Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’uomo della contesa

L’uomo della contesa

di Stefano Moracchi - 13/10/2011

Fonte: terzalinearossobruni

http://4.bp.blogspot.com/_A6kc2_j1HLg/RwJlllcNo9I/AAAAAAAAARY/m9REmAfQZqs/s400/kafka.gif

Nel 1989, con il crollo del cosiddetto “socialismo reale”, i dibattiti più seri, ovviamente (ma non diamolo per scontato con troppa facilità), si tennero al di fuori della carta stampata, delle televisioni, dei partiti e soprattutto dal circuito accademico. A tutti costoro le modalità del crollo parvero un fatto marginale. Che fosse avvenuto con caratteristiche assai simili in tutti i paesi, con una accelerazione sorprendentemente anomala viste e considerate le diverse condizioni culturali ed economiche, ai convenuti dell’ufficialità politicamente corretta (garanzia per far parte della schiera dei contrari e dei favorevoli) non interessò affatto.

Il dato centrale erano il crollo e la spinta propulsiva alla sua realizzazione tramite le popolazioni desiderose di democrazia e libertà.

Era il 1984 quando Lawrence Eagleburger lasciò il dipartimento di Stato americano, dopo essere stato ambasciatore in Iugoslavia, accettando diversi incarichi tra cui quello di socio della Kissinger Associates, direttore e unico proprietario della Banca di Lubiana, oltre che rappresentante per l’America delle automobili Yugo. Questa, ovviamente, non fu l’unica strategia di Kissinger, si pensi soltanto che tra i clienti più noti figuravano: American Express, Shearson Lehmann, Arco, Daewoo Corea del Sud, H.J. Heinz, ITT Locked, Anheuser-Busch, Union Carbide,Middle Bank, Coca-Cola, Fiat, Revlon, più quelle “segrete”.

Non è un caso, ovviamente, se nel 1989 Kissinger stabilì un lucroso accordo con la Freeport McMoRan, un’impresa globalizzata con sede a New Orleans che operava nell’estrazione di gas, petrolio e minerali.

Ma il crollo del Muro di Berlino viaggiava sotto l’imperativo categorico della rivoluzione democratica di popolo.

Il Castello di Kafka inizia con una dichiarazione di guerra. Soltanto che il potere che si vuole combattere è invisibile non perché non esista, ma perché l’inganno è la cifra stessa affinché la battaglia possa essere combattuta. L’ipotesi del protagonista è che questa logica non resista a chi vuole veramente vivere. L’abitudine incontestabile alla disillusione è più forte di qualsiasi potere, perché è il potere stesso.

Si pensi per un attimo cosa succederebbe, nell’attuale fase che stiamo attraversando, se tutta la rabbia fosse indirizzata non contro Berlusconi, ma contro tutta quella che viene chiamata sinistra, obbligandola ad assumere una politica contro il Sistema, come ad esempio uscire fuori dall’orbita statunitense.

Improvvisamente, tutti i mezzi di informazione trasformerebbe questi indignati in “criminali”, “terroristi” e “malfattori”. Costruirebbero subito un “incidente clamoroso” a dimostrazione di quanto siano pericolosi per la democrazia e i valori occidentali.

Tutti gli schieramenti politici farebbero a gara nel prenderne le distanze. Non si vedrebbe più sugli schermi televisivi e nelle foto dei giornali folle che passeggiano, ma solo “atti di violenza inauditi” abilmente costruiti a cinecittà.

Improvvisamente, come d’incanto, i maestri rivoluzionari scomparirebbero.