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Cronache sottili: 2012, appunti su un anno passato

di Andrea G. Sciffo - 05/01/2013


 

La strisciante paura mista a malinconia che si diffonde nei cuori via via che si avvicina il giorno di San Silvestro è un sentimento causato dalla condizione faustiana in cui versa l’esistenza di quasi tutti. Si crede di avere i minuti contati, e così vivere diventa un conto alla rovescia, e ogni anno in più è un anno in meno e non basta l’euforia prima dello stordimento dei cenoni, dei brindisi, dei botti dei fuochi artificiali a rianimare un Io in coma irreversibile: è la morte il vero invitato alle “feste”, anche quando cela il suo ghigno nero dietro mille luci elettriche. La data è un numero convenzionale, come il denaro.

Chi come Faust ha venduto l’anima a Mefistofele, sa a cosa alludo: non sono divagazioni letterarie sulla drammaturgia diabolica di Marlowe o di Goethe, quanto invece accenni alla realtà “reale” dell’Unione Europea nel 2012, il cui Euro è stato “salvato” da Draghi, e dell’Italia dopo un anno di riabilitazione a cura del premier Monti. Del resto, Draghi e Monti sono solo coincidenze onomastiche per coloro che credono che un’opera come Lo Hobbit (in cui un Omino di cognome “Borsa” parte verso i Monti dove sul Tesoro giace addormentato l’ultimo dei Draghi… e sarà aiutato dai Nani) sia solo letteratura fantasy.

Intanto il tempo trascorre inesorabile. Nell’ultimo decennio persino le reti televisive hanno smesso di trasmettere, la serata del 31 dicembre, i consueti riassunti dell’annata, le cronache dei dodici mesi trascorsi, la scelta delle imprese che un anno che passa si porta via per sempre: la superstizione e la scaramanzia sono da tempo dominatrici assolute delle redazioni, per cui nessuno oserebbe raccontare la storia del 2012 come quella di un calendario coi fogli ormai tutti strappati. Porta male.

A ciò si aggiunge la vigliaccheria o la complicità coi sistemi dell’illecito: confezionare un resumé, per esempio, di una stagione “sportiva” (un campionato di calcio, di ciclismo o di formula 1 non fa differenza)  mostrerebbe evidentemente che essi non sono più giochi o discipline atletiche perché vederle così, accostate le une alle altre in pochi fotogrammi, tutte le parzialità, le antisportività, le slealtà di spettatori-tv-sponsor-dirigenti-giocatori/corridori, sarebbe insopportabile anche agli spiriti più ottusi.

 

Anniversari nascosti

              Il 2012 ha contenuto in sé, nel trascorrere dei propri 366 giorni, alcune ricorrenze che per vari motivi non è stato possibile celebrare degnamente: il fatto che siano passati quasi inosservati, è una delle cause della cosiddetta “crisi” dentro cui ci viene detto che siamo caduti. Per opporre un gesto di speranza agli atti mancati della cultura ufficiale, ecco qui un piccolo elenco di anniversari: sono tutti eventi del passato, lontani ma appartenenti all’epoca moderna cioè all’unica epoca che non accetta di finire e preferisce l’imbalsamazione, la senilità perpetua, il trapianto d’organo, la corporeità robotizzata o alla Frankenstein, piuttosto che morire.

              Nel 1712, Louis Grignon de Monfort scrisse il “Trattato della vera devozione a Maria”: avendolo ivi lui stesso predicato nelle parrocchie dell’Ouest francese, per tre generazioni, il popolo di Vandea crebbe nella luce azzurra della pietà mariana, un culto che, unito a quello del Sacro Cuore, gli diede la forza di opporsi al giacobinismo illuminista, di insorgere contro la coscrizione obbligatoria e di essere sterminato dall’esercito sanculotto piuttosto che cedere alle sradicanti direttive parigine.

              Nel 1812 i Luddisti sollevarono in rivolta le zone inglesi più deturpate dalla rivoluzione industriale, alle parole d’ordine di un mitico Ned Ludd: per qualche tempo il sogno della distruzione dei telai sembrò potersi realizzare, poi le leggi di mercato e della Corona britannica piegarono la ribellione di quegli operai e operaie che col martello intendevano eliminare la causa prima dell’oppressione sociale: la macchina. Nello stesso anno in cui i fratelli Grimm pubblicavano in lingua tedesca le loro celebri Fiabe (Kind und Haus-Märchen) proponendo alla coscienza europea di addentrarsi nel bosco, e proprio mentre l’imperatore Napoleone Bonaparte subiva la disfatta nella campagna militare di Russia.

              Nel 1912 nacquero due profeti anarchici della resistenza alla meccanizzazione della vita: in Francia, il filosofo Jacques Ellul, negli USA il folksinger Woody Guthrie.

              Nel 2012 il 16 marzo, alla vigilia del consueto incontro presso la cooperativa Alce Nero sulle colline marchigiane, è morto Gino Girolomoni. Tra i primi di settembre e dicembre, a Senigallia, Lucca e Bologna è stato celebrato il decennale della morte di Ivan Illich.

             

Appunti di diario

              Non c’è dubbio: oltre che un anno di terremoti e di scosse telluriche, è stato un anno attraversato per tutta la sua lunghezza, sino alla fatica data del 21/12, da sottili inquietudini apocalittiche, certo, disprezzate dall’intellighenzia; ma io che insegno in un istituto professionale e frequento i ceti subalterni ho percepito ben diffusa in molti la tentazione della credulità nella fine del mondo secondo il calendario maya…

              Sul piano materiale, intanto, la razionalizzazione ha proceduto indisturbata nel suo progetto di disumanizzare il mondo iper-antropizzandolo: lì dobbiamo archiviare tutte le angosce finanziarie, le bugie economiche, il cinismo del mondo del lavoro, la pianificazione delle grandi opere. Una funerea mascherata per coprire una guerra sordomuta (contro la libertà individuale, nei Paesi UE) e un conflitto/massacro collettivo che serve a tutti che non finisca mai (in Siria). Ma se si guarda un po’ più per il sottile, esistono altri punti e altri segmenti che, uniti in un disegno, evidenziano come si stia sedimentando, e siamo al tratto finale, la nuova “religione del lavoro”.

              Il primo a vederne le avvisaglie fu, da liberale al di sopra di ogni sospetto, il filosofo Benedetto Croce: lui che tra le due guerre veniva chiamato “il papa laico” era però già caduto in disgrazia quando pubblicò il saggio L’anticristo che è in noi (Quaderni della critica, luglio 1947, n°8); vi sosteneva infatti che il fare per il fare è demoniaco, e che “l’Anticristo distruttore del mondo, godente della distruzione, incurante di non poterne costruire altro che non sia il processo sempre più vertiginoso di questa distruzione stessa, il negativo che vuol comportarsi come positivo”(pag.67). È il prospetto dei decenni successivi, quelli del boom e della crescita e dello sviluppo. Di questa pagina crociana non ha mai parlato nessuno, in tanto prolissi e retorici discorsi dell’Italia repubblicana, fuorché Augusto Del Noce. Il punto conclusivo del segmento sta in un discorso del papa Benedetto XVI pronunciato lo scorso 3 dicembre, presso la Città del Vaticano ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

              “L’uomo d’oggi è considerato in chiave prevalentemente biologica o come 'capitale umano', 'risorsa', parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra, nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale - contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni 'minori' e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato”.

              siamo a un solo passo dal poter finalmente affermare che il luogo comune sempre ripetuto, ossia che “il lavoro nobilita l’uomo”, non è affatto vero; è invece vero l’inverso, cioè che è l’uomo a nobilitare qualunque professione egli eserciti, e che perciò non esistono lavori umilianti. Come avviene una simile nobilitazione del lavoro? Come suscitare l’esatto contrario della sacralizzazione (liberale) dell’attività professionale? Il punto di partenza mi pare che l’avesse scoperto Aldo Capitini, poco prima di morire, esprimendolo nel suo libro La compresenza dei morti e dei viventi (1966):

              «La compresenza nella sua unità intima di morti e di viventi preme sulla realtà così com'è, la realtà della natura, della vitalità e della potenza. La compresenza assedia senza tregua questa realtà del mondo della natura, pervade e può anche fare trasformazioni totali. Non è il singolo che può sostituirsi ad essa e trasformare tutta la realtà del mondo della natura; ma il singolo può avvertire tali possibilità, spiare le aperture ad Altro nello stesso mondo della natura, fare il profeta di una realtà liberata, posizione questa intrinseca alla vita religiosa, che è di speranza e annuncio di una realtà, mentre il saggio indica il modo migliore di rigirarsi nella realtà così com'è. […] Un atto di bontà, o di onestà, o di ricerca del vero, o di creazione e ri-creazione del bello, o di sacrificio o di lotta per la più pura libertà, avviene perché c'è l'azione della compresenza, che è a un livello che comprende tutto il meglio del fare, ed è dinamica e preme a rivoluzionare il mondo della natura come vitalità e potenza. (p. 30)»

              Anche il massimo genio scientifico-teologico del XX secolo, il russo P.A.Florenskij, intuì un tale concetto sottoforma di cura della stirpe, del fatto che la realtà attuale sia un riflesso dell’altro dei “due mondi” e che il simbolo sia l’intermediario tra i due, e che ciò che non è offerta duplice ai propri padri e ai propri figli non è nulla. Il lavoro va letto in questa luce. Per l’ottica liberale, tutto questo appare come volgare e insopportabile ozio, inefficienza, irrazionalità.

              Come evitare allora di autocelebrare la propria professionalità ritenendosi degli insostituibili “esperti”? La risposta di Ivan Illich indicava l'esistenza di una doppia soglia dello sviluppo: superata la prima, la Scienza e la Tecnica producono strumenti le cui potenzialità di soddisfazione dei bisogni umani sono indubbi; al di là della seconda, però l'istituzionalizzazione e la professionalizzazione di quegli strumenti rendono passivo l'uomo e inducono lo sviluppo di falsi bisogni. Illich previde così l’avvento di una società divisa in ricchi e poveri, e omologata dall'alienazione: che è la nostra, oggi. La sua proposta fu la convivialità, vale a dire la possibilità che lo strumento sia utilizzato unicamente al fine di soddisfare bisogni di uso, nei quali si esprime libertà e creatività individuale. È una rivoluzione immediatamente attuabile in quanto implica un (immediato) diverso approccio con le (per ora) medesime cose.

              Il suggerimento più vivido, dato che il suo libro è fresco di stampa, lo dà Massimo Angelini in DALLA CULTURA AL CULTO. Percorsi di antropologia filosofica intorno al simbolo, al sacro, al sapere vernacolare e alle comunanze (Nova Scripta (Ge), 2012; pp.160 €22) quando tratta de “l’impronta emotiva delle cose” e introduce ai lettori italiani l’anteprima del pensiero/azione della filosofa neozelandese Freya Mathews, secondo la quale

              «Come si traduce [l’impegno verso le cose della nostra vita] nella pratica quotidiana? Il punto di partenza per tale etica è […] essere leali con le proprie cose e gli oggetti che custodiamo. Se fra queste ci sono, per esempio, un computer o una macchina, trattateli con amicizia; non rifiutateli, ma usateli per il bene del mondo e di chi vi è vicino, per accrescerne la bellezza e la salute. Tenete il vostro computer e la vostra macchina indefinitamente. Non cambiateli con nuovi modelli, se non è davvero necessario; teneteli bene; teneteli puliti. Se dovete separarvene, fatelo in modo da non offendere la fiducia che avete riposto in loro: lasciateli a chi sperate li tratti con lo stesso affetto. Trattate con almeno un po’ di affetto ogni cosa del vostro mondo. Se riconoscete che un oggetto o una tecnologia sono particolarmente distruttive, certo non li vorrete usare, per non recare danno al mondo intorno a voi: ma non demonizzateli, non denigrateli. Provate ad adattarli a qualche altro uso, questa volta positivo, e lasciate che si esprimano attraverso questo nuovo uso. Così, ridando vita e anima agli oggetti e rimuovendoli gradualmente dall’economia di mercato –l’espressione ultima del disincanto verso il mondo– e rinominandoli sotto la specie del dono e come parti inalienabili della vostra vita, inizierete il vostro allontanamento dal consumismo, dal suo implicito disprezzo per la materia e dalle devastanti conseguenze per impone all’ambiente, muovendovi verso un’etica della conservazione.»

              Giustamente qui Angelini ribadisce che “Trattare cosa che esiste, vivente o non vivente, animata o inerte, con cura, con affetto, ne porta lontana la traccia e genera riverberi che non conoscono decremento, che non si diluiscono nel tempo e non scemano con la dilatazione dello spazio. E questo può vibrare nelle corde delle nostre scelte e farci decidere se produrre e costruire con attenzione oppure con indifferenza, se circondarci di oggetti che testimoniano e comunicano la creatività e l’armonia oppure la costrizione e lo sfruttamento. Ricordiamo che già per questi riverberi, il cibo preparato da una madre non può mai fare male ai figli, indipendentemente dagli ingredienti e dai metodi di preparazione e cottura”. Convince, la voce scrivente di Angelini che ha ritmi certi e ondulatori e sembra provenire da faglie, da plaghe di territorio in cui, miracolosamente, ancora sussista una proporzione tra organico e inorganico, tra silenzi e suoni, tra tempo e ciclo, tra affetto e astrazione. Il suo libro ne è l’emblema.

              Nel quale si riporta un’altra pagina di Freya Mathews che è il paradigma della rivolta contro la religione del lavoro:

              «Nello stesso tempo, se potete, trovatevi una residenza che sia definitiva, e quando ci riuscite, abitatela con dedizione. Se già possedete una casa, potete decidere che non la venderete mai. Siate fedeli alla vostra casa. Fatele sapere che sarà vostra per la vita, fino a che la morte non vi separi: “fa parte della famiglia”. La casa ha la propria gente e con questa intreccia il proprio destino e la propria identità. Riempitela con la vita e la bellezza. Per aumentarne l’aura e farne un luogo ospitale, incoraggiate a stabilirvisi quanti più esseri via sia possibile incoraggiare. Fate crescere alberi e piante in abbondanza, dentro e fuori. Fornite riparo e dimora per insetti, uccelli, rane e altri animali. Invece di escludere dal vostro spazio domestico la vita non-umana con barriere o armi chimiche, condividetelo generosamente con loro, adattatelo in modo che inoffensive creature selvatiche possano co-abitare con voi: scavate buchi per pipistrelli sotto le gronde, e lasciate che i ragni si godano gli angoli delle stanze. Popolate la vostra casa con animali da compagnia felici. Quando moriranno, seppelliteli in giardino, così che il suolo stesso sia intriso di ricordi. Quanti più esseri abitano la vostra casa, tanto più sarà amata, e questo amore diventerà sempre più stratificato e intenso col tempo».

             

Si conferma così un’intuizione che qualcuno ebbe quando disse che il segnale che il consumismo starà per estinguersi sarà… rivedere una donna alla finestra.

Cronache (sottili) del 2012

              Il 16 marzo, a Montebello (PU) è morto improvvisamente Gino Girolomoni: il giorno successivo avrebbe dovuto trattare di Lazzaro, una figura presente nei Vangeli e della cui non si sa nulla dopo il miracolo della risurrezione operato dal suo amico, Gesù Cristo. Negli appunti pubblicati postumi su MEDITERRANEO DOSSIER (Il biologico, cultura, idee, eventi, personaggi)  N°39, estate 2012 [Montebello (PU), pp.95 €10], si nota come Girolomoni avrebbe commentato le “coincidenze” di alcune visioni delle mistiche cristiane confermate dall’archeologia: prima, la scoperta fatta presso gli scavi di Magdala (da lui visitati) dove padre Stefano de Luca, direttore degli scavi per la Custodia di Terra Santa, ha trovato un laboratorio in cui si produceva zucchero di canna; ebbene, Caterina Emmerich nelle sue visioni sulla vita di Maria la Santissima (dettate verso il 1812) aveva descritto una tale impensabile attività nella città sul Lago di Galilea. Seconda, quella della palestinese Mirjam Baouardy la quale “vide” il luogo della cena di Emmaus, fece acquistare il terreno dalle sue sorelle, nell’Ottocento: gli scavi archeologici effettuati negli anni Settanta scoprirono tre chiese nello stesso luogo e una pietra con la scritta “Nicopolis”,  la denominazione della città nel I secolo d.C. Terza, la visione di Maria Valtorta che descrisse come presenti, tra le attività nella fattoria di una delle pie donne che seguivano Gesù, la lavorazione di essenza di rose, confermata poi in quel luogo dall’analisi molecolare effettuata da università americane. Io sono salito alle colline di Isola del Piano troppo tardi, in agosto; ma la veduta verso l’urbinate, il silenzio, gli incontri, l’ospitalità a tavola, tutto era pervaso di qualcosa di presente.

              Il 7 ottobre, santa Ildegarda di Bingen è stata proclamata “dottore della Chiesa universale”. Si forma così un curioso nodo tra cristianesimo e new-age, concretato nel corpo della donna tedesca che nel XII secolo osava leggere, scrivere, erborizzare per i boschi, rimproverare pontefici e vescovi: lei che fu sempre malaticcia, e che ci lascia ricette farmacologiche per la buona salute, visioni divine, musica celestiale, e che morì ultraottantenne nel monastero di Rupertsberg.

              Il 21 ottobre il papa ha canonizzato Kateri Tekakwitha (Gah-deh-lee Deh-gah-quee-tah), la prima santa pellerossa nella storia della chiesa cattolica: l’evento svoltosi in piazza San Pietro a Roma alla presenza di pellegrini in rappresentanza delle tribù di nativi sparse in tutto il continente nordamericano. La guarigione miracolosa, da fascite necrotizzante, del dodicenne Jake Finkbonner della tribù Lummi, ha permesso a Kateri Tekakwitha di salire agli onori degli altari, lei che, deturpata in volto dai segni del vaiolo, costruiva croci di legno nei boschi per poter pregare, e che ebbe subito il nome di “giglio dei Mohawks e degli Irochesi”, era morta ventiquattrenne il 17 aprile 1680.

              Il 1 dicembre, su Il Corriere della Sera, è apparsa una lettera firmata da Rossana Bruzzone e Maria Antonia Capizzi, insegnanti di scuola secondaria di I grado, intitolata “Il lavoro di noi prof? Ecco il calcolo: 1.759 ore all’anno”, con allegata tabella delle attività.

              Il 26 dicembre, dai microfoni della Radio Vaticana, il sociologo Massimo Introvigne ha ricordato i dati annuali: nel mondo sono stati uccisi 105.000 cristiani, uno ogni cinque minuti. Inoltre, in Asia e Africa 200.000 di persone soffrono persecuzioni perché professano la fede cristiana.

              In un’intervista rilasciata a Sette (il 28/12/’12), Giuseppe De Rita a margine del Rapporto CENSIS 2012 ha parlato del ceto medio in crisi e della “restanza”, termine coniato da Jacques Derrida per indicare ciò che del proprio passato permette di resistere. In che cosa consiste la restanza degli italiani? gli domandava l’intervistatore. “Nella pazienza e nella sobrietà che provengono dallo spirito contadino” ha risposto: ”è un deposito a cui attingere. Abbiamo sopportato pazientemente i cambiamenti. Dobbiamo valutare se è un bene o un male”. No comment.

              La cronaca termina perciò con un punto di domanda: come attingere al deposito dello spirito contadino, se si è cittadini? È sufficiente proclamarsi contrari alla meritocrazia liberale, che è sempre un elogio del “principale” verso il “dipendente” più ligio alle regole più inumane dei contratti di lavoro? È sufficiente dirsi favorevoli al dilagare in Italia del gioco d’azzardo, una tendenza sociale che sostiene inconsciamente che la ricchezza non si produce col lavoro, con l’iniziativa imprenditoriale o col merito, ma con la fortuna? (Peraltro, lo Stato liberale non ha mai fatto nulla per scoraggiare il gioco d’azzardo o le dipendenze dalle lotterie: ha sempre e solo chiesto una percentuale sul giro d’affari). È infine sufficiente proclamare per l’anno venturo una agenda politica che preveda la meditazione delle eredità gemelle di due pensatori di lingua ispanica: Juan Donoso Cortés († 1853) e Nicolás Goméz Dávila ( 1913)?