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Omicidi mirati per la Task Force 45

di Giancarlo Chetoni - 06/10/2010

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Abbandonare Kabul – la dichiarazione è arrivata da Rasmussen, il Segretario Generale della NATO al summit dei 28 ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica che si è tenuto a Bratislava il 22 Ottobre 2009 – avrebbe, a suo dire, costi altissimi e catastrofiche conseguenze per l’Europa.
“A quelli che ci chiedono se il costo del nostro impegno non sia troppo elevato, io rispondo – ha continuato – che il costo della mancata azione sarebbe molto più grande ed il Paese (l’Afghanistan – ndr) ridiventerebbe terreno di addestramento di Al Qaeda”.
Mentre salta immediatamente agli occhi la colossale menzogna di queste affermazioni e la pagliaccesca strumentalità delle motivazioni, traspare tra le righe una paura folle: la necessità di tenere ancora aggregata la partecipazione militare dei Paesi del vecchio e del nuovo Continente (per dirla alla Rumsfeld) al traballante apparato militare degli USA, a corto anche di elicotteri da trasporto medi e pesanti, nonostante un’immissione di 100 nuovi CH-47 per posizionare e rifornire sul campo il contingente aggiuntivo di 39.000 marines e rangers arrivati a scaglioni dall’Iraq nell’arco degli ultimi sei mesi.
Ad ISAF NATO aderisce anche personale militare appartenente a Stati falliti (Polonia, Estonia, Lituania) e Stati falliti e criminali (Georgia e Kosovo). Rasmussen dai singoli governi dell’Europa ha preteso ed ottenuto nel corso del 2009 complessivamente 7.000 unità aggiuntive.
USA e NATO hanno chiesto aiuto alla Russia per poter disporre entro il 2011 di altri 56 elicotteri da trasporto MI-8 dopo i 16 già arrivati a Kabul.
Mosca ha risposto affermativamente alla richiesta avanzata dal Pentagono, mettendo inoltre a disposizione di Washington nuovi corridoi aerei e le tratte ferrate della Russia per il trasporto del materiale militare. Esamineremo i perché in altra occasione.
Da Bratislava ad oggi per bocca di Frattini e La Russa, su decisione di Napolitano e dei soci del Consiglio Supremo (!) di Difesa, l’Italia senza badare a spese ha contribuito alle nuove necessità operative della “missione di pace” con l’invio in Afghanistan di altri 1.450 militari, con larga dotazione di mezzi blindati e rifornimenti logistici. L’impegno assunto dalla Repubblica delle Banane sfiora da solo il 20% della richiesta fatta all’intera Europa.
Altri 200 “istruttori” dell’Arma dei Carabinieri destinati ad affiancare formazioni dell’esercito afghano raggiungeranno Herat entro Dicembre.
Decisione resa nota da Ignazio La Russa a distanza di ventiquattro ore dalla visita mattutina di Rasmussen al Quirinale, alla presenza del ministro degli Esteri Frattini, ed a Palazzo Chigi nel primo pomeriggio del 17 Settembre. Visita che ha come al solito fatto registrare sorrisi larghi e convinte strette di mano, e messo in risalto il clima di solida, perdurante amicizia esistente tra le parti.
Sul nuovo oneroso impegno dei 200 Carabinieri da sbattere nella regione Ovest, l’”opposizione” ha pensato bene di fare, ancora una volta, l’usuale scena muta.
Vediamo ora di fare un po’ di luce sulla bufala fatta filtrare dal quartier generale di Langley attraverso i “media”, a partire da Fox Channel TV, sulla presenza nel sottosuolo del Paese delle Montagne di almeno 1.ooo miliardi di dollari di ricchezze minerarie, di miliardi di barili di petrolio e decine di miliardi di mc di metano nascosti sotto le vallate dell’Afghanistan.
La “notizia” ha la finalità di convincere l’opinione pubblica italiana ed europea che il costosissimo intervento militare della NATO in Asia centrale potrebbe avere un ritorno da capogiro in materie prime, metalli rari ed energia per i Paesi Alleati che affiancano e sostengono il governo Karzai, gli USA ed Enduring Freedom.
Una guerra che fa migliaia di morti all’anno e che Wikileaks sta portando alla luce nelle sue vere, colossali dimensioni. Un’altro Iraq in corso d’opera.
Un esempio?
Nel Kabul War Diary, il 27 Giugno 2007 risultano uccisi 232 “civilians” e 544 “enemies”, mentre 192 vengono classificati come “civilians deteined”.
Per la cattura e l’eliminazione del capo pashtun Abu Laith al-Libi le forze di Enduring Freedom hanno freddato, per effetti collaterali, sette bambini di una scuola religiosa nella zona di rastrellamento.
I report pubblicati da Wikileaks, misteriosamente usciti dai computer del Pentagono sulle perdite di adolescenti, donne, uomini, anziani e combattenti nemici “neutralizzati” in ogni parte dell’Afghanistan sono, ad oggi, migliaia.
Anche se la bufala organizzata dalla CIA non fosse tale, è facilmente intuibile che estrarre minerali, gas ed idrocarburi in un Paese totalmente privo di “sicurezza”, di strutture industriali, di vie, ponti e ferrovie, compresso in un’orografia tormentata, mancante di manodopera specializzata, per di più lontano migliaia di chilometri dall’Occidente, una terra immersa in un Medioevo “tormentato” da una modernità che le è estranea, farebbe salire a livelli di pura follia il costo finale delle materie prime importate, anche se affiorassero dal terreno.
Fino ad oggi sapevamo che sull’intero territorio dell’Afghanistan la presenza stimata di idrocarburi fosse non superiore ad un totale equivalente di 1.800.000 barili di petrolio.
Appena un po’ di più di quello che l’ENI riesce ad importare per soddisfare le esigenze nazionali di consumo nell’arco delle ventiquattro ore, dopo l’annuncio del Dipartimento di Stato statunitense (!) che il cane a sei zampe rinuncerà ai suoi investimenti in Iran. La conferma è arrivata dodici ore più tardi dall’EUR.
La Clinton decide quello che dovremo fare per staccare un cordone ombelicale da 4 miliardi di euro all’anno di interscambio commerciale con Teheran. E gli USA quanto perdono con le sanzioni aggiuntive al Paese degli Ayatollah?
Niente, neanche un centesimino bucato. Non hanno relazioni diplomatiche con l’Iran dal 1979.
L’ENI dovrà di fatto mettere una bella pietra sopra ai 38.000 barili al giorno estratti dal giacimento iraniano di South Pars 485, già alla fase 5 di incremento produzione dopo investimenti di centinaia di milioni di euro e la proprietà contrattualmente acquisita da Teheran del 60% del grezzo estratto.
L’abbandono a Dicembre 2010 dell’impianto di Barquain completerà il distacco forzato del nostro Paese dall’Iran su diktat del negretto della Casa Bianca e delle lobbies che lo hanno finanziato e spedito alla presidenza degli Stati Uniti.
Da parte del governo italiano completa accettazione del fatto compiuto. Nessuna replica dall’amministratore delegato dell’ENI Scaroni per l’annuncio-capestro fattoci recapitare dal Dipartimento di Stato nel quadro delle sanzioni aggiuntive all’Iran volute da Barack Obama, con il via libera dei ministri degli Esteri dell’Unione Europea.
Un comportamento vergognoso quello tenuto da Palazzo Chigi e Farnesina che danneggia gravemente la nostra economia ed i nostri interessi nazionali, attuali e futuri, sia nell’approvvigionamento energetico che nell’interscambio commerciale con l’estero, specie in un momento di gravi e persistenti difficoltà strutturali e macroeconomiche che hanno colpito l’Italia a partire dal 2009 dopo il crack finanziario e bancario di Wall Street.
Per dare immediata credibilità alla pagliacciata dei “mille miliardi” esperita dalla CIA, l’Italietta si sta organizzando per estrarre carbonato di calcio in blocchi da nascondere dentro contenitori di proprietà delle FF. AA., solitamente utilizzati per la logistica militare da e per l’Italia.
Destinazione prevista, come abbiamo già detto, Abu Dhabi e scali dell’alta Italia senza badare troppo ai costi stratosferici di trasporto con i C-130J, all’usura di turbine, alla struttura delle cellule degli aerei della 46° Brigata di Pisa.
Decolli (a pieno carico?) che finiranno inevitabilmente per incidere sulla sicurezza del personale navigante e delle macchine.
Degno di nota che nella sola provincia di Apuania Massa-Carrara esistano enormi giacimenti di marmo ancora da carotare e sbancare mentre langue l’attività di bacino ridotta all’osso per “mancanza di commesse”, con la conseguenza di un’ingente perdita di manodopera locale ad alta professionalità.
E ora passiamo ai “nostri” bucanieri della montagna: incursori e sommozzatori del Comsubin di Varignano (SP), carabinieri anti-terroristi del GIS, paracadutisti d’assalto del 9° Col Moschin, alpini paracadutisti del Monte Cervino ed incursori del 17° Stormo dell’Aeronautica Militare.
Almeno una mezza compagnia a Forza Armata, per un totale fluttuante di 200 “professionisti”, sufficiente a dimostrare compattezza di scelte ed obiettivi condivisi anche livello di Comando Operativo Interforze.
In Complicità politiche ed istituzionali per la Task Force 45 avevamo anticipato quello che scrive lo scorso 3 Ottobre su La Repubblica Giampaolo Catalanu al di là del sommario.
Ecco cosa ci dice a pagina 15.
“La vera notizia non sta nello scontro quanto piuttosto nel luogo in cui la Task Force era impegnata. E’ il distretto di Javand nella provincia di Baghdis, a nord di Herat. Una zona lontano dalla base avanzata di Bala Murghab, un fortino a qualche centinaio di metri dal confine con il Turkmenistan. Qui gli Alpini lavorano (! -ndr) per espandere la bolla di sicurezza, cioè la zona sicura attorno alla ring road che attraversa l’intero Paese. Il distretto di Javand è lontanissimo. Gli Stati Maggiori per ora non rivelano le operazioni che hanno coinvolto la Task Force 45.
Questa misteriosa unità non dipende dai comandi nazionali, la catena gerarchica la aggancia ad un rapporto diretto con la NATO, in questo caso il Comando Centrale di Kabul (a guida USA). In ogni caso il traffico di armi e di esplosivi non c’entra nulla anche se si insegue e si “neutralizza” nuclei taleban in sosta o in movimento. Alle truppe italiane della Task Force 45 la NATO chiede soprattutto operazioni di “search and destroy” di ricerca, cattura ed uccisione di comandanti pashtun e delle scorte nell’intero quadrante Ovest dell’Afghanistan”.
Insomma all’unità “tricolore” a bordone USA si chiedono “omicidi mirati” estesi ai nuclei di protezione dei comandanti senza badare troppo al sottile.
La segretezza sulle azioni, il mefisto calato costantemente sulla faccia fanno da complemento ad un “lavoro” professionale che non può essere affrontato senza possedere una personalità da rambo ed un quoziente di intelligenza sotto i 70 punti.
Una guerra sporca e senza onore, perché combattuta in una condizione di micidiale superiorità militare e di devastante appoggio di fuoco da terra e dall’aria dove solo l’eccezionalità od un flagrante errore di posizionamento tattico sul terreno può portare a perdite isolate di personale (è il caso del tenente Alessandro Romani).
“Omicidi mirati” che l’ONU non ha mai autorizzato né in Palestina, né in Iraq, né in Afghanistan anche se al Palazzo di Vetro ogni volta non si è andati al di là di qualche generica condanna che lascia di fatto mano libera ai “professionisti” della guerra sporca.