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Gli “effetti” Lince in Afghanistan

di Giancarlo Chetoni - 27/08/2009

Fonte: cpeurasia

 


Quando i pneumatici scorrono su un terreno sterrato di montagna segnato da solchi profondi, e succede con frequenza perché ad ogni primavera quando si sciolgono le nevi l’acqua da quelle parti si porta via fango e pietre, l’equipaggio “dondola”, la velocità di marcia si riduce a 3-5 km all’ora, la guida si fa particolarmente dura e l’autiere stenta a tenere il controllo del mezzo.
Il volante non risponde come dovrebbe mentre il Lince manifesta un’accentuata tendenza al ribaltamento su un fianco quando affronta anche a bassa velocità una curva in salita o in discesa.
Più volte è stato necessario far uscire l’equipaggio dai “blindati” con le ruote all’aria su “carreggiate” che a stento permettono l’avanzamento e si affacciano sul vuoto.
Il Light Multirole Vehicle – LMV (più chiaro di così!) ha un baricentro troppo spostato verso l’alto per il posizionamento della “cellula di sicurezza”. Inoltre, la luce tra il terreno ed i parafiamma anteriore-posteriore per assorbire l’effetto di cariche esplosive ne compromette la stabilità, l’assetto, in movimento anche con l’inserimento delle marce ridotte.
Un carente bilanciamento dei pesi tra parte anteriore (motore) e parte posteriore (gruppo di riduzione) fa il resto.
Anche se la FIAT lo presenta come un blindato di nuova generazione, ad alta affidabilità, sicurezza e caratteristiche “stealth” (!), la realtà è che il Lince, almeno in Afghanistan, sta dando dei grossi grattacapi a chi deve uscirci in perlustrazione o muoversi in colonna su aree accidentate.
La blindatura laterale sopporta l’impatto di proiettili in calibro 12,7 mm ma è estremamente vulnerabile al tiro di datatissimi RPG.
Un colpo in pieno penetrerebbe come un coltello nel burro nelle blindature laterali e nella cellula di sicurezza determinando la perdita immediata dell’intero equipaggio del Lince. Non è ancora successo ma è fatale che succeda.
La guerra di annientamento contro famiglie, clan e combattenti pashtun portata avanti da ISAF-NATO ed Enduring Freedom alzerà inevitabilmente il livello della “risposta”.
Osannato come “avveniristico” da giornali, tv, da esperti e riviste militari, presentato come il blindato leggero da pattugliamento tecnologicamente più avanzato prodotto nei primi sette anni del XXI° secolo per la qualità e la quantità delle piastre di acciaio, dei compositi protettivi e dei blindovetro usati nell’assemblaggio che avrebbero dovuto garantire un elevatissima capacità di sopravvivenza, il Lince in realtà è quello che è: un gippone “protetto” uscito dalla Iveco di Bolzano in fretta e furia, con un approccio progettuale e modalità costruttive che hanno tenuto in scarsa o nulla considerazione la “lezione sul campo” arrivata dall’Iraq.
Nel Paese delle Montagne il Lince si sta lasciando dietro, e siamo appena agli inizi, uno strascico di contusi, traumatizzati, feriti e morti.
E succede ogni volta che esplode anche la più modesta carica di esplosivo fatta brillare empiricamente al centro “carreggiata” od interrata ai bordi della viabilità.
Il peso del Lince – 4,6 tonnellate, due volte, scarse, quello di un SUV – avrebbe già dovuto allertare gli esperti militari ed il Settore Prove e Valutazioni del Ministero della Difesa.
Strombazzature, molto, ma molto interessate, hanno sistematicamente messo in ombra i punti deboli del Lince. La verità sta uscendo fuori un po’ alla volta, a caro prezzo.
Il mitragliere che opera con una Browning piazzata su ralla rimane esposto con parte del busto e la testa fuori dalla torretta. Un’esplosione, anche di bassa potenza, a breve distanza non lascia scampo all’armiere.
Questo è quello che è successo il 14 Luglio scorso a Shewand, 50 km a nord-est di Farah, al caporalmaggiore Alessandro Di Lisio, classe ‘84, artificiere del Genio Guastatori del 187° Rgt Folgore rinvenuto cadavere, insieme a tre feriti dello stesso Reparto, dal personale medico di un AB-212 Medivac scortato da Mangusta A-129 .
Il Lince era stato proiettato, gravemente danneggiato – si erano staccati il motore, il serbatoio ed il gruppo di riduzione – a dieci metri di distanza dal punto dell’esplosione. Diversamente non poteva andare.
Questa volta c’è stato un buco grosso come una casa nella censura militare. Sono arrivate immagini a colori e ad alta definizione.
La Russa ha riferito alle Camere promettendo mezzi più sicuri, che non ci sono, per i militari italiani in “missione di pace” in Afghanistan. Non c’è veicolo esplorante, blindato o carro armato al mondo che non abbia torretta.
Appena qualche giorno prima, lo stesso La Russa aveva dichiarato che il codice militare di pace andava rivisto e che il governo si sarebbe impegnato in raccordo, naturalmente, con l’”opposizione”, per approntare un testo a metà strada tra quello in vigore in Iraq (abbiamo ancora 200 “istruttori” dell’Arma dei Carabinieri al “lavoro” da quelle parti) e l’attuale cogente in Afghanistan.
Volete sapere qual’è la vera motivazione che spinge il (nostro) Ministro della Difesa ad introdurre la “novità”?
La magistratura di Roma ha sequestrato tre Lince danneggiati da esplosioni per vederci chiaro. Temendo che saltino fuori delle responsabilità sull’efficienza dei LMV dell’Iveco, l’ineffabile La Russa ha invitato i pm della Procura a dissequestrare i blindati e, di fatto, a farsi da parte.
Angelino ha già “sistemato” Franco al Dipartimento Carceri. La moglie del Maresciallo D’Auria aspetta ancora di sapere chi gli ha ammazzato il marito e come.
Per trovare una pezza d’appoggio ad un tanto insolito quanto minaccioso invito alla magistratura, La Russa ha affermato che al West Rac di Herat i Lince con i “sigilli” dovranno essere cannibalizzati – sentite, sentite – per poter mantenere numericamente in efficienza l’attuale dotazione “afgana” dei LMV: “I Lince rotti ci servono per i pezzi di ricambio”.
Ci verrebbe voglia di fare dei paragoni tra il pulcinella di Milano e quello di Agrigento.
La flagrante pretestuosità del beverone non può non saltare immediatamente fuori.
Sono infatti 1.270 i Lince già in dotazione alle Forze Armate che possono essere spediti sia sugli Spartan C-27 che sui C-130 in Afghanistan.
Una missione che il Ministro della Difesa afferma di essere fermamente condivisa da tutte le “istituzioni”, dai partiti di maggioranza ed “opposizione”, e fin qui concordiamo, oltre che da tutto il Paese. Come di fatto stiano le cose lo sanno tutti.
La morte del caporalmaggiore Di Lisio nel Paese delle Montagne, è stata l’occasione per far uscire allo scoperto gli umori profondi, sarebbe meglio dire i nervi scoperti, del Quirinale.
Il Presidente della Repubblica ha rilasciato alle agenzie di stampa la seguente sgangherata dichiarazione: “Dobbiamo continuare l’impegno in Afghanistan che va nell’interesse di ciascun Paese che è esposto ai colpi del terrorismo internazionale e lo sarà finché non saremo riusciti a sradicare alcune centrali ed a rimuover alcune cause”.
Un linguaggio, come si vede, aggressivo che fa il paio con quello usato, a suo tempo, dalla troika (criminale) Bush-Cheney-Rice con cui l’attuale inquilino del Quirinale era culo e camicia.
E un contenuto fumoso, fumosissimo.
Napolitano, già conosciuto nei GUF della città del Vesuvio come O’Sicco, vuol forse farci ancora credere alla storiella inventata a Langley, su Al Qaeda ed Osama bin Laden?
E’ forse un messaggio cifrato per David Thorne, nuovo ambasciatore degli USA a Roma e San Marino, affiliato con funzioni di presidente alla Confraternita Skull and Bones od alla Clinton, che intende confermare la piena disponibilità della Repubblica delle Banane a raddoppiare il numero dei militari in Afghanistan dai 3.350 attuali a 6.000 entro il 2012, come si sussurra già da tempo al Comando Operativo Interforze di Centocelle?
O che altro?
Di Lisio su Facebook aveva scritto: “In Afghanistan stiamo combattendo una guerra sporca”. Nelle ore convulse che sono seguite alla sua morte, una manina anonima ha aggiunto alla sua frase un “ma qualcuno deve pur farla”.
Tutte le agenzie di stampa hanno riportato la versione manipolata. Non ne siamo rimasti per nulla sorpresi.
La famiglia, rifiutando ogni contatto con giornali e tv, aveva fatto sapere che non avrebbe voluto funerali di Stato per il figlio perché lo avevano ammazzato loro. I capi-bastone di Mafiolandia.
A distanza di 72 ore hanno dovuto rimangiarsi, chissà dietro che tipo di pressioni, quello che chiedevano per dargli un ultimo saluto: una cerimonia funebre per soli parenti ed amici.
Giancarlo Chetoni