. La crociera fu in ogni caso un duro monito lanciato all’Italia e al governo Amato. In settembre infatti vi fu la violenta speculazione di Soros contro la lira e Ciampi, allora Governatore, dopo aver prosciugato di fatto tutte le riserve valutarie di Via Nazionale per difendere la nostra moneta, finì per svalutare la lira. Così furono gettate le premesse per avviare le privatizzazioni di settori strategici della nostra economia i cui risultati disastrosi sono ben presenti agli occhi di tutti noi. In sala ad ascoltare Draghi c’era seduto in prima fila Mervyn King, il Governatore della Banca d’Inghilterra. Per la cronaca, giovedì scorso, erano quasi 15 anni tondi dalla crociera del Britannia. E le parole di Draghi avranno sicuramente fatto piacere a King, soprattutto quando l’ex direttore generale del Tesoro ha testualmente affermato: “Un sistema finanziario moderno non tollera commistioni tra politica e banche. La separazione sia netta: entrambe ne verranno rafforzate”. Un’uscita un po’ insolita per un Governatore, soprattutto la parola “tollera” solleva diversi interrogativi sul suo significato. Sembra di cogliervi un riferimento a meccanismi internazionali in grado di stritolare chiunque. Oggi siamo di fronte ad un mercato bancario italiano che recentemente ha proceduto a due grandi concentrazioni, quella tra San Paolo e Intesa e quella tra Unicredit e Capitalia. Dalla seconda operazione è nato il secondo gruppo bancario europeo. Due banche che, grazie alla loro nuova dimensione, sono diventate parte integrante e determinante del sistema finanziario europeo ed internazionale. Entrambe sono nate con la benedizione del mondo politico di governo. Soprattutto San Paolo-Intesa, guidata dal cattolico Giovanni Bazoli, amico di vecchia data di Romano Prodi, e come lui parte di quel mondo di “cattolici democratici” che mischiano la fede con l’approccio efficientista e tecnocratico. Quel Giovanni Bazoli presente sul Britannia come presidente del Banco AmbrosianoVeneto che poi si sarebbe fuso con la Commerciale e la Cariplo. Quel Bazoli che era a bordo unitamente all’economista e poi ministro Beniamino Andreatta, che Prodi ha sempre indicato come il suo maestro. Due settimane fa, Massimo D’Alema, leader del partito che fu il maggiore beneficiato da Mani Pulite, sia in termini di potere che di legittimazione, ha curiosamente parlato della crisi della politica e del venire meno del suo legame con la “società civile”, un termine mutuato da Gramsci. Se questa è stata una considerazione quasi scontata, quello che semmai è impressionante è che D’Alema abbia parlato di un’atmosfera che ricorda molto quella del 1992. Come se l’esponente diessino temesse una nuova Mani Pulite che questa volta avrebbe il suo partito come obiettivo finale. All’allarme di D’Alema è seguito poi l’intervento del presidente della Confindustria, Luca di Montezemolo, che ha tuonato contro la politica che frena lo sviluppo. La stessa politica che per anni aveva foraggiato le imprese. A cominciare dalla Fiat presieduta dallo stesso Montezemolo. L’uscita di Draghi sembra porsi quindi in questa stessa ottica di monito alla politica ed in particolare a quella parte che sta al governo. Adesso che nel nascente Partito Democratico divampa la lotta per la leadership tra la Margherita e i Democratici di Sinistra. E le schegge di questo scontro rimbalzano da tutte le parti. Come quelle dello scontro tra il vice ministro dell’Economia, il diessino Vincenzo Visco, e il generale della Finanza, Roberto Speciale, al quale sarebbe stato chiesto, il condizionale è d’obbligo, di trasferire alcuni ufficiali che stavano indagando sulla tentata scalata della Unipol di Consorte alla Bnl in relazione alla quale per il presidente del gruppo assicurativo si ipotizzavano i reati di aggiotaggio informativo, manipolazione del mercato e ostacolo alle attività di vigilanza. Quella Unipol che da sempre è vicina al Pci-Pds-Ds. Il sospetto, ovviamente interessato, che è stato insinuato da alcune parti politiche, sia del governo che dell’opposizione, è quindi che Visco volesse impedire che emergessero eccessive vicinanze a Consorte da parte di dirigenti diessini come Fassino e D’Alema. Se sia tutta una bolla d’aria o una speculazione politica, saranno il tempo e i magistrati a dirlo. Certo è sconsolante prendere atto che i politici di governo sono pienamente coscienti di non essere assolutamente in grado di indirizzare gli avvenimenti, seppure in misura minima, e che ormai è l’economia o meglio la finanza a farla da padrona. Una visione marxiana dove la politica rappresenta solamente una sovrastruttura. Ed è significativo che sia stato un ex comunista come Massimo D’Alema a intonare il de profundis per il sistema di cui fa parte.