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Crisi di sistema

di Francesco Mario Agnoli - 10/12/2012

   Negli ultimi tempi per i magistrati italiani  tira vento cattivo. La condanna del direttore del Giornale, Sallusti, è stata assai male accolta da gran parte dell'opinione pubblica. La Procura di Palermo  è uscita soccombente dal giudizio promosso davanti alla Corte costituzionale dal Presidente della Repubblica per la mancata immediata distruzione dei nastri con le registrazioni dei suoi colloqui telefonici con l'ex ministro dell'Interno Mancino. Anche in questo caso consenso generale per l'on. Napolitano e  la Corte costituzionale (che giudica, ma non fa parte dell'ordine giudiziario). Il caso più significativo è però quello dell'Ilva di Taranto, nel quale ha fatto irruzione   a gamba tesa  il governo  per mettere nel nulla i provvedimenti di quella Procura e di quel Tribunale  che avevano bloccato la produzione delle acciaierie e sequestrato i prodotti.

   Particolarmente significativo quest'ultimo caso, perché se nei primi due ci si può fermare alla constatazione di un possibile errore dei magistrati, è indubbio che con l'Ilva è stato il governo a compiere una plateale invasione di campo. I giudici tarantini avevano riscontrato l'esistenza  di gravi indizi di reati in campo ecologico ed igienico-sanitario   ricollegabili all'attività produttiva dell'Ilva e, com'è non loro potere, ma loro preciso dovere, erano  intervenuti promuovendo l'azione penale e prendendo i provvedimenti d'urgenza necessari per impedire la protrazione  dei reati e limitarne gli effetti dannosi. Stante l'attuale stato del nostro ordinamento giuridico, fondato anche sulla indipendenza e l'autonomia del potere giudiziario, nessuno era legittimato ad intervenire su questi provvedimenti se non altri organi giudiziari di livello superiore. Certamente non il governo. E in effetti è molto probabile che, fino a due-tre anni fa,  quando ancora la situazione era  in  più o meno normale, nessuno sarebbe intervenuto.

  Il fatto è che i recenti, drammatici sviluppi della crisi economica hanno cambiato  tutto. In particolare l'Italia in piena recessione non poteva (e non può) permettersi la perdita di qualche migliaio di posti di  lavoro e di una buona fetta del mercato dell'acciaio.    

    Ecco allora che tutto si riporta alla peggiore crisi economica del dopoguerra, che, forse inaspettatamente, si allarga fino a coinvolgere i rapporti istituzionali fra poteri dello Stato, come del resto era già  già avvenuto poco più di un anno fa quando il presidente Napolitano, con un provvedimento che è difficile non considerare in qualche misura extra ordinem, ha messo in sella un nuovo governo senza che fosse stato sfiduciato il precedente. In questa occasione il presidente  e i suoi consiglieri hanno creduto che per fronteggiare una crisi economica occorresse un governo  di tecnici dell'economia, della banca, della finanza con una spruzzatina di giuristi. Una scelta  giustificata  dalla convinzione della natura esclusivamente economica non  solo negli effetti, ma anche nelle cause, della crisi, mentre in realtà alla  base di tutto  stanno le decisioni politiche che a livello mondiale hanno dato  via libera alla globalizzazione,  e, a livello europeo, hanno  privilegiato  per la costruzione dell'integrazione dell'Europa prima la cooperazione economica poi addirittura una unità monetaria priva dei necessari supporti. 

    Si tratta, quindi, di una crisi di sistema che non può essere curata con palliativi  che cercano (e forse possono riuscirvi, ma solo per un  breve periodo) di attenuarne gli effetti più direttamente e drammaticamente avvertiti dalle popolazioni:  quelli economici. La cura richiede invece  radicali interventi che coinvolgano anche i sistemi istituzionali in modo da renderli  adeguati alle esigenze poste da una situazione  ormai  irreversibile.

    Si è scelta come approccio al problema la magistratura, perché questa, pur rappresentando un vertice di garanzia mai raggiunto in precedenza e purtroppo arduo da  conservare in forme diverse, rappresenta l'anello debole, il primo a mostrarsi  inadeguato a rispondere alle nuove esigenze. I magistrati di  Taranto –si dice– non  hanno tenuto conto delle ragioni della produzione e dell'economia, ma in realtà non potevano e non dovevano farlo.  Il bilanciamento della difesa della salute  dei cittadini con le esigenze della produzione e dell'occupazione non rientra  nei loro compiti, ma in quelli del governo e del potere politico. In realtà i cambiamenti da apportare al sistema per uscire dalla crisi sono ben più profondi e radicali, ma uno dei più urgenti  è  di mettere il governo in condizione  di adempiere ai propri compiti con provvedimenti legittimi, cioè conformi all'ordinamento giuridico anche se questo sulle prime, in attesa di una totale riconfigurazione del sistema, può costare un ridimensionamento dei poteri della  magistratura.