La UE, una distopia tecnocratica senza popolo e senza storia
di Luigi Tedeschi - 30/10/2025

Fonte: Italicum
L’Europa non è in crisi, ma è la crisi
Chi siamo? Cosa è l’Europa? Sono questi, interrogativi ossessivamente riproposti da vari esponenti della cultura, che denotano l’assenza di una identità europea, a lungo declamata, ma mai realmente definita, perché estranea alla coscienza dei popoli.
Secondo Lucio Caracciolo, «L’Europa non è in crisi, ma è la crisi». La UE rappresenta infatti il suicidio dell’Europa. Un suicidio da lungo tempo annunciato, con la scomparsa dell’Europa dal contesto geopolitico mondiale. “Chi siamo?” è quindi un interrogativo del tutto retorico, destinato a restare senza risposta. L’Europa è un insieme di popoli sradicati dalle loro identità storiche e culturali, i cui stati sono ridotti a membra inerti di un cyber – robot post umano chiamato UE, che si dichiarano europei, quale definizione residua che disvela l’annientamento delle proprie radici. L’europeismo è una ipostasi ideologica virtuale, atta ad occultare il sostanziale nichilismo che pervade la società europea.
“Chi siamo?” trae origine da “chi sono?”: la crisi identitaria individuale si riflette nella crisi epocale di una civiltà occidentale prossima alla sua dissoluzione. Non si può e non si vuole dare risposta a tali interrogativi, in quanto questo nichilismo identitario, contestuale all’atomismo sociale neoliberista, è una dimensione esistenziale radicatasi nelle coscienze di generazioni di europei, vissuti nell’era della post – storia in cui è stata ibernata l’Europa dal 1945, ma ormai in via di esaurimento.
“Cosa è l’Europa?” E’ inutile e pretestuoso rievocare gli antichi imperi, la cultura classica, le radici cristiane, che costituiscono un retaggio storico i cui valori sono oggi estranei alla coscienza dei popoli europei. Afferma Lucio Caracciolo nell’editoriale dal titolo «Ci siamo persi», pubblicato sul numero 8/2025 di “Limes”: « “Gli americani sono gli unici al mondo che a Disneyland non si sentono idioti neanche per un attimo”, cantava Gaber. Chissà che avrebbe detto di Trump. A noi vecchi europei può parere pazzo» … «Ma se i pazzi fossimo (anche) noi? Qualche motivo di chiedercelo l'abbiamo. Soprattutto uno. Continuiamo a inebriarci di Europa senza aver ancora chiarito di cosa stiamo discettando. A forza di straparlarne ci siamo convinti che l'Europa esista davvero e noi se ne sia legittimi comproprietari. Invidiati dal resto del mondo. Neanche Dio avesse creato l'Europa per redimerlo. Potenza della lirica europeista, fra Carlomagno e Beethoven».
In realtà questa Europa è sorta in funzione delle esigenze strategiche americane, quale baluardo occidentale contrapposto all’URSS nella Guerra fredda. L’attuale filo – americanismo delle elite europee ne è la testimonianza evidente.
Il mito della Europa unita nasce con la fine del mondo eurocentrico degli imperi coloniali. Ed ogni progetto di unità europea è stato concepito nell’ottica di dominio delle potenze europee decadute (Francia e Germania), che, con la predominanza nel Vecchio Continente, hanno inteso preservare, anche se su scala ridotta, il loro status di potenza imperiale. Ma sia la Francia che la Germania, hanno potuto affermare il loro primato in Europa, quali membri dell’Alleanza Atlantica, quali potenze minori incluse nell’Occidente, nella misura in cui il loro ruolo fosse compatibile con le strategie americane di contrasto all’URSS.
Dissoltasi l’Unione Sovietica, la UE, una volta devoluta la politica estera agli USA, quale organismo sovranazionale integrato nella Nato, si è strutturata sulla base di un ordinamento tecnocratico che si è sovrapposto agli stati, limitandone progressivamente la sovranità, a discapito della democrazia e della volontà popolare. La UE si configura come una tecnocrazia di matrice ideologica neoliberista, come una istituzione preposta alla governance economica dell’Europa, priva di sovranità politica, ma del tutto omogenea alle direttive finanziarie e strategiche degli USA: una entità continentale inclusa nella geopolitica atlantica.
La crisi della UE è contestuale al declino della superpotenza americana. L’ascesa di Trump è dovuta al venir meno nel popolo della fede nell’eccezionalismo americano. Il preannunciato disimpegno degli USA dall’Europa ha tuttavia generato il panico delle elite europee, poiché, con il venir meno del vincolo esterno americano, il loro status di classe dominante non avrebbe più ragion d’essere. La UE non è un soggetto geopolitico autonomo e necessita quindi della etero direzione americana.
Questa UE russofoba, confidando nell’esigenza vitale per gli USA di non perdere l’impero, vuole sopravvivere come base di deterrenza strategica della Nato, atta a scongiurare una virtuale invasione russa. Vuole preservare la presenza americana in Europa nell’illusione maldestra di una impossibile riviviscenza del bipolarismo della Guerra fredda.
E’ in via di dissoluzione l’Occidente, con il suo modello neoliberista e i suoi valori, quali la libertà, i diritti dell’individuo, il progresso. L’Occidente ha concepito se stesso come l’incarnazione dei miti progressisti dell’universalismo liberale. Il progresso illimitato non rappresenta il corso ineluttabile della storia, ma consiste semmai nella trasposizione nell’immanenza della storia di una concezione mitico – ideologica imposta al mondo prima dal colonialismo europeo e poi dal globalismo americano.
Il primato occidentale si sta dissolvendo parallelamente alla globalizzazione, che non rappresenta la fine della storia, ma solo di una storia, quella della supremazia americana. Nella geopolitica mondiale la storia ha ripreso il suo corso, con il riproporsi delle identità culturali e religiose del pluriverso multipolare e multiculturale degli Stati Civiltà. Una riviviscenza delle culture premoderne, che si riaffermano nella misura in cui si rivelino compatibili con la realtà storico – politica del mondo contemporaneo.
Come potrà sopravvivere un’Europa che ha perso la coscienza di sé e della propria memoria storica al collasso dell’Occidente? La deriva nichilistica in cui versa l’Occidente è così sintetizzata da Massimo Cacciari nell’articolo dal titolo «Così l’Occidente dimentica la Storia», pubblicato su “La Stampa” del 22/09/2025: «L’individuo contemporaneo interiorizza il comando di un sistema anonimo e globale, retto da un manipolo di oligarchie economico-finanziarie. Lo Stato delega a tale sistema ogni decisione in campo economico e via via gli affida pure funzioni pubbliche vitali, fino a diventare una mera stazione appaltatrice di servizi, con compiti al più di sorveglianza e controllo. Così finisce in Occidente il Welfare State. E così finisce l’homo politicus. Questo sta avvenendo sotto i nostri occhi, una trasformazione più radicale ancora di quella crisi di ogni Diritto che testimoniano guerre e massacri. E alla quale nessun trattato di pace potrà rimediare. Ma di un tale destino non ha né paura né orrore il cittadino dell’Occidente che ha dimenticato la propria storia».
Il riarmo finanziario dell’Europa
La UE sta esorcizzando i suoi fallimenti con la guerra. La russofobia europea necessita dunque di un “nemico assoluto” individuato in Putin. La minaccia mediatica di una invasione russa dell’Europa è stata creata con lo scopo di giustificare la politica del riarmo europeo.
Trump ha imposto ai membri della Nato un incremento della spesa militare fino al 5%. La UE ha programmato investimenti nel riarmo per 6.800 miliardi (1.500 per anno). Per gli investimenti negli armamenti è stata attivata la clausola di salvaguardia; saranno cioè effettuati in deroga al Patto di stabilità. Tale deroga (fino all’1,5% del Pil), non è stata adottata per la spesa sociale, ma solo per gli armamenti.
Il ReArm Europe prevede investimenti per 800 miliardi, di cui solo 150 saranno erogati con prestiti garantiti dalla UE. I restanti 650 dovranno essere finanziati dai singoli stati, mediante l’incremento del debito pubblico. Saranno pertanto favoriti quei paesi come la Germania e i suoi satelliti che possono usufruire di larghi spazi fiscali, discriminando l’Italia e la Francia il cui l’indebitamento per gli armamenti dovrà essere effettuato a discapito della spesa per i servizi essenziali, che subirebbe drastici ridimensionamenti, con ulteriore impoverimento della popolazione e compressione della domanda interna, con riflessi negativi sul Pil.
L’incremento del debito per il riarmo innescherà un’aspra concorrenza sui tassi tra i paesi UE. La Germania, che è in grado di collocare i suoi titoli a tassi più bassi, indurrà gli altri paesi a praticare tassi più elevati per finanziare il debito. Occorre inoltre rilevare che, a fronte di una crescita europea già assai limitata ed ulteriormente falcidiata dai dazi trumpiani sull’export, gli stati dovranno erogare finanziamenti pubblici a sostegno del proprio sistema produttivo, con ulteriore espansione del debito.
Tali rilevanti incrementi dei debiti pubblici degli stati, renderanno estremamente gravosi gli oneri per gli interessi, al punto di paventare l’eventualità della insostenibilità del debito stesso. Onde evitare il default, gli stati sarebbero dunque costretti a ricorrere a finanziamenti esteri, in primo luogo da parte delle Big Three americane, che espanderebbero la loro già rilevante presenza nei debiti sovrani, ed assumerebbero un ruolo politico vincolante tale da erodere la sovranità stessa degli stati europei.
Il ReArm Europe prevede inoltre che almeno il 65% degli acquisti di armamenti dovranno essere di produzione europea o di paesi con cui sussista una partnership con la UE. E’ però nota la dipendenza europea dalla tecnologia americana. I paesi europei quindi dovranno importare armamenti americani. Aggiungasi poi che larga parte delle imprese di armamenti europee è controllata da gruppi finanziari americani (vedi Rheinmetall). La prospettiva del riarmo europeo sta peraltro determinando il sorgere di una bolla speculativa nei mercati finanziari, a tutto vantaggio delle Big Three. I capitali americani in fuga dalla bolla tecnologica e da quella del green in via di esaurimento, approdano in Europa, con investimenti giganteschi nei titoli legati al riarmo europeo. Come non accorgersi dunque, che la politica del riarmo europeo è stata ispirata dai big della finanza americana?
Il riarmo comporterà inoltre una vasta riconversione industriale dei settori della manifattura europea in declino (vedi l’automotive), nella produzione di armamenti. E’ assai dubbio però che l’industria degli armamenti possa determinare il programmato rilancio economico della UE. Afferma a tal riguardo Fabrizio Maronta in un articolo dal titolo «La pallottola spuntata» pubblicato sul numero di “Limes” sopra citato: «Sennonché solo una piccola parte della capacità produttiva di questi comparti è direttamente riconvertibile ai fini bellici: circa il 6,5% - per un valore complessivo di appena 180 miliardi di euro - secondo stime relative a Germania, Italia, Francia, Spagna, Polonia, Paesi Bassi e Svezia, principali paesi
manifatturieri dell'Ue. Almeno un terzo di tale cifra (60 miliardi) sarebbe da ascrivere agli autoveicoli e di questo almeno metà (30 miliardi) andrebbe alla sola Germania, data la dimensione del suo settore automobilistico». La produzione di armamenti richiede infatti l’impiego di tecnologie avanzate e personale specializzato non compatibili con l’industria civile.
Le prospettive di rilancio dell’economia europea sono assai limitate, dato che il moltiplicatore del reddito degli investimenti pubblici per gli armamenti è oltremodo ridotto e non certo comparabile con quello della manifattura di altri settori (vedi quello dell’auto), che verrebbero penalizzati da tale riconversione industriale. Le stesse ricadute occupazionali sarebbero assai limitate e non compenserebbero certo la fuoriuscita delle migliaia di lavoratori dai settori industriali in via di dismissione. Dato il deteriorarsi del rapporto debito/Pil, è prevedibile che il riarmo non contribuirà alla crescita della economia europea. L’industria degli armamenti è peraltro fortemente energivora e il suo sviluppo potrebbe produrre, con un ulteriore aumento dei costi energetici, nuove ondate inflazionistiche.
I progetti di riarmo europeo si rivelano quindi difficilmente attuabili. Ma la UE, oltre a suscitare quotidianamente allarmi mediatici mediante fake news relative alla minaccia russa incombente, accredita la falsa narrazione di una Russia in profonda crisi a causa del protrarsi della guerra in Ucraina, che, con un maggiore e prolungato sostegno dell’Occidente, potrebbe essere sconfitta. Anzi, la UE è ostile ad ogni possibile trattativa di pace: la guerra è necessaria al fine di alimentare l’ondata speculativa innescata dalla finanza americana con la bolla del riarmo, in cui sono coinvolti gli stessi esponenti della elite della UE.
La UE non sopravvivrà al collasso dell’Occidente
L’era della globalizzazione volge al termine e con essa, tramonta il primato americano. Il processo di globalizzazione economica messo in atto dagli USA, ha generato, per eterogenesi dei fini, il mondo multipolare. La globalizzazione infatti ha assunto un ruolo storico rilevante nella nascita del mondo multipolare. La liberalizzazione degli scambi e l’interdipendenza delle economie su scala mondiale, hanno contribuito in misura essenziale alla modernizzazione e alla emancipazione economica e politica della Cina e dei paesi del BRICS, ed hanno svolto una funzione determinante nelle profonde trasformazioni della geopolitica mondiale tuttora un atto. Gli USA, già artefici della globalizzazione, a causa della delocalizzazione della loro produzione industriale, ne sono oggi divenuti vittime.
La crisi dell’Occidente coinvolge la struttura stessa del sistema neoliberista. Un sistema che, esteso a livello globale, avrebbe dovuto condurre alla americanizzazione di un mondo emancipato dal progresso e soggetto alla governance sia politica che economica degli USA.
L’esito fallimentare della occidentalizzazione del mondo è ormai evidente. Appena il 20% della popolazione mondiale vive in paesi che si riconoscono nei “valori occidentali”. Nel 1989 la quota del Pil mondiale statunitense era del 22,2%, nel 2024 era del 14,9%. Mentre quella della Cina, è salita nello stesso arco di tempo dal 3,6% al 19,5%. Con un export mondiale americano diminuito dall’11,7% all’8,5%, e quello cinese asceso dall’1,7% al 14,6%.
E’ in crisi un modello di sviluppo elitario che ha prodotto diseguaglianze sempre più accentuate, la scomparsa del ceto medio, la fine del welfare ed un incremento vorticoso della povertà. Fattori che hanno generato nella società occidentale profonde fratture sociali divenute ormai insanabili. L’avvento della economia finanziaria ha determinato una concentrazione della ricchezza nelle mani di ristrette oligarchie, non contemplando alcun meccanismo di redistribuzione del reddito nei confronti delle classi subalterne. L’economia finanziaria infatti, drena risorse dalla economia reale per alimentare la speculazione nei marcati, non genera reddito diffuso, ma provoca invece un deflusso della ricchezza dal basso verso l’alto.
L’economia europea è integrata in quella finanziaria americana e quindi ne importa anche le crisi. La capitolazione europea dinanzi alla imposizione dei dazi trumpiani, è dovuta alla esigenza europea di sostenere il dollaro ed investire nei mercati finanziari americani, dato che circa 300 miliardi di risparmi europei affluiscono ogni anno negli USA. L’Europa si è quindi resa dipendente dal capitalismo finanziario americano.
Gli USA sono afflitti dalla crisi del dollaro come valuta di riserva, accentuatasi con il processo di dedollarizzazione in atto, da un rilevante deficit commerciale, dall’incremento inarrestabile del debito pubblico e privato. Pertanto necessitano dei programmati investimenti europei di 750 miliardi per acquisti energetici e di 600 miliardi per sostenere sia il dollaro che la reindustrializzazione americana. L’America di Trump riscuote tuttavia scarsa credibilità e non offre garanzie di stabilità, a causa dello scoppio di un conflitto interno al capitalismo USA tra la finanza delle Big Three sostenuta dai neocon e quella trumpiana degli hedge fund e delle criptovalute. L’America è erosa da una conflittualità interna sempre più accentuata.
La finanza europea è complementare a quella USA, ed un eventuale collasso del mercato americano coinvolgerebbe direttamente anche l’Europa. Pertanto, la UE dovrebbe essere ristrutturata, con quelle riforme che Daghi invoca da tempo.
Occorrerebbe innanzi tutto blindare la classe dirigente europea, salvaguardandola dalle insidie della protesta popolare. Efficaci meccanismi repressivi sono già stati messi in atto dalla UE, con la criminalizzazione mediatica e l’arresto dei leader dell’opposizione in alcuni paesi europei. Andrebbe inoltre abolita la regola dell’unanimità del voto in sede UE e sostituita con il voto a maggioranza qualificata. Tale riforma comporterebbe la dissoluzione della sovranità degli stati e delle istituzioni democratiche. Infatti, con coalizioni maggioritarie precostituite dalla Germania e i suoi satelliti, le direttive di una Europa germanizzata, sarebbero imposte agli stati indipendentemente dal recepimento o meno dei loro organi legislativi.
Draghi prospetta inoltre la creazione di un mercato finanziario unico europeo. Quest’ultimo fagociterebbe i risparmi dei cittadini e provocherebbe alla lunga il collasso dei debiti sovrani degli stati, che dovrebbero praticare alti tassi insostenibili, per far fronte alla concorrenza di un mercato dei capitali integrato a livello europeo. L’idea di un debito comune europeo non risulta invece attuabile a causa della netta opposizione della Germania.
Draghi auspica poi una centralizzazione del sistema bancario europeo, onde garantirne la solidità, la stabilità e accrescerne la capitalizzazione. La creazione di colossi bancari europei si sta realizzando con la progressiva dismissione delle partecipazioni pubbliche nel settore bancario ed il contestuale rafforzamento nelle nuove compagini societarie della presenza dei fondi di investimento americani. Il processo di acquisizione del sistema bancario da parte dei gruppi finanziari americani incalza a ritmi sostenuti.
Sarebbe infine necessario procedere ad una ristrutturazione della burocrazia e della legislazione europea, che, per la sua eccessiva normatività e frammentarietà penalizza gli investimenti. Affermò Draghi a tal riguardo: «Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale ha mostrato come l'eccesso di regolamentazione e specialmente la sua frammentazione abbia contribuito a creare delle barriere interne al mercato unico che equivalgano a un dazio del 45% sui beni manifatturieri e del 110% sui servizi». Col pretesto di rimuovere le barriere interne, si vuole in realtà introdurre una deregulation selvaggia nell’economia europea, con delocalizzazioni industriali, dumping fiscale aggressivo per attrarre capitali, smantellamento del welfare, privatizzazione integrale della previdenza, della sanità e dell’istruzione e una speculazione immobiliare incontrollata che garantisca elevate remunerazioni finanziarie.
L’elite europea prospetta una trasformazione della UE in senso ultra liberista, con una governance totalitaria. Si prefigura quindi la finanziarizzazione integrale dell’economia europea, la privatizzazione degli stati e una precarizzazione estrema della vita dei cittadini, il cui destino sarebbe devoluto alle dinamiche dei mercati.
Nonostante l’imposizione dei dazi trumpiani, l’economia europea rimarrà dipendente dall’export negli USA, data la debolezza di una domanda interna, falcidiata da decenni dalle politiche di austerity. Occorre rilevare che da sempre la politica aggressiva americana mira alla destabilizzazione dell’Europa. Una UE deindustrializzata dalle delocalizzazioni di larga parte delle sue industrie negli USA e succube dei mercati finanziari americani divenuti assai instabili, potrebbe implodere. Tale prospettiva è ben descritta da Alessandro Volpi nel libro “La guerra della finanza”, Laterza 2025: «Se l'Europa si trasforma nell'insieme sempre più conflittuale di Stati che riconoscono nell'impero americano il loro principale elemento di sopravvivenza economica, si aprirà una ulteriore, nuova fase della globalizzazione neoliberale, questa volta contraddistinta in toto da una accettazione del modello a stelle e strisce che imporrà lo smantellamento totale degli Stati sociali e l'affermazione di un'ulteriore, gigantesca ondata di privatizzazioni affidate ai grandi fondi, a cui Trump affiancherà la propria finanza».
La UE si identifica col potere finanziario delle classi dominanti europee. Dal perdurante stato di crisi potrebbe scaturire una lotta di classe, una aperta conflittualità tra i popoli europei e le elite dominanti. Ma le classi subalterne dei popoli europei non dispongono di un’area politica di riferimento. In Europa non sussiste una dialettica politica autonoma, risultando la contrapposizione tra le forze politiche europee conforme alla dialettica interna americana. Il confronto tra destra e sinistra riflette pedissequamente la contrapposizione tra gli schieramenti della politica americana, tra conservatori trumpiani e liberal democratici.
La classe dominante della UE vuole sopravvivere a se stessa e ai propri fallimenti, preservando il suo status privilegiato, mediante la svendita dell’Europa alla finanza delle Big Three. Ma è impossibile che la UE, questa distopia tecnocratica senza popolo e senza storia, non venga coinvolta nel progressivo collasso del sistema neoliberista, che ha come epicentro la superpotenza americana, a cui sono indissolubilmente legati i propri destini.

