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Società arcaiche e ordine cosmico

di Edward Goldsmith - 29/10/2007

 

 

Da un capo all’altro del mondo, dagli inizi della preistoria, la credenza secondo cui la società deve seguire una certa strada – o “Via” – per conservare se stessa e il mondo che la circonda, è stato un tema corrente che ha attraversato molte società e culture. Questa Via, che una società deve seguire per conservare l’ordine del cosmo, è definita come quella che si conforma alle norme tradizionali, o “leggi” – leggi cui gli antichi greci alludevano parlando di Nomos o Dike – intese nel senso di giustizia, rettitudine o moralità. La Dike era “la via del Mondo, il modo in cui le cose accadono”[1].

Alla Via i greci facevano riferimento anche come Themis: “la via specifica per gli esseri umani, ratificata dalla coscienza collettiva”[2]. Temi era considerata anche come la Via della Terra, e a volte la Via del cosmo stesso – quella che governava la condotta degli dèi. Quando, più tardi, questi concetti furono personalizzati nella mitologia greca, Temi divenne la dea della legge e della giustizia, e quindi della moralità. Essa coincideva anche con Moira, il sentiero del destino o fato. In Omero[3], gli dèi sono visti come subordinati a Moira e anche a Dike – forze cosmiche più antiche degli stessi dèi e di natura morale. Contro il fato – e quindi contro la stessa legge morale – gli dèi non possono fare niente.

La Via, dunque, secondo i greci, doveva essere seguita non soltanto da tutti gli esseri umani, ma dal mondo naturale, dal cosmo e dagli stessi dèi. C’era, così, una singola legge che governava l’intera gerarchia cosmica. “Temi nel mondo di Zeus”, come scrive Pitagora, “e Dike nel mondo di quaggiù, occupano lo stesso posto e hanno lo stesso rango di Nomos nelle città degli uomini; così, colui che non fa bene il dovere prescrittogli può sembrare un trasgressore dell’ordine generale dell’universo”[4]. Buona parte della forza vitale o della sacralità del paese era concentrata nella persona del re. Era perciò cruciale che egli osservasse religiosamente la Via. Così, Odisseo ci dice che quando un re irreprensibile conserva la Dike, “i neri solchi producono grano e orzo, e gli alberi sono carichi di frutti, e le pecore sono prolifiche e non diminuiscono, e il mare dà pesce in abbondanza, e tutto questo grazie alla sua buona guida, e il popolo prospera sotto di lei”[5].

La nozione di Via è stata probabilmente concepita, esplicitamente o implicitamente, da tutte le società vernacolari. Così, nell’antica Cina, il Tao allude, al contempo, all’ordine e alla Via del cosmo. Il termine è applicato alla “rivoluzione dei cieli”, quotidiana e annuale, e alle due forze di luce e oscurità, giorno e notte, estate e inverno, caldo e freddo. “Esso rappresenta tutto quello che nell’universo è corretto, normale o giusto (ching o twan); e infatti, non devia mai dal suo corso. Di conseguenza, include tutti i corretti e giusti rapporti tra uomini e spiriti che soli promuovono la felicità e la vita universale”[6].

Il Tao non era considerato “soltanto come una forza che vagamente permeava tutte le cose, ma come il normale modo d’essere, la vera struttura delle cose particolari e individuali”[7]. Feng Yu-Lan considera il Tao come “l’universale principio primo delle cose”[8]. Tutti gli esseri viventi, compresi gli esseri umani, fanno parte di questo ordine naturale universale. “Il Tao, in quanto ordine della natura, governa la loro vera azione”[9]. Gli uomini seguono il Tao comportandosi “naturalmente”. Questo significa conformarsi al principio del Wu Wei di Lao Tzu, poiché “quando tutte le cose obbediscono alla legge del Tao, formeranno un insieme armonioso e l’universo diventerà un organismo integrato”[10].

Nell’antico Egitto, il concetto di Maat svolse un ruolo simile. Significava infatti “il giusto ordine nella natura e nella società, così come venne instaurato dall’atto della creazione […] quello che è giusto, quello che è corretto, legge, ordine, giustizia e fiducia”[11] – non soltanto nella società, ma nell’insieme del cosmo. Il dio Ra era, al contempo, signore del cosmo, signore del giudizio dei morti e signore di Maat. Anche se Maat nacque con la creazione, tuttavia doveva essere rinnovato e protetto. Ne deriva che “Maat non è soltanto l’ordine giusto, ma anche l’oggetto dell’attività umana. Maat è sia il compito che l’uomo si dà, sia, in quanto rettitudine, la promessa e la ricompensa che lo attende eseguendolo”[12].

Il regno centralizzato dell’antico Egitto era governato da un re sacro, il cui ruolo consisteva nel conservare Maat, l’ordine del cosmo. “Il cielo è in pace, la terra è nella gioia, perché hanno saputo che [il re] stabilirà il diritto al posto del disordine”[13]. Tutankhamon “scacciò il disordine dalle due terre e Maat è saldamente insediato al suo posto: ha fatto della menzogna un abominio e la terra è com’era agli inizi”[14].

Un concetto simile esisteva nell’India vedica. Ad esso si faceva riferimento parlando di R’ta (si veda, più avanti, l’articolo di Krishna Chaitanya). Nei Veda leggiamo: “I fiumi scorrono R’ta. Conformemente a R’ta, è giunta la luce del celestiale mattino […] L’anno è il sentiero di R’ta. Gli stessi dèi sono nati dal o nel R’ta; essi mostrano con i loro atti che conoscono, osservano e amano il R’ta. Nell’attività umana, esso si manifesta come legge morale”. R’ta sta anche per verità. La non-verità, sebbene talvolta definita Asatya, è di solito espressa come An-R’ta – dunque come divergenza dal R’ta o Via.

Il poeta vedico si rende pienamente conto che per ottenere i doni della natura, l’uomo deve obbedire al R’ta: per colui che vive in conformità con la legge eterna, i venti sono pieni di fragranze, i fiumi riversano dolcezze. Così le piante possono essere piene di fragranze per noi”. Il grande Inno alla Terra vedico esprime chiaramente la credenza nella dipendenza dell’umanità dall’ordine del cosmo e nel ruolo dell’umanità nel conservarlo, osservando l’antica legge.

Più tardi, anche il concetto di Dharma fu usato dagli indù in un senso molto simile. “Quella regolarità, quella normalità dell’universo, che produce buoni raccolti, grasso bestiame, pace e contentezza è espresso dalla parola Dharma, che significa […] ‘sostegno’, ‘appoggio’”[15]. Esso descrive il modo in cui ci si attende che animali, uomini o cose si comportino; è la legge naturale. Il sole è talvolta identificato con il Dharma perché regola le stagioni. Tra gli dèi, Varuna è il Signore della Giustizia che decreta le leggi dell’universo. Quando il re sale al trono, si pensa che debba diventare per il suo popolo quello che Varuna è per gli dèi. Per questa ragione, anche lui è conosciuto come “Signore della Giustizia”.

Nell’induismo di Bali, il Dharma è visto come “la forza organizzatrice che mantiene l’ordine, l’organizzazione che governa l’universo nel suo insieme, i rapporti tra le varie parti dell’universo e le azioni nelle varie parti dell’universo”[16]. Il concetto di Dharma fu ripreso anche dai buddisti che lo portarono in Cina. Qui, il Dharma del Buddismo Mahayana fu identificato con il Tao. Il Dharma buddista è la legge universale che abbraccia il mondo nel suo complesso. “Esso esiste a beneficio di tutti gli esseri, perchè allora la sua manifestazione principale, la luce del mondo, non fa risplendere la sua benedizione su tutti gli uomini e tutte le cose?”[17]. Quando un lama buddista fa girare il suo mulino da preghiera, esegue un rituale che ha un profondo significato sia in termini di Dharma che di R’ta. Trova se stesso nella solidale relazione con la Ruota dell’Universo; compie l’atto che “mette in movimento la Ruota della Giustizia. Egli non osa girare la ruota in senso contrario, per paura di sconvolgere tutto l’ordine della natura”[18].

Nella Avesta persiana, si accenna alla Via in quanto Asha, rappresentante celeste della giustizia sulla terra. “La giustizia è la legge della vita del mondo, così come Asha è il principio di ogni esistenza bene ordinata e l’instaurazione o il compimento della giustizia è il fine dell’evoluzione dell’universo”[19].

Nell’antico giudaismo i termini usati sono Mishpat, che significa giustizia o retto giudizio e sedeq – più comunemente tradotto come rettitudine. Queste virtù sono attribuite a Dio, ma “la visione dominante è quella di una società umana in armonia con il cielo” (si vedano gli articoli di Robert Murray e Margaret Barker). Questa armonia è Shalom, pace. Ma in realtà, questo termine ha un senso ampio che sta per armonia tra Cielo e Terra, ordine cosmico o “retto funzionamento di tutta la natura, così come Dio l’ha creata”[20].

 

 

Scelte sbagliate

 

Conformemente a questa visione del mondo, per una società deviare dalla Via equivale a minacciare l’ordine del cosmo stesso, e perciò a provocare le peggiori discontinuità possibili. In tal caso, la società segue l’Anti-Via; An-R’ta nell’India vedica, adharma nel buddismo, ou Themis presso gli antichi greci o Isft (disordine) presso gli antichi egiziani.

I greci pensavano che in queste occasioni ou Themis assumesse l’aspetto di Nemesi, collegata a Nomos e Nemos, il boschetto sacro che fu quasi certamente il luogo originario di culto degli antichi greci, come lo fu per i celti. Nemesi, la dea dei boschi identificata con Artemide o Diana, dimorava in tale boschetto. Era anche la dea della fertilità, strettamente associata con Fortuna, “la Signora che produce i frutti della Terra. Colei che distribuisce cose buone può rifiutarle o distribuire sventure invece di benedizioni, la forza spaventosa che infesta i boschi può rovinare l’empio invasore del suo santuario”.

La mitologia classica abbonda di storie sulla Terra che si vendica di coloro che distruggono la natura. Così, Erisittone, il cui nome significa “Colui che lacera la Terra”, abbatté un albero abitato da una driade [ninfa dei boschi – N.d.T.], nonostante le proteste dello spirito dell’albero. Lo spirito si lamentò con Madre Terra, che tormentò Erisittone con una insaziabile fame. Orione fece lo spaccone dicendo che avrebbe ucciso tutti gli animali del mondo. Anche questo fu riferito a Madre Terra, che mandò un mostruoso scorpione a pungerlo mortalmente. Anche oggi questi segni zodiacali si oppongono nel cielo – un messaggio, forse, per coloro che vivono ora le conseguenze dell’adozione di una visione del mondo che è in diretta opposizione con gli interessi della Terra.

 

 

 

NOTE

 

[1] Jane Harrison, Themis: A Study of the Social Origins of Greek Religion, Cambridge University Press, 1927, p. 517.

 

[2] Ibid., p. 517.

 

[3] F. M. Cornford, From Religion to Philosophy, Harper Brothers, New Yoek, 1957, Herodotus, p. 12.

 

[4] Ibid., p. 54.

 

[5] Op. cit., p. 532.

 

[6] Jan Jacob Maria de Groot, The Religion of the Chinese, Macmillan, New York, 1910, p. 174.

 

[7] Joseph Needham, Science and Civilisation in China, vol. 2, Cambridge University Press, Cambridge 1956.

 

[8] Yu-Lan Feng, A Short History of Chinese Philosophy, Macmillan, New York 1984.

 

[9] Ibid.

 

[10] Wing-Tsit Chan, A Source Book in Chinese Philosophy, 1963.

 

[11] Siegfried Morenz, Egyptian Religion, Methuen, London 1973, p. 113.

 

[12] Ibid.

 

[13] Ibid., p. 114.

 

[14] Ibid.

 

[15] A. M. Hocart, Kings and Counciliors, University of Chicago Press, 1970, p. 112.

 

[16] Fred Eiseman, Bali: Sekala and Niskala, vol. I, Pickell-Periplus, Berkeley, 1989, p. 12.

 

[17] Op. cit. 6, p. 166.

 

[18] Op. cit.1, p. 526.

 

[19] Pierre Daniel Chantepie de la Saussaye, Manuel d’Histoire des Religions, Paris, 1904.

 

[20] Robert Murray, The Biblical Vocabulary of Justice, note non pubblicate.