Guerra all'Iran: i nodi vengono al pettine
di Konrad Nobile - 21/06/2025
Fonte: Come Don Chisciotte
L’attacco israeliano all’Iran segna un punto di rottura che avrà enormi ripercussioni, non solo nell’area mediorientale.
Lo scontro apertosi il 13 giugno con l’aggressione israeliana alla Repubblica Islamica è ormai molto difficile possa rientrare per lasciare spazio a nuovi compromessi e negoziati.
Questa è guerra, ed è una guerra esistenziale.
L’Iran non può perdere, a rischio infatti non c’è solo il regime politico instauratosi e formatosi (con varie e differenti fasi) dopo la rivoluzione del 1979, ma c’è la stessa unità nazionale dell’Iran, minacciata dalle potenziali spinte centrifughe e secessioniste delle differenti minoranze etniche presenti all’interno dei confini iraniani (curdi, armeni, azeri, beluci…), che potrebbero prendere il sopravvento (soprattutto se debitamente alimentate e sostenute da fuori) in caso di un collasso delle istituzioni nazionali iraniane.
Il crollo dell’attuale sistema politico iraniano – che ritengo inverosimile possa sopravvivere ad una sconfitta in questa guerra – genererebbe un vuoto di potere dalle ripercussioni potenzialmente devastanti, in primis per l’Iran e per il suo popolo, e la guerra civile a questo punto sarebbe difficilmente evitabile.
Esattamente come avviene per la Russia, anche l’Iran ha contro di sé la grande minaccia della balcanizzazione e, dunque, di una sostanziale estinzione (vedasi il caso della Libia).
La caduta della Repubblica Islamica porterebbe con sé nella bara tutto ciò che rimane dell’Asse della Resistenza, condannando Hezbollah, Ansar Allah ed Hamas all’isolamento. Questo segnerebbe verosimilmente la condanna definitiva per l’altra causa esistenziale, quella palestinese, totalmente tradita dai vari regimi arabi della regione, collaborazionisti di Israele e degli Stati Uniti.
Israele a sua volta non può perdere. In pericolo qui non c’è banalmente solo il governo di Netanyahu, ma l’intera sopravvivenza a lungo termine dello Stato sionista. Una sconfitta israeliana farebbe crollare il mito della sua invincibilità e, cosa ancor più importante, farebbe crollare la promessa di sicurezza (già parzialmente intaccata il 7 ottobre 2023) e prosperità che Tel Aviv ha proposto e propone a milioni di ebrei per attirarli verso la “Terra Promessa” e sostenere così la propria demografia. Degno di nota il fatto che lo Stato ebraico stia ora impedendo ai propri cittadini di lasciare il Paese (di fatto rendendo Israele una sorta di grande trappola per gli stessi ebrei), dopo che si sono registrati numerosi casi di Israeliani fuggiti in barca con destinazione Cipro. Già dopo il 7 ottobre 2023 centinaia di migliaia di Israeliani hanno lasciato la Palestina occupata, ed ora le autorità sioniste si muovono per impedire un ulteriore esodo.
Un tonfo israeliano produrrebbe poi una potente onda d’urto, coinvolgendo i Paesi limitrofi e ridando forza e fiducia alle masse palestinesi e arabe, mettendo così in pericolo tutta la rete di alleanze/vassallaggio che il sionismo gestisce in Asia Occidentale.
Questo scenario creerebbe enormi difficoltà alle monarchie arabe e, in caso di un successo dell’Iran sciita e di un rilancio dell’Asse della Resistenza, getterebbe le basi per una potenziale messa in discussione del ruolo di custode di Mecca e Medina della dinastia Āl Saʿūd, socia in affari degli Stati Uniti rimasta a guardare di fronte al genocidio palestinese e insensibile all’attacco alla Umma.
Le sorti di Israele sono inoltre intrinsecamente legate a quelle dell’Impero dell’Occidente Collettivo a guida Usa.
Stati Uniti e Israele sono realtà interdipendenti tra loro: senza Stati Uniti non potrebbe esistere l’entità sionista e senza Israele gli Usa non potrebbero più continuare ad essere la potenza guida dell’Impero globale.
Il punto è che l’Impero per sussistere necessita di mantenere il controllo sul Medio Oriente (che è letteralmente la fonte energetica del sistema globale) ed avervi un proprio avamposto, una propria emanazione (Israele). Quest’impero è a guida Usa ma comprende anche i Paesi europei e del c.d. Occidente allargato, Italia compresa (1).
Esso, che grazie al pieno fatto al grande distributore arabico tiene in ordine e in funzione tutto il sistema economico mondiale, è quella realtà che riesce tutt’ora – nonostante la sua fase di crisi – a nutrire la casta dei grandi capitalisti e plutocrati come anche a garantire alle popolazioni del suo centro (la “metropoli” occidentale) privilegi materiali e un tenore di vita sensibilmente superiore a quello delle popolazioni della “periferia” globale, sistematicamente sfruttate e depredate con un meccanismo che è stato recentemente ben esposto in un articolo di Domenico Moro per ComeDonChisciotte (2).
Ed ecco allora che questo scontro si fa esistenziale anche per l’Occidente collettivo ed il suo dominio imperiale (che elargisce tante sazianti briciole alle sue popolazioni, tenute così a bada).
In tal senso è di una grande onestà la frase pronunciata dal cancelliere tedesco Merz (ex dirigente di BlackRock): “Israele fa il lavoro sporco per tutti noi”.
Per queste ragioni ritengo che se Israele dovesse trovarsi in seria difficoltà, allora un intervento americano – magari con la partecipazione di altri briganti imperialisti europei – sia assolutamente inevitabile. É solo questione di tempo, sempre che non si realizzi una improbabile, almeno attualmente, de-escalation. Se sarà necessario convincere l’opinione pubblica americana all’intervento contro Teheran, non è da escludere il ricorso a qualche false flag.
Ed è sempre per le soprascritte ragioni che, trattandosi di una guerra esistenziale, nel peggiore degli scenari lo stato ebraico potrebbe ricorrere “all’opzione Sansone”, ovvero all’uso dell’atomica (che detiene tranquillamente senza sottostare a controlli né al trattato di non proliferazione, a cui “l’unica democrazia del Medio Oriente” non ha mai aderito).
Se Israele sa che può contare nel momento del bisogno sull’Occidente Collettivo (e in una certa misura sugli alleati arabi della regione), avendo così le spalle coperte, lo stesso non si può dire dell’Iran.
L’Asse della Resistenza è stato notevolmente indebolito nel corso dell’ultimo anno e il più grande alleato dell’Iran, ovvero Hezbollah, non è in questo momento in grado di condurre attacchi.
Sul fronte BRICS, ovvero Russia e Cina (il resto conta poco), le prospettive non sono delle migliori.
Per quanto riguarda la Russia, mi pare che il Cremlino alla fin dei conti ci tenga più a mantenere pulito il suo storico rapporto con Tel Aviv che a tenere coerentemente fede alla vicinanza e al partenariato con l’Iran.
Molte dichiarazioni da parte russa lasciano intravedere che il governo russo, che cerca di tenere un piede in due scarpe (ma non sarà facile!), non sia disposto a rompere con Israele e sostenere fino in fondo la Repubblica Islamica in questa guerra.
D’altronde se già prima della guerra aperta tra Tel Aviv e Teheran la Russia ha dimostrato di essere inaffidabile con le forniture militari ai persiani, come nel caso dei caccia russi Su-35 ordinati e pagati dall’Iran nel 2023 e mai consegnati (ora sarebbero preziosissimi per la difesa dei cieli iraniani), molto probabilmente proprio a causa di pressioni israeliane (3), figuriamoci ora.
Emblematica la stampa russa – riflesso degli umori della classe dirigente nazionale (è bene qui ricordare che non pochi oligarchi russi hanno il doppio passaporto russo e israeliano) – che nel parlare del conflitto tra Israele e Iran evidenzia cinicamente gli interessi e i vantaggi che la Russia trae da questa guerra, che sostanzialmente sarebbero i seguenti: maggiori introiti dalle esportazioni di gas e greggio a causa dell’aumento prezzi (generato dalle tensioni in Medio Oriente); minore attenzione occidentale al fronte ucraino; possibile ruolo di mediazione svolto dalla Russia con guadagno di stima e reputazione internazionale.
I giornali russi rimarcano poi che il loro Paese, nonostante il recente accordo di partenariato strategico, non può fornire aiuto all’Iran e che la Russia deve pensare esclusivamente ai suoi propri interessi.
Non c’è da stupirsi, questa è la realpolitik… solo che qui il livello di cinismo è abbastanza spudorato e stride con tutta la retorica e propaganda multipolarista e filo-BRICS che, in questi momenti di resa dei conti, dimostra la sua vera natura.
Ma, nonostante questo, sono convinto che c’è chi continuerà a dire che tutto è a posto, che la guerra in Ucraina è un super successo russo, che la Russia sta vivendo un boom, che il governo russo si è opposto alla narrazione Covid e ai vaccini (cazzata enorme a cui una massa di persone continua a credere, penso per disperazione), che Trump è un paladino della libertà e della pace ma che è stato rapito dal Deep State, che i BRICS sono la salvezza dell’umanità ecc.
D’altronde in Russia, si sa, tutto procede sempre secondo i piani:
In ogni modo, se effettivamente ci fosse un’ulteriore estensione del conflitto ai danni dell’Iran e di fronte ad essa Putin scegliesse effettivamente di lavarsi le mani e lasciare gli iraniani a loro stessi, Mosca pagherà questa scelta in futuro. La conseguente perdita di credibilità dei BRICS (si ricorda qui che l’Iran è un membro a pieno titolo di questa organizzazione) indebolirà la Russia che è e sarà, Donald Trump o meno, nel mirino.
Per quanto concerne la Cina, è difficile capire come si muoverà Pechino. Per quanto il Celeste Impero non possa permettersi di perdere l’Iran, perno delle sue iniziative commerciali (vitali per il sistema cinese) e suo fornitore energetico, ritengo sia assolutamente da escludere una scesa in campo diretta ed esplicita da parte cinese, anche tenendo in considerazione alcuni importanti legami economici, come quelli in campo tecnologico, esistenti tra Cina ed Israele (la Cina inoltre è il primo paese fornitore di Israele) (4)(5).
Tuttavia, per quanto la diplomazia cinese si dimostrerà sempre cauta, è plausibile che la Cina si impegni a rifornire e sostenere l’Iran di fronte al suo sforzo bellico, magari avvalendosi dell’intermediazione del Pakistan (Paese in buoni rapporti sia con la Cina che con l’Iran e che vanta una stretta sinergia tecnico-militare con Pechino).
Il Pakistan, che come l’Iran si fregia del titolo di Repubblica Islamica (i loro sistemi politici presentano comunque delle differenze e in Pakistan, nonostante esista una importante minoranza sciita, la maggioranza della popolazione è di fede sunnita), si è d’altronde già espresso disponibile a fornire aiuto all’Iran e, così almeno sostiene il generale iraniano Mohsen Rezae, ha annunciato che è pronto ad usare le proprie testate nucleari qualora l’Iran subisca un attacco atomico da parte di Israele (6).
Questa storia sarà una grande prova per i BRICS e per la credibilità della loro proposta e della loro narrativa. Come già scritto, i nodi stanno venendo al pettine.
Fatta questa carrellata, prima di chiudere cerco di esporre la mia tesi sul come l’Iran possa affrontare questa grande sfida esistenziale e sperare di vincerla nonostante tutte le avversità.
È certo che si tratta di una guerra impari e asimmetrica. Israele ha un arsenale atomico, ha una fortissima forza aerea, armi all’avanguardia, il sostegno dell’Occidente e una rete di spionaggio, intelligence e di infiltrazione sorprendente (come sta dimostrando anche ora, laddove sul suolo iraniano operano centinaia di collaborazionisti riforniti e guidati dal Mossad).
Non appena ci sarà l’ingresso degli Stati Uniti (cosa a mio avviso inevitabile salvo un’incredibile de-escalation) la disparità delle forze in campo sarà schiacciante.
Eppure, nonostante tutto, credo che l’Iran, a determinate condizioni e se audace e capace di giocarsi le sue carte, abbia le possibilità per uscire a testa alta da questo conflitto, pur pagando un tributo di sangue e distruzione impressionante.
Oltre ai missili, una delle armi principali iraniane è Hormuz.
Il blocco dello stretto, dal quale passano le petroliere colme di greggio dirette verso tutto il mondo, manderebbe in paralisi l’economia globale con effetti devastanti (7), e la possibilità di interromperne l’attraversabilità è una leva potentissima nelle mani di Teheran. Se poi a questo blocco si dovessero unire gli Ansar Allah yemeniti con un rinnovato blocco di Bab el-Mandeb, allora gli effetti sarebbero ancora più pesanti.
In uno scenario di questo tipo, che potrebbe realizzarsi a seguito di un intervento americano, in Europa potremmo finire in un nuovo stato di emergenza con razionamenti energetici e limitazione agli spostamenti, oltre ad assistere ad un rinnovato giro di vite alle libertà politiche e civili.
Un altro elemento fondamentale affinché l’Iran possa resistere alla grande aggressione è la compattezza popolare nazionale.
In una guerra asimmetrica questo elemento è cruciale per dare una speranza a chi è, dal punto di vista tecnico e militare, in una condizione di svantaggio.
La popolazione iraniana è molto divisa al suo interno, tuttavia pare che di fronte all’aggressione israeliana la gran parte del popolo si stia compattando attorno alla propria identità nazionale e alle proprie istituzioni, facendo crollare le possibilità di un cambio di regime interno tanto desiderato da Israele, Usa e soci.
Se questa compattezza dovesse intensificarsi ulteriormente allora ci sarebbe la condizione per poter resistere e combattere anche di fronte a innumerevoli perdite e distruzioni.
In una condizione di definitiva disparità militare (che potrebbe concretizzarsi a seguito di un duro attacco aeronavale americano) il regime islamico dovrebbe puntare a proclamare ed impostare una guerra di popolo, coinvolgendo necessariamente le masse, conferendo loro una grossa e diretta responsabilità. L’Iran dovrebbe, per così dire, recuperare una dimensione rivoluzionaria, coinvolgendo il popolo nella lotta di difesa nazionale e riuscire contemporaneamente, ove possibile, a internazionalizzare la lotta antimperialista.
Certamente l’Iran di oggi non è più quello del 1979 e degli anni ’80, ma di fronte all’attacco nuove energie e nuovi sentimenti potrebbero diffondersi e animare gli spiriti iraniani.
Un Iran duramente sotto attacco sarebbe costretto a “yemenizzarsi”, essere disposto a grossi sacrifici, e se capace di farlo potrebbe riuscire a logorare le forze imperialiste.
Il grande patriottismo iraniano e la fede sciita, con la grande importanza che essa dà al martirio, non potranno che aiutare il fiero popolo iraniano nella sua guerra di resistenza antimperialista.
Se, diciamo, lo Stato iraniano e le sue guide riusciranno a rievocare lo spirito dei guerrieri-eroi di Khorramshahr (la Stalingrado iraniana nella guerra contro l’invasione irachena, difesa casa per casa), allora gli imperialisti sputeranno sangue.
È per questo che diversi politici, analisti e stessi militari americani frenano Trump dall’entrare in guerra (finché questo sarà possibile). Essi sanno che l’Iran potrebbe essere un nuovo Vietnam, questa volta fatale per gli Usa. Come ha detto Tucker Carlson, “la USS America affonderà al largo dell’Iran”.
Ma in questa grande tribolazione, questi scontri esistenziali ed esiziali, che segnano la fine di una grande epoca, i nodi vengono al pettine, e ogni parte sarà costretta a fare una scelta e ad andare fino in fondo.
I fatti diranno se tutte queste analisi hanno senso e fondamento.
In chiusura, vorrei proporre a chiunque si professa cristiano le seguenti immagini.
Questi sono gli uomini che hanno protetto la processione dei cristiani di Ninive (Iraq), ma non solo (ho citato il luogo nel quale sono state scattate le foto riportate), durante la celebrazione dell’ultima Domenica delle Palme.
Loro sono le Forze di Mobilitazione Popolare (FMP) dell’Iraq, una coalizione di milizie, in prevalenza sciite (ma ci sono anche brigate sunnite, cristiane e yazide), che hanno contrastato e combattuto l’avanzata dell’Isis a partire dal 2014, salvando numerose vite dai tagliagole di Daesh (Isis), criminali finanziati e armati dall’occidente. Ora Israele, pur di attaccare Hamas a Gaza, sta sostenendo nientemeno che affiliati dell’Isis nella Striscia (8)(9).
Le FMP non sarebbero mai esistite senza l’Iran. Loro hanno contribuito a sconfiggere l’Isis in Iraq, grazie all’Iran. E grazie all’Iran continuano ad esistere (ora sono parzialmente integrate nelle forze armate irachene) e ad essere un faro della resistenza, e a proteggere la popolazione, anche i cristiani iracheni.
I nodi vengono, appunto, al pettine.
NOTE
In merito ripropongo il riferimento ad un mio vecchio articolo sulla collaborazione tra Italia-ENI e Israele: https://comedonchisciotte.org/via-leni-dalla-palestina/
https://comedonchisciotte.org/limperialismo-del-xxi-secolo-e-lo-scambio-ineguale-tra-nord-e-sud-globale/
htps://www.bourseandbazaar.org/articles/2023/7/13/iran-paid-for-su-35-jets-but-russia-wont-deliver-them
https://www.ore12.net/i-paesi-che-commerciano-di-piu-con-israele/
https://www.eventidigitali-ice.it/wp-content/uploads/2023/05/ISRAELE-NOTA-PAESE.pdf
https://www.ndtv.com/world-news/pakistan-will-nuke-israel-if-it-uses-nuclear-weapon-against-iran-claims-irgc-general-mohsen-rezae-8679155
Non è detto però che l’effetto paralizzante sull’economia non sia ora, paradossalmente, utile al sistema capitalistico-finanziario per gestire tramite una nuova emergenza la profonda crisi moetaria e del Capitale, come lo fu al tempo dei lockdown e del Covid-19
https://www.middleeasteye.net/live-blog/live-blog-update/israeli-politician-says-israel-delivered-weapons-gaza-gangs-counter
https://t.me/iranislamico/10945