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La “progenie mostruosa”: breve storia dell’interesse

di Andrea Falco Profili - 30/10/2025

La “progenie mostruosa”: breve storia dell’interesse

Fonte: GRECE Italia

Aristotele lo definì “il commercio più odiato”, un’attività contro natura in cui il denaro, per essenza sterile, si riproduceva mostruosamente da sé stesso. Per millenni, l’atto di prestare a interesse è stato un tabù morale, raccapricciante e inaccettabile. Nel folklore medievale, i demoni riempivano la bocca del prestatore defunto di monete roventi, una punizione ritenuta appropriata per un abominio quale l’usura. Il mondo antico, in effetti, era ben conscio della potenza socialmente distruttiva del debito: aveva per questo concepito un meccanismo di azzeramento, l’istituto del Giubileo. Un anno sacro, che fungesse da reset legale in cui le terre tornavano agli antichi proprietari e, soprattutto, si proclamava la liberazione dalla schiavitù del debito. Era l’estremo tentativo di porre un freno a una pratica odiosa.

Questi echi di un’antica ripugnanza morale sono stati sepolti dalla storia. La lunga marcia del credito ha trasformato il peccato capitale in una rispettabile pratica finanziaria. Ma, dotandosi di metodo, è necessario ripercorrere come sia stato possibile arrivare a ciò.

Come dicevamo, nel mondo antico l’interesse era percepito come atto raccapricciante e inaccettabile, si parlava di far “figliare” il denaro, atto che Aristotele, nel primo libro della Politica condanna immediatamente, dichiarando la sterilità del denaro. L’usuraio, facendo partorire monete da altre monete, crea una prole innaturale, un tokos (interesse, in greco significa anche “progenie”) che è una mostruosità. La pratica del prestito era odiosa perché era il principale strumento di sottomissione. Nel mondo greco-romano e nel Vicino Oriente, un contadino la cui messe andava a male era costretto a impegnare la sua terra, poi i suoi attrezzi, poi i suoi figli, e infine sé stesso. Questa era la realtà del credito: la schiavitù per i debiti. Intere popolazioni venivano sradicate e asservite non da un esercito invasore, ma da un registro contabile. Il creditore guardava la sua ricchezza crescere non dal lavoro, ma dalla disperazione altrui. Era un sistema che divorava la società dall’interno, concentrando la terra e il potere nelle mani di un’oligarchia, mentre la massa della popolazione sprofondava in una servitù permanente.

Il debito accumulato, lasciato a sé stesso, diviene entropia sociale e si concentra fino a distruggere il tessuto stesso della comunità, creando una frattura insanabile tra creditori e debitori. Questa repulsione non si limitò al paganesimo filosofico o alla cultura cattolica. Fu universale, tanto che la Chiesa Cristiana primitiva, seguendo i Vangeli (“Date a prestito, senza sperarne nulla”), fu implacabile. I padri della Chiesa, da San Tommaso d’Aquino in poi, furono unanimi nella loro condanna dell’usura come peccato mortale, definito furto senza mezzi termini. Far pagare per l’uso del denaro, diceva Tommaso, era far pagare per il tempo. I concili ecclesiasitici vietavano agli usurai i sacramenti e persino la sepoltura in terra consacrata. L’Islam, nel Corano, è forse ancora più definitivo, paragonando l’usuraio a colui che è “toccato da Satana” e dichiarando letteralmente guerra a Dio e al suo profeta per chi continua questa pratica.

Per più di duemila anni, le tre grandi tradizioni intellettuali e morali d’Europa e del Vicino Oriente – la filosofia greca, la legge cristiana e quella islamica – concordavano sulla malignità assoluta dell’usura con voce unanime.

La domanda è allora come sia stato possibile arrivare alla situazione odierna, come abbia potuto un paria morale simile integrarsi nell’ordinaria amministrazione occultando il suo passato da pratica raccapricciante. Si tratta in effetti di un capolavoro di sofisticheria, un lento lavaggio del cervello collettivo durato secoli che ha avuto inizio da piccoli dettagli e giochi terminologici. I teologi e giuristi tardo-medievali iniziarono a creare nelle crepe nel muro, iniziando a postulare i diritti del prestatore di denaro. Se il creditore avesse subito un danno, o avesse perso un’opportunità di guadagno, diveniva opportuno e giustificabile che ottenesse un risarcimento, un “interesse”. Il termine stesso “interesse” fu scelto appositamente per distanziarsi dalla parola “usura”, carica di odio. Vennero poi istituiti i Monti di Pietà, nati ufficialmente per combattere lo strozzinaggio, si trattava di istituti francescani che prestavano denaro ai poveri chiedendo in cambio solo un piccolo interesse, appena sufficiente a coprire i costi operativi. Sembrava caritatevole, ma il tabù era stato infranto e, per la prima volta, un’istituzione cristiana legittimava l’interesse. La diga aveva ceduto.

Il colpo di grazia arrivò con la Riforma Protestante. Oltre a Lutero, fu Giovanni Calvino a fornire la giustificazione teologica che il capitalismo nascente attendeva. Calvino distinse tra il prestito al povero (ancora peccato) e il prestito all’imprenditore, argomentando che l’interesse fosse il legittimo guadagno di chi aveva consentito ad un altro uomo di trarre profitto avviando un’attività. Da questo punto in poi le coordinate del denaro nella società mutano irrimediabilmente, non si parla più di denaro sterile ma di capitale, e l’usuraio da parassita cambia nome in “investitore”, diventando un partner nel progresso.

Da quel momento, la marcia del credito è stata inarrestabile. L’illuminismo ha secolarizzato l’argomento (Bentham, Adam Smith), liquidando le vecchie proibizioni come superstizioni medievali che intralciavano il libero mercato. Le banche, un tempo attività marginali e disonorevoli, sono diventate i templi della nuova economia. Oggi, il sistema che gli europei del passato vedevano come un cancro sociale è ora il corrente sistema circolatorio. La risemantizzazione ha permesso di sostituire alla paura del debito, quella di non averne abbastanza (si usa dire “cattivo rating creditizio”). I governi non cercano di cancellare i debiti, ma si indebitano per pagare gli interessi sui debiti precedenti. Persino l’istituzione del Giubileo sopravvive solo nel suo senso spirituale in un cattolicesimo crepuscolare, mentre il suo valore economico e sociale è dimenticato e ridicolizzato come un’impossibilità economica. Invece, abbiamo il suo opposto: il bailout, dove i debiti fallimentari dei potenti non vengono cancellati, ma trasferiti sulle spalle del pubblico. L’apoteosi di questa trasformazione è giunta con la crisi finanziaria del 2008. Quando il castello di carte costruito sui mutui è crollato, ci si sarebbe aspettati un ritorno alla sanità. Invece si è assistito al trionfo definitivo della logica del debito. I salvataggi bancari nel mondo raggiunsero cifre astronomiche. Non furono i debiti dei disperati a essere cancellati, ma quelli degli squali finanziari a essere socializzati. Gli speculatori che avevano scommesso e perso furono salvati dal denaro pubblico, mentre milioni di famiglie persero le loro case. Si scelse di ricompensare chi aveva creato la catastrofe, chi ne subì le conseguenze scoprì presto il significato della parola “austerità”.

Il cerchio si è chiuso, la “progenie mostruosa” di Aristotele si è moltiplicata a tal punto da divorare i suoi stessi genitori. E il mondo, senza nemmeno accorgersene, è diventato suo figlio adottivo.