Perché agli USA serve una grande guerra
di Viktor Burbaki - 04/01/2012
Fonte: geopolitica-rivista
 
  Attualmente ci troviamo nel mezzo d’una fase di turbolenza del ciclo evolutivo mondiale, cominciata negli anni ’80 e destinata a terminare per la metà del XXI secolo. Nel corso di tale processo, gli USA stanno evidentemente perdendo il loro status di superpotenza…
Stime fornite dagli esperti dell’Accademia Russa delle Scienze  mostrano che l’attuale periodo di forte instabilità dovrebbe terminare  attorno al 2017-2019, con una crisi. La crisi non sarà profonda quanto  quelle del 2008-2009 e del 2011-2012, e segnerà la transizione verso  un’economia edificata su una nuova base tecnologica. Il rinnovamento  economico probabilmente comporterà, nel 2016-2020, grossi mutamenti  nell’equilibrio mondiale di potenza e grandi conflitti politico-militari  che coinvolgeranno sia i pesi massimi dell’agone globale, sia i paesi  in via di sviluppo. Presumibilmente, gli epicentri dei conflitti saranno  nel Medio Oriente e nell’Asia Centrale post-sovietica.
 Il secolo del dominio politico-militare e della supremazia economica  globale degli USA è prossimo alla fine. Gli USA hanno fallito la prova  dell’unipolarità e, feriti dai permanenti conflitti mediorientali,  mancano oggi delle risorse necessarie a mantenere la guida mondiale.
 La multipolarità implica una distribuzione più equa delle risorse  mondiali ed una profonda trasformazione d’istituzioni internazionali  come l’ONU, il FMI, la Banca Mondiale ecc. Al momento il Washington Consensus  pare morto e sepolto, e l’agenda globale dovrebbe avere al primo posto  la costruzione di un’economia con molti meno livelli d’incertezza, più  rigidi regolamenti finanziari, ed una maggiore equità nell’allocazione  dei ritorni e profitti economici.
I centri dello sviluppo economico stanno slittando dall’Occidente,  che vanta la rivoluzione industriale tra i suoi grandi meriti, all’Asia.  Cina e India dovrebbero prepararsi ad una corsa economica senza  precedenti, con sullo sfondo una più ampia competizione tra le economie,  che sfruttano i modelli del capitalismo di Stato e della democrazia  tradizionale. Cina e India, i due paesi più popolosi al mondo,  definiranno le direzioni ed il ritmo dello sviluppo futuro, ma la grande  battaglia per la supremazia mondiale sarà combattuta tra USA e Cina: in  palio c’è anche la scelta del sistema politico e del modello  socie-economico post-industriale per il XXI secolo.
 La domanda che sorge è: come reagiranno a questa transizione gli USA?
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Va tenuto conto che qualsiasi strategia statunitense parte dall’assunto che sia inaccettabile perdere la supremazia mondiale. Il collegamento tra leadership mondiale e prosperità nel XXI secolo è un assioma per le élites statunitensi, indipendente da tutti i dettagli politici.
Modelli matematici delle dinamiche geopolitiche globali portano a concludere che l’unica opzione a disposizione degli USA per arrestare il rapido disfacersi del suo status geopolitico impareggiato, sia quella di vincere un conflitto convenzionale su larga scala.
Non è un segreto che occasionalmente hanno funzionato (si pensi al collasso dell’URSS) anche metodi non militari di sbarazzarsi dei rivali, e le corrispondenti tecnologie sono costantemente affinate negli USA. D’altro canto, ad oggi paesi come la Cina o l’Iran sono apparsi evidentemente immuni alla manipolazione esterna. Se le attuali dinamiche geopolitiche dovessero persistere, ci si può attendere il cambiamento di leadership mondiale per il 2025, ed il solo modo per gli USA di arrestare questo processo è scatenare una grande guerra…
Il paese che stia per perdere la supremazia non ha altra opzione che colpire per primo, ed è ciò che Washington sta facendo da circa 15 anni. La peculiare tattica degli USA è di scegliere come bersagli non i candidati alternativi alla supremazia geopolitica, ma paesi che appaiono più facili da affrontare al momento. Attaccando Jugoslavia, Afghanistan o Iraq, gli USA hanno cercato di gestire problemi puramente economici, o regionali; ma una questione più grande richiederà senz’altro un bersaglio assai più significativo. Gli analisti militari ritengono che i candidati più a rischio d’essere presi a bersaglio nel nome d’una nuova redistribuzione globale siano l’Iran più la Siria ed i gruppi sciiti quali il libanese Hezbollah.
La redistribuzione è, di fatto, in corso. La Primavera Araba, tramata e gestita da Washington, ha creato le condizioni appropriate ad una fusione del mondo musulmano in un singolo califfato. Gli USA ritengono che questa nuova formazione aiuterà la vacillante superpotenza a mantenere la propria presa sulle risorse energetiche chiave a livello mondiale, e a salvaguardare i suoi interessi rispetto all’Asia e all’Africa. Senza dubbio, la sfida che ha indotto gli USA ad architettare questo nuovo tipo di sistemazione è il crescente potere della Cina.
Liberarsi di Iran e Siria, che si frappongono sulla strada del dominio globale statunitense, sarebbe il prossimo passo naturale per Washington. I tentativi di rovesciare il regime iraniano fomentando disordini tra la popolazione sono falliti clamorosamente, ed analisti militari sospettano che all’Iran spetti uno scenario analogo a quelli visti in Iraq e Afghanistan. Il piano ha serie possibilità di realizzarsi, anche se oggi persino il ritiro da Iraq e Afghanistan pone considerevoli problemi agli USA.
La realizzazione del progetto del Grande Medio Oriente – assieme a notevoli danni alla posizione di Russia e Cina – sarebbe l’obiettivo centrale che gli USA sperano di conseguire combattendo una grande guerra… Il disegno è divenuto ampiamente noto negli USA dopo la pubblicazione sul Armed Forces Journal della celebre mappa di Peters. La motivazione di fondo sta nell’espellere Russia e Cina dal Mediterraneo e dal Medio Oriente, nel tagliar fuori la Russia dal Caucaso Meridionale e dall’Asia Centrale, e nel disconnettere la Cina dai suoi fornitori d’energia più importanti.
Il materializzarsi del Grande Medio Oriente rovinerebbe le prospettive russe di costante e pacifico sviluppo; infatti l’instabile Caucaso del Sud, controllato dagli USA, trasmetterebbe ondate destabilizzanti nel Caucaso del Nord. Dal momento che la destabilizzazione sarebbe condotta da forze fondamentaliste islamiche, tutte le regioni russe a prevalenza musulmana sarebbero coinvolte.
Gli USA non sono più in grado di sostenere il Washington Consensus facendo affidamento su strumenti politici ed economici. Il cinese Jemin Jibao ha dipinto un quadro di strabiliante chiarezza, quando ha scritto che gli USA sono diventati un parassita mondiale che stampa illimitate quantità di dollari e le esporta per pagare le sue importazioni, e dunque sostiene gli eccessivi livelli di vita nordamericani derubando il resto del mondo. Il primo ministro russo ha espresso una visione simile durante il suo viaggio in Cina, il 17 novembre 2011.
Attualmente la Cina sta lavorando alacremente per limitare la sfera  di circolazione del dollaro. La quota di valuta statunitense nelle  riserve cinesi sta precipitando, e nell’aprile 2011 la Banca Centrale  cinese ha annunciato il progetto di escludere totalmente il dollaro  nelle compensazioni internazionali. Il colpo inferto al dominio  valutario statunitense non è ovviamente destinato a rimanere senza  risposta. Anche l’Iran sta cercando di ridurre la quota del dollaro  nelle sue transazioni: nel luglio 2011 ha aperto una borsa petrolifera  iraniana, dove sono accettati solo l’euro e la moneta persiana. Iran e  Cina stanno negoziando di barattare prodotti cinesi col petrolio  iraniano, rendendo così possibile, tra le altre cose, scavalcare le  sanzioni imposte all’Iran. Il dirigente iraniano ha affermato che il  volume degli scambi con la Cina dovrà raggiungere i 100 miliardi di  dollari, e ciò renderebbe inefficaci i piani statunitensi per isolare  l’Iran.
 Gli sforzi statunitensi per destabilizzare il Medio Oriente potrebbero  attribuirsi in parte al calcolo che la ricostruzione della regione, se  devastata, richiederebbe massicce iniezioni di dollari, favorendo così  la rivitalizzazione dell’economia statunitense. Nel 2011 la strategia  statunitense mirante a preservare il dominio globale ha cominciato a  tradursi in politiche basate sulla forza, dal momento che Washington  vede nel deprezzamento dei possedimenti in dollari una possibile  soluzione alla crisi. Una grande guerra potrebbe servire allo scopo. Il  vincitore sarebbe in grado d’imporre al mondo le sue condizioni, come  avvenne nel 1944 con la creazione del sistema di Bretton-Woods. Per  Washington, guidare il mondo può valere una grande guerra.
 Può l’Iran, fornitagli la necessaria assistenza, mettere fine  all’espansione universale statunitense? La questione sarà trattata nel  prossimo articolo.
(Traduzione di Daniele Scalea)
Fonte: Strategic Culture Foundation

