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La confusione organizzata

di Matteo Simonetti - 27/08/2011

 




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Mai come nei momenti di crisi economica regna la confusione mediatica. Attenzione, si tratta non solo di mancanza di senso critico da parte di giornalisti e commentatori, ma più spesso di confusione appositamente e scientemente creata dagli attori della finanza e dai loro sgherri mascherati, i politici.
Mentre si prepara l'invasione della Siria con costi altrettanto ingenti di quelli per la Libia, mere manovre geopolitiche di neocolonialismo in attesa del decisivo attacco all'Iran, obiettivo principale dei fautori del nuovo assetto mediorientale, i governi imboccati dalle banche centrali piangono miseria e chiamano i popoli allo sforzo generale. I tagli richiesti, casualità, sono sempre quelli: sanità, pensioni, ammortizzatori sociali, partecipazioni ed enti pubblici.
Sono decenni che il Fondo Monetario Internazionale agisce in questo modo, promettendo aria respirabile ai paesi in difficoltà (dopo che il Wto e i singoli Stati predatori gliela hanno tolta), in cambio di innocue privatizzazioni, tanto “urgenti” quanto redditizie per gli acquirenti. Segue poi immediatamente la fase due, la più dolorosa: il rientro del denaro “prestato” ad interesse con tanta generosità.
Successe con l'estremo oriente in via di crescita industriale e succede oggi in Europa, con la Bce che sollecita il restringimento della cinta di ciascuna nazione per tappare il deficit creato dal debito pubblico.
Ora il copione è scontato, perché visto e rivisto: ogni politico parla della crisi economica come di uno tsunami o dell'eruzione vulcanica riservata dal destino o dal caso alla nostra era, come se ogni economia non possa essere il frutto di scelte politiche e filosofiche reversibili, smentendo poi il tutto, con sapiente noncuranza, con uscite estemporanee sul pericolo che ci possano essere attacchi speculativi internazionali ai danni di quel paese, dei suoi certificati di debito pubblico e su questa o quella valuta. Senza ovviamente che si faccia un nome.
Se passa come la cosa più scontata del mondo che i mercati possano distruggere a proprio piacimento un paese perché il governo non dà garanzie di stabilità (leggi alta percentuale di manovrabilità), non si capisce la politica che ci stia a fare se non il paravento e l'agente degli stessi mercati finanziari.
Sui quotidiani nazionali poi, la musica è sempre la stessa: per fare un esempio, agli inizi di Agosto (il 7 per la precisione), in prima pagina sul Corsera, la solita articolessa di Mario Monti, che si alterna in questo compito con Draghi, Trichet e il “compianto” Padoa Schioppa, ci ammoniva per non aver saputo scegliere da soli di tagliarci gli attributi e di aver aspettato il sapiente e giusto richiamo della Bce. Seguiva il consueto elogio del mercantilismo e della libera concorrenza, senza la nefasta intromissione degli Stati. Praticamente Adam Smith. Nel frattempo Obama fingeva di indignarsi con le agenzie di rating che hanno declassato la capacità di solvenza degli Usa, cosa che porterà nelle casse della Fed svariati miliardi di dollari di interessi, la stessa Fed posseduta dalle banche private, ossia i finanziatori della sua campagna elettorale, già ampiamente ripagati con la farsa delle banche “too big to fail”.
Mercati finanziari drogati, Stati in ginocchio come Irlanda e Grecia, tutto un sistema che mostra di non saper e non voler funzionare, senza che alcuno si interroghi sugli aspetti fondamentali della questione.
Non sono molti: la natura del debito pubblico, che nasce dalla frode della cessione della sovranità monetaria; il signoraggio primario e secondario in mano ai privati; la natura della finanza speculativa che non produce nulla ma vive come un parassita.
Se i governi non parlano di questo, non mettono mano alle cause della crisi, possiamo star sicuri che verremo depredati di tutto il depredabile nel giro di qualche anno, mantenendo quel poco che ci rimane per continuare a vivere da ignari schiavi della finanza. Ma i governi non possono farlo per un tacito accordo: a mettere i politici dove sono, ci pensano i finanzieri che poi devono essere ricompensati: proni alla Bce, non una tassazione sensata sui proventi da speculazione finanziaria, non un taglio alla casta dei politici. Tutto si regge sui principi cardine della “demonocrazia”: i politici camerieri dei banchieri, come ammonì Ezra Pound.