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Il laboratorio politico libanese

di Dagoberto Bellucci - 16/11/2009



A pochi giorni dalla formazione del primo esecutivo di unità nazionale
direttamente nominato da Sa'ad Hariri il paese dei cedri si interroga sul suo
futuro prossimo: nubi fosche all'orizzonte sembrano addensarsi sui cieli
meridionali del paese dove l'allerta per possibili attacchi israeliani aumenta
di giorno in giorno soffocando la speranza di stabilità e pace nell'intero
Vicino Oriente.

Le previsioni dei principali esperti di politica locale e dei diversi
organismi politici arabi sono particolarmente negative malgrado Hariri infine
sia riuscito a formare, a distanza di cinque mesi dalla vittoria elettorale che
il 7 giugno scorso diede alla sua coalizione filo-occidentale la maggioranza
dei voti, il suo primo esecutivo nessuno da queste parti nasconde apprensione e
timore che la partita bellica con il vicino sionista possa riaprirsi entro
qualche mese forse anche prima del previsto.

Il Libano da anni rappresenta un laboratorio politico privilegiato delle
strategie di destabilizzazione attuate dai centri studi strategici atlantici e
sionisti: contro il paese dei cedri sono state utilizzate tutte le tecniche di
sovversione immaginabili e le principali tattiche di sedizione a cominciare da
quell'autunno 2004 quando l'assemblea del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite di New York varò la risoluzione 1559 che aprì, di fatto, la lunga
stagione che avrebbe portato il paese attraverso una serie infinita di
attentati, autobombe, all'assassinio di autorevoli esponenti politici locali
(dalla strage di S.Valentino del febbraio 2005 nel quale perse la vita l'ex
premier Rafiq Hariri ad altri crimini commessi prevalentemente contro esponenti
anti-siriani) con il ritiro del contingente militare siriano della primavera
2005, il rientro di Aoun dal lungo esilio e la liberazione di Samir Geagea,
alle elezioni che in quella estate portarono alla nascita di un esecutivo
diretto da Fouad Siniora ed al cui interno per la prima volta sedettero
ministri di Hizb'Allah e sostenendo poi la barbara aggressione israeliana
dell'estate 2006 che, oltre a provocare vittime e danni ingenti alle principali
infrastrutture del paese, aprì la contrapposizione fra le due fazioni politiche
libanesi che, dall'autunno di quell'anno, cominciarono il lungo braccio di
ferro che oppose la maggioranza filo-occidentale sostenuta da Stati Uniti e
Europa all'opposizione nazionalpatriottica sostenuta da Iran e Siria.

Cinque anni vissuti pericolosamente tra stragi di stato delle quali nessuno
ancora ha saputo niente e sulle quali continuano inutilmente le indagini della
magistratura la quale sembra annaspare nel buio pesto di omissioni, mezze
verità frammiste a menzogne, dichiarazioni rese e ritrattate e quant'altro già
visto peraltro nell'Italia degli anni di piombo dei Settanta: quello in salsa
libanese appare un 'copione' studiato ad arte dai mestatori di professione
della politica internazionale, un 'remake' peraltro molto più insanguinato e
cruento di quanto subito dal 'belpaese' quarant'anni or sono con intromissioni
di servizi di sicurezza stranieri, diplomazia e politica regionali e
internazionali, ricatti, intrusioni di quelle centrali della destabilizzazione
e del depistaggio che hanno portato il Libano vicinissimo ad una guerra
civile.

Il Libano in realtà ha vissuto in questi ultimi cinque anni un conflitto
fratricida di bassa-media intensità: alle vecchie milizie degli anni Settanta-
Ottanta si sono sostituite nuove tecniche dissuasorie e nuovi metodi di
pressione (le autobombe, il ricorso alla piazza, il 'cecchinaggio' criminale
dei sostenitori hariristi filo-occidentali e quello delle bande criminali delle
Forze Libanesi di Geagea, il finanziamento e l'uso spregiudicato sulla scena
politica libanese del mercenariato wahabita-salafita con la comparsa delle
cellule terroristiche di Fatah al Islam all'interno dei campi profughi
palestinesi e - non certo da ultimo - l'escalation terroristico-militare
provocata contro il paese dei cedri dall'entità criminale sionista, estrema
ratio per le mire strategiche e per i desiderata americano-sionisti per imporre
manu militari la normalizzazione/americanizzazione del Libano); ma
sostanzialmente niente è stato lasciato al 'caso'.

In questo bailamme generale e con questo scenario da brividi i libanesi hanno
vissuto cinque anni pericolosamente fra alti e bassi, scontri e tensioni,
incidenti tra fazioni e autobombe e nella più totale ed assoluta mancanza di un
futuro. La politica libanese mai come nell'ultimo periodo è risultata realmente
'esplosiva' e incendiara: esplosiva perchè il numero di attentati che hanno
colpito questo piccolo Stato (con un'estensione territoriale di poco più grande
della Lombardia che, con i suoi 4 milioni circa di abitanti, è fra i più
piccoli di tutto il Vicino Oriente) sono stati assolutamente sproporzionati se
rapportati ad altre realtà della zona molto più sismiche, instabili e,
soprattutto, determinanti geostrategicamente per gli interessi della
plutocrazia mondialista; incendiaria perchè questa costante situazione di
tensione socio-politica vissuta dal Libano ha rischiato più volte di
sprofondare in un bagno di sangue generalizzato l'intero assetto regionale
spaccato in due dalla contrapposizione radicale che vede Washington e Tel Aviv
opporsi a quelli che sono gli ultimi capisaldi della resistenza e della
sovranità nazionale arabo-islamica ovvero Damasco e Teheran.

La plutocrazia mondialista che dirige e 'pilota' le scelte della politica
estera della superpotenza globale statunitense aveva prestabilito di abbattere
l'Afghanistan dei talebani e l'Irak ba'athista di Saddam Hussein e -  dopo
averne supportato per anni e funzionalmente ai propri interessi economico-
politici le mire e gli obiettivi strategici - utilizzando il pretesto
dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 (...sul quale continuano a
rimanere irrisolti dinamiche d'attuazione ed i mille misteri relativi alle
modalità che portarono a quell'operazione criminale preannunciata da tutti i
principali servizi d'intelligence ma 'stranamente' e troppo disinvoltamente -
vero e proprio 'laissez faire' - sottostimata da parte della CIA, della NSA e
delle diverse 'agenzie' spionistiche a stelle e strisce...tant'è sui fatti di
quella mattina nessuno potrà probabilmente dire cosa realmente sia successo al
di là ...nè ne verremo probabilmente mai a capo ....'consuetudine' alla quale
ci hanno oramai abituato il complottismo "made in USA"....) scatenare quella
serie di conflitti, le guerre asimmetriche di 'bushista' memoria con
l'esportazione manu militari della democrazia nel mondo arabo-islamico, che -
come un effetto-domino predeterminato e meccanico - avrebbero dovuto rovesciare
tutte quelle nazioni 'avvertite', 'identificate' e 'demonizzate'
dall'Establishment 'vaccaro-sionista' quali "Stati canaglia".

Nei piani delle centrali di destabilizzazione e sovversione atlantiche
immediatamente dopo le guerre d'aggressione che avrebbero abbattuto i regimi
talebano e quello ba'athista risultavano 'funzionali' la normalizzazione delle
altre realtà geopolitiche, strategiche e militari 'ostili' all'american way of
life, alle politiche neoliberiste e capitaliste occidentali e alle mire
espansionistiche statunitensi: la Palestina occupata, il Libano, la Siria e la
Repubblica Islamica dell'Iran ovvero l'ultimo 'reticolato' geostrategico
'puntato' contro l'emporio criminale sionista.

Dopo aver seminato sedizione e zizzania in seno alle fazioni palestinesi,
dopo aver tentato di imporre le proprie volontà tramite pressioni diplomatiche
e ricatti economici alla Repubblica Araba di Siria e aver 'mirato' Teheran
quale 'axis mundi', baluardo tradizionale e rivoluzionario in armi da
trent'anni contro il Grande Satana a stelle e strisce ed i suoi complici
kippizzati del regime d'occupazione sionista, l'Establishment ha identificato
nel paese dei cedri il possibile 'ventre molle' di quella che - con troppa
enfasi e una buona dose di fantasia propagandistica, veniva definita come la
"mezzaluna sciita".

Un errore di valutazione che è costato carissimo agli americani ed ai loro
alleati sionisti: le politiche di sedizione che sono state programmate ed
attuate dall'ambasciata statunitense ad Awkar (Beirut ovest) sono miseramente
fallite, il tentativo di riattivare i meccanismi per lo scatenamento di un
nuovo conflitto civile intra-libanese è stato sventato dalla responsabile e
prudente attitudine politica che ha contraddistinto per cinque anni Hizb'Allah
ed i suoi alleati - attenti a non cadere nei complotti e nelle provocazioni
orchestrate ad arte dagli apprendisti stregoni del nuovo ordine mondiale - e,
infine, sono malamente rovinati sia l'opzione militare lanciata da Tel Aviv
contro il Libano sia il ricorso alla versione libanese di al-qaeda alias Fatah
al Islam ovvero quella sorta di rete terroristico-mafiosa d'ispirazione sunnita-
salafita o wahabita che per correttezza ed onestà sarebbe meglio ribattezzare
come Fatah al Mossad visto e considerato la funzione eminentemente pro-sionista
e filo-saudita svolta dagli aspiranti Bin Laden di turno.

Non era difficile 'capirlo' quando la matassa destabilizzatrice e
complottista si stava dipanando dinanzi agli occhi di chi ha vissuto in prima
persona le vicende d'instabilità sociale e politica del paese dei cedri come
non è affatto un mistero che, attualmente, alla luce delle ultime dichiarazioni
provenienti da Tel Aviv e d'oltreoceano si stia preparando un secondo round ,
attesissimo peraltro da una Resistenza Islamica pronta a replicare colpo su
colpo, di quel conflitto solo ed esclusivamente 'interrotto' contro il regime
d'occupazione sionista.

Questi avvenimenti del recente passato sono semplicemente le diverse fasi che
hanno portato all'attuale situazione politica ed economica del Libano: da un
lato la fine della contrapposizione fra maggioranza filo-occidentale e
opposizione filo-siriana e filo-iraniana (sblocco che potrebbe risollevare le
disastrate finanze nazionali, la situazione di precarietà sociale, rilanciare
commercio e turismo - vitali per il paese dei cedri - e sostanzialmente
riportare il Libano al centro dei mercati internazionali quale concorrente
diretto dello stato ebraico); dall'altro lato una tensione latente che si
respira e quasi si taglia con un coltelo soprattutto nelle regioni
meridionali.

Esercito libanese e reparti militari dell'Unifil 2 sanno perfettamente che da
un lato i sionisti dall'altro Hizb'Allah sono pronti a riaprire le ostilità. Il
partito di Dio filo-iraniano di Sayyed Hassan Nasrallah ha, in diverse
occasioni, ribadito che non sarà il primo a colpire ma che tutto il suo
arsenale missilistico e l'intero dispositivo difensivo della Resistenza
Islamica sono pronti ed allertati per rispondere ad eventuali attacchi dal
cielo, dal mare o terrestri provenienti da sud.

Hizb'Allah è sicuramente molto più forte di tre anni e mezzo or sono quando
Ehud Barak, allora premier sionista in carica, decise di lanciare
quell'operazione di ripulisti generale che avrebbe dovuto disintegrare e
ridurre al minimo la "minaccia" sciita libanese: come tutti videro le cose
andarono molto diversamente da quanto si auspicavano i sionisti e i loro
complici.

La strategia israeliana, malgrado il disco verde ed il sostegno finanziario,
politico e diplomatico statunitense (e con la benedizione di fatto dell'intera
comunità internazionale, Europa in testa), fallì miseramente perchè Tel Aviv
sottostimò la capacità di reazione, la forza militare, il dispositivo
missilistico e la volontà indomita dei combattenti della Resistenza Islamica
che, per oltre un mese, riuscirono a rispondere, replicare e contrattaccare al
muro di fuoco ed alla terroristica aggressione scatenati da "Israele".

Il mondo intero, in particolare i sempre complici e meschini regimi filo-
americani del cosiddetto fronte moderato arabo (Egitto, Giordania, stati del
Golfo e del Nord Africa), poterono così constatare che Hizb'Allah non si era -
come troppo arrogantemente e pomposamente andarono dichiarando nei primissimi
giorni dall'inizio delle ostilità del 12 luglio 2006 - nè "imborghesito" nè
tantomeno "politicizzato"; che la Resistenza vigilava ed era pronta, armata e
combattiva; che i combattenti del partito sciita erano disposti al martirio sul
campo di battaglia, con tecniche che ricordavano quelle utilizzate
quarantacinque anni prima dai vietcong contro gli americani, colpendo alle
spalle e frontalmente, dai lati e ovunque possibile un nemico che - per mezzi e
uomini - si riteneva ed era almeno 'statisticamente' superiore.

La vittoria divina conseguita da Hizb'Allah contro "tsahal" fu uno schiaffo
che il Libano e la sua Resistenza lanciarono in fronte al mondo intero: al
mondo della plutocrazia sionista che quella guerra l'aveva programmata da anni,
al mondo degli affari e della finanza mondialista che quel conflitto l'aveva
sostenuto a spada tratta, al mondo dei war game's a stelle e strisce
dell'amministrazione Bush e delle deliranti teorie neoconservatrici dei
Rumsfeld, Brzezinski, Perle, Huntington, Wolfowitz e 'compari' che sognavano la
conquista manu militari del cuore del continente eurasiatico e l'egemonia sul
mondo arabo-islamico e - non certo irrilevante - a tutto il mondo della carta-
straccia filo-sionista, giudea e giudaizzante, che per un mese 'sbavava' rabbia
e bile dinanzi all'impotenza militare dimostrata sul campo dall'esercito
d'occupazione israeliano annichilito, avvilito, psicologicamente disintegrato
da un'impeto, un ardore ed una determinazione che solo la volontà e la fede dei
combattenti di Hizb'Allah poterono mostrare.

E' successo una volta, tre anni e mezzo fa, e può succedere ancora perchè
"tsahal" non è invincibile nè lo sono i suoi mezzi, la sua tecnologia
all'avanguardia e tutte le strategie e tattiche che si stanno studiando, in
queste ore e da mesi, per ritentare il colpo basso contro un paese , il Libano,
che già ha dimostrato di non voler cedere un metro quadrato del proprio
territorio all'arroganza sionista nè di svendere la propria sovranità nazionale
alle politiche ricattatorie americane.

 Un Libano che, immediatamente dopo l'aggressione del luglio-agosto 2006, si
ritrovò a fare i conti con una situazione economica disastrosa, con una
ricostruzione delle aree colpite dai bombardamenti terroristici dell'aviazione
sionista (la Beka'a settentrionale e meridionale, il sud, la periferia
meridionale di Beirut non dimenticando che gli israeliani non si limitarono a
queste zone ma colpirono obiettivi civili e militari in tutto il paese da Tiro
a Sidone, da Ba'albek a Tripoli), con il lassismo istituzionale di un governo,
diretto da Siniora, fortemente sospettato di una compromissoria attitudine e di
una supina accettazione dei diktat della comunità internazionale, di fatto
alleato oggettivo delle politiche statunitensi e sioniste, e che di lì a pochi
mesi sarebbe stato messo sotto accusa per corresponsabilità nella conduzione
della difesa dinanzi all'aggressione quindi abbandonato e infine contestato da
Hizb'Allah e dai suoi alleati.

La stagione politica che si andrà ad aprire dal novembre 2006 - quando a metà
mese il partito sciita filo-iraniano abbandonerà il governo assieme a Haraqat
'Amal , altro movimento sciita diretto dal presidente del parlamento Nabih
Berry - e che si protrarrà fino alla primavera 2008 sarà contrassegnata dal
lungo braccio di ferro e dalle manifestazioni di piazza dei partiti
dell'opposizione, eterogenea alleanza di movimenti politici che difenderanno il
diritto delle resistenza e richiederanno la riforma delle istituzioni. Una
stagione che sarà tormentata da scontri di piazza, attentati, contrapposizioni
violente fra i due poli della politica libanese e che si concluderà solo dopo
la marcia 'motorizzata' degli uomini di Hizb'Allah e 'Amal che nel maggio 2008
conquisteranno i punti nevralgici della capitale, in particolar modo i
quartieri a maggioranza sunniti feudo del partito Corrente Futura dell'attuale
premier Hariri e sbaraglieranno gli avversari concludendo le ostilità che
continueranno per qualche mese soltanto nella regione settentrionale
dell'Akkar, alle spalle di Tripoli.

Questi in sostanza saranno gli antefatti che hanno portato alle scorse
elezioni politiche del 7 giugno: momenti salienti della storia recente del
paese dei cedri che sottolineano una evidente serie di strategie attuate senza
successo dalle centrali di destabilizzazione atlantico-sioniste. Il sogno del
"Great Middle East project" della Rand Corporation è stato definitivamente
spazzato via dalla vittoria conseguita da Hizb'Allah di fronte all'arroganza
sionista. L'utopia di un Libano 'arancione' e filo-americano è stata
disintegrata dalla cosciente e responsabile politica di contenimento perseguita
con successo e lungimiranza dal partito di Sayyed Hassan Nasrallah.

Hizb'Allah è riuscito ha mettere in scacco politicamente e militarmente la
superpotenza americana e i suoi compari sionisti senza nulla concedere e senza
arretrare di un millimetro ma - utilizzando tattica e spregiudicatezza,
realpolitik e strategia o, per essere più esatti, il bastone e la carota a
seconda dei casi - lavorando ai fianchi, instancabilmente, irriducibilmente,
l'avversario.

Avversario che si presentava sotto forme diverse e con atteggiamenti
distinti: la diplomazia statunitense, le politiche 'risolutorio-sanzionatorie'
dell'Onu, l'indifferenza ed il cinismo della cosiddetta comunità
internazionale, l'arroganza ed il terrorismo sionista, la sedizione harirista
finanziata dall'Arabia Saudita, i complotti dei paesi arabo-moderati, il
terrorismo destabilizzante dei movimenti d'ispirazione salafita, il vetero-
falangismo di Samir Geagea o il socialprogressismo filo-yankee di un Waleed
Jumblatt.

Mille forme, mille volti, mille sigle per un unico obiettivo: disarmare la
Resistenza Islamica e ridurre il potenziale militare e la capacità di
Hizb'Allah di rimanere l'elemento determinante ed il fattore di equilibro della
politica in Libano e nell'intero Vicino Oriente.

Niente di tutto quanto abbiamo solo appena accennato è stato posto in essere
dalle centrali di sedizione e terrore è riuscito a scalfire la granitica
macchina da combattimento, politico e militare, rappresentata dal partito di
Dio sciita filo-iraniano che, come non mai, attualmente svolge il ruolo di
avanguardia rivoluzionaria e milizia politica in armi contro tutti i futuri
prossimi tentativi di destabilizzazione provenienti da Tel Aviv o Washington.

E se la risoluzione 1559 dell'Onu aprì la stagione dei veleni e scatenò
l'odio inter-libanese - portando al ritiro del contingente militare siriano ed
allo strappo solo parzialmente ricucito recentemente fra Beirut e Damasco -  è
da ricordare come neppure la pressione della piazza filo-americana dei
sostenitori del fronte del 14 marzo (Corrente Futura di Hariri, Falange di
Gemayel, Forze Libanesi di Geagea e Partito Socialprogressista di Jumblatt)
riuscì a ridurre lo spazio di manovra e il ruolo di un partito destinato a
cambiare i destini dell'intero Vicino Oriente. Un partito, Hizb'Allah, che è
insieme movimento di popolo e organizzazione rivoluzionaria di resistenza; nato
per contrastare militarmente i sionisti e rivolto ad assicurare una sovranità
nazionale al paese dei cedri altrimenti inesistente ed in perenne balia delle
volontà egemoniche di Tel Aviv o dei disegni strategici americani.

La cosiddetta "primavera di Beirut" del 2005 (nota anche come "rivoluzione
dei cedri" secondo la paraplegica propaganda filo-occidentale per alcuni mesi
'sbandierata' dai mass media dei quattro angoli del pianeta) finanziata
dall'America e sponsorizzata dai servi sciocchi delle politiche neoliberiste
filo-occidentali si sbriciolerà senza lasciare traccia alcuna di fronte
all'opzione ritenuta allora conforme da Nasrallah e dai suoi uomini di correre
alle elezioni legislative di quell'estate al lato dei partiti del fronte di
Bristol entrando successivamente in un esecutivo all'interno del quale era
opportuno lavorare cercando di mantenere le posizioni.

D'altro lato l'alleanza stabilita un anno più tardi (marzo 2006) con la
Corrente Patriottica Libera del Gen. Michel Aoun, emblema della lotta di
liberazione della comunità cristiano-maronita dal trentennale stazionamento
militare dei siriani in Libano e simbolo di un nazionalismo libanese autoctono,
arabo e laico - antitetico alle 'consuete' genuflessioni che , durante l'epoca
della guerra civile (1975-1990), le diverse famiglie maronite al potere
riservavano ai sionisti - ; garantiva ad Hizb'Allah una forza contrattuale
molto superiore e la possibilità di affrontare le difficoltà che sarebbero
arrivate dopo qualche mese.

La visione illuminante dimostrata fino ad oggi dai dirigenti del Partito di
Dio ha permesso a questi ultimi di affrontare le ultime legislative con la
certezza di arrivare - qualunque fosse il risultato che fuoriusciva dalle urne
elettorali - ad un esecutivo di unità nazionale realmente rappresentativo di
tutte le principali fazioni del paese.

L'accordo infine raggiunto la scorsa settimana fra maggioranza ed opposizione
sancisce nient'altro che una strategia a tappe che è stata sapientemente e
lucidamente perseguita da Hizb'Allah permettendo al paese di chiudere una
pagina dolorosa di contrapposizioni e di odio ed al premier designato, Sa'ad
Hariri, la formazione di un esecutivo realmente rappresentativo del panorama
parlamentare e rispettoso del 'peso' politico' dei singoli partiti.

La reazione della stampa nazionale libanese ed araba all'annuncio del premier
Hariri è stata sostanzialmente euforica: questo esecutivo potrebbe aprire
scenari inediti per il paese e inaugurare un periodo di stabilità necessario
per uscire da questi cinque anni di turbolenze politiche e militari e da una
situazione economica e finanziaria dissestata.

“Il nuovo esecutivo permetterà ai libanesi di rinnovare la fiducia nelle loro
istituzioni, o li porterà a sperimentare nuovamente la loro passata incapacità
di raggiungere un consenso”, ha detto Hariri. “So che le esperienze della fase
precedente non sono state incoraggianti …. Il Libano è quasi scivolato verso l’
ignoto, ma la fiducia nella perseveranza del popolo libanese ci ha fatto
vincere la lotta, dando al paese la possibilità di risorgere.”
Hariri ha detto che il suo governo si concentrerà sull’economia, la riforma
amministrativa, e l’attuazione di un antico progetto di privatizzare alcuni
servizi dello Stato.

I problemi che potrebbe incontrare Hariri però sono diversi: se la sua
autorità non viene discussa quale leader della maggioranza filo-occidentale (e
principale esponente della comunità di fede sunnita sostenuta dall'Arabia
Saudita che in Libano ha investito pesantemente negli ultimi anni e che non
vuol perdere la sua influenza economica e politica a vantaggio di un partito di
Dio finanziato da Teheran) restano numerose le incognite sul futuro che si
preannuncia grigio in particolare per le reiterate, quasi quotidiane, minacce
provenienti dalla frontiera meridionale dove "Israele" sembrerebbe pronto a
riaprire le ostilità interrotte nell'agosto di tre anni fa.

I principali analisti locali e quelli che si occupano della politica
regionale hanno sottolineato che non sarà semplice per Hariri gestire questa
nuova fase che dovrà peraltro caratterizzarsi almeno da quattro punti
fondamentali: - un riavvicinamento alla Siria, un rilancio dell'economia
nazionale, la riconciliazione nazionale e il problema dell'arsenale militare
della Resistenza del quale sembra continuare ad occuparsi l'amministrazione
obamita statunitense.

Hariri ha dichiarato che Hizb'Allah è un fattore essenziale della vita
politica nazionale mentre Aoun, alleato maronita del partito filo-iraniano, ha
ribadito che l'arsenale della Resistenza non è in discussione fino a quando il
paese non riuscirà a dotarsi di un'assetto difensivo capace di contrastare le
mire israeliane.

Resistenza Islamica ed Esercito formano un inscindibile blocco che opera al
fine di proteggere i confini meridionali e per garantire al paese la sicurezza
nazionale minacciata da "Israele" come ha recentemente affermato il Capo dello
Stato, Gen. Michel Souleiman.

Secondo quanto ha affermato Sateh Nourreddine, editorialista del quotidiano
libanese "As Safir": "ci sarà un delicato equilibrio nel paese. Il governo
appena in carica dovrà fronteggiare immediatamente i problemi sociali e
risolvere le questioni vitali dell'economia. Non credo però potrà essere in
grado di affrontare i grandi temi politici relativi al ruolo della Siria, di
Israele, dell'Iran e di tutto ciò che riguarda la politica estera nazionale.".

Naturalmente quando si parla di politica estera da queste parti si intende
quella regionale ed internazionale che direttamente interagisce con la
situazione interna: da decenni il paese è in balia di diverse forze straniere e
la sua turbolenza politica dell'ultimo periodo rifletteva spesso rivalità e
lotte di potere che si delineavano su scala regionale fra Teheran e Damasco da
un lato e Riad, Washington e Tel Aviv dall'altro lato. Ogni Stato della regione
ha avuto un ruolo ed ha giocato le sue carte nel puzzle libanese: un puzzle
intricatissimo all'interno del quale occorre sottolineare che sia sempre
esistito un sostanziale 'balance of power's' (bilanciamento, equilibrio, dei
poteri)
che è anche la causa prima delle lunghissime, estenuanti, contrattazioni che
si sono registrate per cinque mesi per la distribuzione/nomina di un dicastero
ministeriale.


Per comprendere esattamente questa sorta di "matrioska libanese" che vede
soggetti geopolitici regionali ed internazionali interagire sulla scacchiera
libanese muovendo a loro piacimento i referenti nazionali occorre soffermarci
ulteriormente sul carattere confessione e multietnico, multireligioso e
multiculturale, che è caratteristica principale della democrazia libanese.

Interpellato telefonicamente dal sottoscritto nella mattinata di venerdì
scorso il segretario generale del Partito Comunista Libanese, dr. Khaleed
Haddade, lamentava che il governo di unità nazionale appena formato da Hariri
fosse la risultante del "confessionalismo politico dominante nel paese" che, a
suo dire, rappresentava il principale ostacolo per una riforma generale della
vita politica necessaria per fuoriuscire dall'impasse che, da sessant'anni,
bloccava qualsiasi iniziativa volta a dare una rappresentanza parlamentare
reale delle forze politiche.

Problema non nuovo che, soprattutto negli ultimi tre anni, il PCL ha
sollevato ponendosi di lato, al fianco, dei partiti e dei movimenti
dell'opposizione nazionale.
La questione dell'ordinamento politico libanese e della sua caratteristica
etnico-confessionale necessita, crediamo, di un approfondimento in particolar
modo per presentare quella che è una delle specificità della politica libanese
e, insieme, il suo elemento costitutivo fin dalla nascita, nel 1943, della
Repubblica Libanese.

Innanzitutto occorre sgombrare il campo dagli equivoci sempre presenti in
Occidente quando si suol parlare dei rapporti fra laicità dello Stato e
religione: in Libano non abbiamo uno Stato "teocratico" ma una democrazia su
basi confessionali che è tutt'altra cosa rispetto, per esempio, alla realtà
della Repubblica Islamica dell'Iran.
Il Libano è una repubblica parlamentare di tipo semi-presidenziale dove il
Capo dello Stato, il Presidente della Repubblica, condivide il potere esecutiv
assieme al primo ministro - partecipando alle sedute del Consiglio dei Ministri
, nominando o revocando l'incarico del premier - mentre all'Assemblea Nazionale
dei deputati ( = Majlis al-Nuwwàb) spetta il potere legislativo.

Per quanto apparentemente non dissimile dal modello di altre democrazie
occidentali la formula libanesi si caratterizza per il suo confessionalismo
ovvero un assetto istituzionale nel quale l'appartenenza religiosa di ogni
singolo cittadino diviene principio ordinatore della rappresentanza politica e
il perno attorno al quale ruota tutto il sistema giuridico. Tutte le principali
cariche istituzionali e politiche, gli incarichi amministrativi e dirigenziali
dello Stato sono suddivisi tra le differenti confessioni religiose sulla base
di una convenzione costituzionale risalente al "Patto Nazionale" (al-mìthàq al-
watanì) del 1943 che integrò e reinterpretò la costituzione del maggio 1926.

Sulla base di questo "patto" la divisione degli incarichi istituzionali si
basa su un meccanismo predeterminato di quote riservate a seconda del gruppo
etnico-confessionale d'appartenenza e sulla base della percentuale e del peso
demografico e sociale che ciascuna comunità rappresenta.

E' su queste basi che si fonda la democrazia confessionale libanese la quale
assegna la carica di Capo dello Stato, Presidente della Repubblica, ad un
cristiano-maronita, quella di Primo Ministro e capo del Governo ad un musulmano
sunnita ed , infine, quella di Presidente dell'Assemblea Nazionale (il
parlamento) ad un musulmano sciita.
Occorre sottolineare che gli accordi di pacificazione nazionale sottoscritti
dai principali gruppi politici nel 1989 a Ta'if in Arabia Saudita non hanno
modificato il sistema originario ma si sono limitati a riequilibrare i rapporti
di forza interni tra le principali confessioni religiose parificando il numero
dei deputati musulmani e cristiani e aumentando notevolmente il potere e le
prerogative del primo ministro a scapito di quelle del Capo dello Stato.

Anche la suddivisione parlamentare , la ripartizione dei seggi, è derivata da
un complicato meccanismo stabilito in base sia a criteri geografici sia a
criteri confessionali che mira a riflettere gli equilibri demografici esistenti
in ambito nazionale e locale (provinciale) i quali sono espressione dei diversi
governatorati (muhàfaza) a loro volta suddivisi in 25 distretti (qadà) più o
meno equivalenti rispettivamente alle regioni e ad alle provincie italiane.


La Repubblica del Libano è divisa in sei governatorati, a loro volta divisi
in 25 distretti (qadā'). I governatorati ed i distretti elettorali sono:
Governatorato di Beirut
Governatorato della Bekaa (capoluogo Zahle)
Distretto di Hermel (Hermel)
Distretto di Baalbek (Baalbek)
Distretto di Zahle (Zahle)
Distretto di Bekaa Ovest (Joub Jannine)
Distretto di Rashaya (Rashaya)
Governatorato del Monte Libano (capoluogo Baabda)
Distretto di Jbeil (Jbeil, l'antica Biblo)
Distretto di Kisrawan (Jounieh)
Distretto di Metn (Jdaidet El Matn)
Distretto di Baabda (Baabda)
Distretto di Aley (Aley)
Distretto di Chouf (Beiteddine)
Governatorato del Nord Libano (capoluogo Tripoli)
Distretto di Akkar (Halba)
Distretto di Miniye e Dinniye (Minieh)
Distretto di Tripoli (Tripoli)
Distretto di Zgharta (Zgharta)
distretto di Bsharre (Bsharre)
Distretto di Koura (Koura)
Distretto di Batrun (Batrun)
Governatorato del Sud Libano (capoluogo Sidone)
Distretto di Sidone (Saida, l'antica Sidone)
Distretto di Jezzine (Jezzine)
Distretto di Tiro (Tiro)
Governatorato di Nabatiye (capoluogo Nabatiye)
Distretto di Nabatiye (Nabatye)
Distretto di Marjuyun (Marjayoun)
Distretto di Hasbaya (Hasbaya)
Distretto di Bent Jbail (Bent Jbail)

Questa suddivisione geografica del resto fa da contraltare ed è speculare a
quella esistente a livello confessionale ed etnico: in Libano esistono diciotto
confessioni che spesso si confondono con l'etnia d'appartenenza. Le confessioni
istituzionalmente riconosciute sono:
- Cristiana (suddivisa in chiese e comunità fra le quali i maroniti, i greco-
ortodossi, i greco-cattolici di rito melchita, gli armeno-apostolici, gli
armeno-cattolici, i siriaco-ortodossi, i siriaco-cattolici, i protestanti, i
copti, gli assiri, i caldei e i cattolici di rito latino);
- Musulmana (divisa tra le comunità sunnite, sciite e ismaelite con le due
comunità alawuita e drusa);
- Ebraica (quest'ultima ridotta a poche decine di unità soprattutto dopo
l'invasione israeliana del Libano del 1982).
Per questa sua libanesizzazione (termine massmediaticamente molto utilizzato
all'epoca del conflitto civile poi sostituito dal più reente balcanizzazione)
confessionale il paese si è formato in zone etnico-religiose dove, a macchia di
leopardo e in enclavi ben distinte, vivono i diversi gruppi religioso-
confessionali: da un lato se i cristiani sono concentrati maggiormente nella
zona centrale del Monte Libano e nella zona orientale di Beirut, i sunniti
occupano soprattutto il nord, la zona attorno a Tripoli, l'Akkar, o vivono a
Sidone o nei quartieri occidentali della capitale mentre gli sciiti stazionano
prevalentemente nella periferia meridionale di Beirut, nella Valle della Beka'a
o nel sud del paese lasciando lo Chuf (zona montagnosa a sud-est di Beirut) ai
drusi.
E' da queste premesse che si può riconsiderare l'importanza geopolitica e
strategica che assume il Libano a livello regionale e per la politica
d'intromissione e destabilizzazione del Vicino Oriente delle centrali atlantico-
sioniste: concorrente finanziario per "Israele" e piazza bancaria di primissimo
livello nei decenni Cinquanta e Sessanta il paese dei cedri cadde in disgrazia
con l'inizio del conflitto civile (1975) che per quindici anni impegnò i
libanesi in una vera e propria faida fratricida di bande, milizie e
organizzazioni paramilitari rispondenti a questa o a quell'altra famiglia
dell'alta borghesia maronita o sunnita. In quella già complicata matassa etnico-
confessionale, con la presenza dell'OLP e all'epoca di oltre 450mila
palestinesi che costituivano uno Stato nello Stato, intervennero di volta in
volta e progressivamente la Siria, l'entità sionista, gli Stati Uniti, l'Europa
(che inviò una missione militare composta dai contingenti di Francia, Italia e
Gran Bretagna), l'Irak di Saddam Hussein, l'Iran khomeinista e ,
disinvoltamente, tutti i principali paesi arabi interessati per motivi politici
(Egitto e Giordania) o economico-confessionali (Arabia Saudita e stati del
Golfo). Ciò fece dichiarare al Segretario Generale di Hizb'Allah , Sayyed
Hassan Nasrallah, durante una manifestazione in occasione delle celebrazioni
della Giornata Mondiale di Al Qods (Gerusalemme occupata) del 1996 che "oltre
sessantacinque servizi di sicurezza di diverse nazioni stanno spiando la nostra
organizzazione".
Il laboratorio politico libanese rimane dunque un vero e proprio rompicapo
per quanti non abbiano toccato con mano e sperimentato direttamente la realtà
di una nazione fiera della propria diversità e della propria identità di ponte
di civilizzazione nel Mediterraneo tra cultura occidentale (retaggio della pre-
esistente colonizzazione francese) e cultura arabo-islamica dove esistono
realmente interazioni ed alleanze che vanno oltre alle demenziali
contrapposizioni confessionali o etniche derivate dai cervellotici complotti
partoriti dagli stregoni mondialisti che miravano a fomentare, dopo
l'Afghanistan e l'Irak, quelle "guerre di civiltà" tanto care
all'amministrazione Bush ed alle tendenze omologanti normalizzatrici
dell'Establishment giudaico-mondialista che controlla e dirige la politica
estera della superpotenza a stelle e strisce.
Il nuovo Libano che si appresta a realizzare il suo primo autentico governo
di unità nazionale nasce sotto il segno della riconciliazione nazionale
preludio per mettere fine alla interminabile contrapposizione che da cinque
anni ha paralizzato la vita politica e la società libanese. Una
contrapposizione che non è confessionale nè etnica come accaduto in Irak o in
Afghanistan ma che si basava esclusivamente sul sostegno o l'opposizione alle
politiche destabilizzanti statunitensi ovvero sui reiterati tentativi compiuti
dall'amministrazione USA di 'democratizzare' il Vicino Oriente.
Tentativi falliti finora e che sono destinati a continui fallimenti per la
resistenza opposta dalla maggioranza dei libanesi, un popolo stanco di subire i
ricatti provenienti dall'estero e che ha saputo resistere orgogliosamente e in
totale solitudine all'aggressione sionista del 2006 (l'ultima peraltro di una
lunga serie) come saprà rispondere e resistere ad altre , future, aggressioni.
In prospettiva il nuovo esecutivo di unità nazionale diretto da Hariri
dovrebbe a breve ribadire la dichiarazione sullo "status" della Resistenza -
l'ala militare di Hizb'Allah - la cui legittimità istituzionale è intoccabile
come hanno ripetutamente ribadito tutti i principali esponenti
dell'Opposizione.
“La stesura della dichiarazione ministeriale non sarà affatto un problema,
sulla base del fatto che, parallelamente al riconoscimento libanese della
risoluzione 1701 [che pose fine alla guerra tra Israele ed Hezbollah nel 2006],
è nel diritto del popolo, dell’esercito, e della resistenza recuperare le terre
occupate con tutti i mezzi disponibili “, ha dichiarato il Capo dello Stato,
Gen. Souleiman, secondo quanto riportato dai giornali libanesi martedì scorso,
riecheggiando la frase contenuta nella dichiarazione politica del precedente
governo.
Anche il nuovo governo percorrerà inevitabilmente questa strada perchè altre,
alla luce della realtà complessa del Libano e della sua storia recente, non ne
esistono. Chiunque metta in discussione il diritto inalienabile e la
legittimità intangibile della Resistenza Islamica di difendere i confini
meridionali può essere annoverato di buon grado fra i nemici della sovranità
nazionale e un mercenario al servizio del Sionismo e dell'Imperialismo
internazionali.
E poco conta che alcuni partiti, nei giorni immediatamente seguenti
all'annuncio del premier Hariri, abbiano minacciato di rifiutare i loro
ministeri e di uscire dalla coalizione di maggioranza del 14 marzo (fra questi
si segnala la Falange cristiano-maronita di Gemayel); la questione della difesa
dei confini meridionali è indiscutibilmente affare di Stato che da T'aif (1989)
fino ad oggi ha sempre riconosciuto la legittimità e legalità delle operazioni
militari svolte da Hizb'Allah e dai suoi uomini.
“Gli ostacoli principali legati al governo sono stati superati, e la
questione delle armi di Hezbollah sarà affrontata nel dialogo nazionale”,
afferma Ousama Safa, direttore del Lebanese Center for Policy Studies.
“Dovremmo sperimentare un minimo di stabilità per un po’, ma non aspettatevi
alcuna modifica sconvolgente da parte del governo”.

E, siamo certi, che Hariri una volta trovato l'accordo con il blocco sciita
ed il suo principale alleato cristiano-maronita, Aoun, non manderà a carte
quarantotto un esecutivo per il quale ha lavorato per cinque mesi.
Il Libano volta pagina. O almeno è quello che si augurano tutti i libanesi.