Firenze, memorie di una città invasa
di Massimo Fini - 25/09/2025
Fonte: Massimo Fini
Sogno di una giornata di inizio settembre. La mia fidanzata, fiorentina, era stata ricoverata per un lieve intervento. Andavo quindi a trovarla la mattina. Mi rimaneva tutto il giorno libero e non sapevo che fare.
Per stare sul sicuro, così almeno credevo, andai da Paszkowski e le Giubbe Rosse, i mitici locali dove un tempo si recavano gli artisti e gli americani colti che quando lo sono, colti intendo, lo sono per davvero (come se la cavino oggi con la volgarità di Trump mi piacerebbe sapere).
Se c’è una città che è stata distrutta dal turismo cheap, di massa, oltre a Venezia, questa è Firenze. Roma no, Roma riesce sempre a inglobare tutto, a cominciare dagli stili architettonici e urbanistici, da quello della Roma antica all’umbertino, gli manca solo il periodo medievale perché fu rasa al suolo e semidistrutta dai Lanzichenecchi che la ridussero a 13 mila abitanti e forse sarebbe stato meglio che fosse rimasta tale, perché oggi Roma è come una cozza che assorbe il peggio del Sud e il peggio del Nord. Se voi andate oggi ad Atene, vedete che l’Acropoli e il Partenone non c’entrano nulla con la città e della Grecia antica non ha conservato nulla, semmai la Grecia antica la si trova nella “Magna Grecia”, cioè nel Sud Italia e soprattutto sulle coste della Sicilia. Gianni Agnelli, per sbeffeggiare Ciriaco De Mita, irpino di Nusco, lo definiva un “intellettuale della Magna Grecia”, senza rendersi conto di fargli un complimento.
Durante la giornata non sapevo dunque che fare, anche perché Firenze è diventata una città quasi inabitabile per i fiorentini: è una città per turisti. Sparite le librerie, La Condotta, la Libreria del Porcellino, il Drago, Mucho Mojo, Le Monnier. E pensare che Firenze è stata la Capitale italiana della cultura, de La Voce di Prezzolini, di Lacerba di Giovanni Papini eppoi Ardengo Soffici, nato a Rignano sull’Arno, come Matteo Renzi, che pure è un buon uomo di cultura (ne ascoltai una conferenza quando era sindaco di Firenze, buon conoscitore, per dirla con Buzzati, delle “arti belle”, cioè visive e ottimo dicitore in linguaggio fiorentino anche se non fine come quello pisano del mi babbo. Renzi ha difficoltà a parlare in inglese perché, in questo caso, gli è difficile fare battute).
Ero quindi spaesato, finché non mi imbattei in Fabio Canessa, docente di italiano e latino al Liceo. Canessa è uno degli uomini più colti che io conosca, fa parte di quella colonna vertebrale di docenti, purtroppo sempre più rari, che cercano di tenere l’insegnamento scolastico a un livello di decenza. Ma non è questa la sua caratteristica principale. Canessa è ubiquo. In qualsiasi città d’Italia tu vada trovi Canessa. Fabio, conoscendo i miei gusti, mi portò in un locale abbastanza equivoco nei pressi dell’Arco di San Piero dove si radunano gli omosessuali, gli irregolari di ogni tipo, gli inquieti della notte (a Milano c’è un locale di questo tipo, le Capannelle, che però ha in più la particolarità che tiene aperto, contro ogni diktat del Comune fino alle 7 del mattino, non a caso sta nei pressi di San Vittore).
In quel locale incontrammo Aldo Busi, che nel suo narcisismo patologico, si ritiene il più grande scrittore italiano del Novecento. Non è così, naturalmente. Ma non si può negare che Busi sia un vero scrittore, uno dei migliori del dopoguerra (Vita standard di un provvisorio venditore di collant, 1984 e Seminario sulla gioventù, 1985 che mi è stato, tra l’altro, molto utile per il mio Ragazzo. Storia di una vecchiaia). Busi fece un culo così a Canessa perché in una recensione aveva osato formulare qualche critica e Fabio stava ad ascoltarlo sull’attenti come uno scolaretto.
In quel periodo, quando andavo a Roma, ero ospite di Pamela Villoresi, l’attrice. In cambio Pamela, quando veniva a recitare a Milano, era ospite mia (questi scambi oggi sono abituali fra i giovani, allora non era così): finito teatro veniva da me e, dopo tutta quella fatica, mi faceva la cena. Ha una grandissima energia, tipo Travaglio. Quando eravamo insieme a Talamone voleva costringermi a nuotare fino al Giglio, ora io nuoto abbastanza bene ma non fino a quel punto e anche Pamela una volta, ostinandosi a nuotare contro corrente, per un pelo non ci lasciò la pelle. Pamela Villoresi è di origine tedesca e per questo e anche per sua indole naturale è ordinatissima. Bene. Una volta, mentre era da me, entro nella sua stanza e trovo un casino inenarrabile. Ora per stupire me per un casino o per un disordine ci vuole parecchio, ma il fatto era che da me si sentiva come liberata da quella costrizione.
Firenze non è più quella di una volta, non è più quella di Amici miei, come notava sul Corriere Iacopo Gori (11.9), ma nemmeno i fiorentini sono più quelli di una volta. Dove sono finite quelle spettacolari e creative bestemmie in vernacolo? Se uno ha mai visto un fiorentino che si pesta un dito con un martello sa quel che mi dico, dopo un perfetto toscano, “mi sente il dito”, giù bestemmie.
Aldo Busi l’ho incontrato nuovamente di recente a Roma. Di recente? vai a capirlo, invecchiando i tempi si schiacciano e fatti remotissimi paiono essere avvenuti ieri. Alloggiavamo nello stesso, modesto, albergo a Porta Pia che ha sotto un baretto altrettanto modesto. Ho visto nei suoi occhi la disperazione. Per due motivi. Il primo è che si rendeva perfettamente conto che non aveva più nulla da dire e da scrivere, e infatti, lui noto presenzialista, è sparito da anni dalle scene. L’altra è che l’omosessualità è esteticamente bella quando sei dalla parte della preda, cioè sei giovane; il passaggio alla parte del predatore significa una sola cosa: sei irrimediabilmente invecchiato.