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L’Italia di Letta – Saccomanni: credit crunch e recessione

di Luigi Tedeschi - 22/01/2014

Fonte: centroitalicum

 


 


Il governo Letta – Saccomanni, a fronte di uno stato di recessione economica del paese, che registra un incremento della disoccupazione al 12,7% (con punte del 41% tra i giovani), continua ad enfatizzare con toni trionfalistici il calo dello spread, che ha raggiunto quota 200, riportandosi ai livelli ante-crisi del 2011. In realtà il calo dello spread è conseguenza della politica della BCE che ha erogato miliardi di liquidità alle banche al tasso dell’1%. Il sistema bancario ha impiegato larga parte di tale liquidità nell’acquisto massiccio di titoli di stato, realizzando in tal modo rilevanti profitti sugli interessi del debito pubblico.
Oggi, 403 miliardi di titoli di stato sono detenuti dalle banche , e 204 dalle assicurazioni. Il debito sovrano è dunque in larga parte detenuto dalle banche, che mediante tali acquisizioni in massa, hanno contribuito ad allentare le tensioni speculative sul debito pubblico italiano, che comunque resta esposto ai rischi di condizionamento eccessivo da parte di un sistema bancario la cui capitalizzazione è oggi assai problematica e perennemente soggetto alla instabilità dei mercati finanziari. L’impiego della liquidità fornita dalla BCE nel debito pubblico, se si è dimostrato assai redditizio per le banche, ha però determinato una rilevante riduzione del credito erogato alle imprese e ai privati, comportando perciò un calo determinante della produzione e dei consumi. Pertanto l’aumento della disoccupazione non è che un effetto conseguente. La recessione economica che grava sull’intera collettività, rappresenta il costo sociale imposto agli italiani a fronte della stabilizzazione dei tassi di interesse sul debito pubblico, che ha portato al calo dello spread. I finanziamenti alle imprese sono diminuii nel mese di novembre del 6%.

Si accentua dunque una tendenza già in atto, dato che il calo è del 10,5% rispetto al 2011. Le banche giustificano tale strategia sulla base della considerazione secondo la quale, in una fase di crisi economica avanzata il rischio di insolvenza diviene sempre più elevato. Infatti il tasso di sofferenza sui crediti bancari è arrivato al 22,8%. Nel 2013 le sofferenze sui prestiti alle imprese hanno raggiunto i 103 miliardi, mentre quelle sui prestiti alle famiglie i 32 miliardi. Il credit crunch colpisce imprese e famiglie, quando invece sarebbero necessarie misure espansive del credito per generare crescita. La ripresa si presenta infatti incerta e debole concentrata per lo più sull’export e non produce occupazione. Permane intanto uno stato di recessione generalizzato dovuto a cali di consumi interni. Il credit crunch, determinando il calo della domanda e offerta di credito, genera un circolo vizioso che conduce solo all’aggravamento della recessione. Infatti, se da una parte le banche restringono le concessioni di credito perché cresce il rischio di insolvenza, dall’altra quest’ultimo non può che accentuarsi sui crediti già concessi in corrispondenza della diminuzione della domanda di beni e servizi.
Si prevede che l’andamento dei prestiti alle imprese subirà ulteriori decrementi. Nel 2014 i crediti alle imprese dovrebbero diminuire di altri 8 miliardi. Si ravvisa inoltre il pericolo di cali più accentuati, dovuti alla devoluzione dei controlli sulle banche alla BCE, nel quadro dei nuovi accordi europei per l’unificazione bancaria. Se tali test sui bilanci delle banche dovessero sortire risultati negativi, la stretta sui crediti diverrebbe maggiore.
Inoltre al calo dello spread non ha fatto riscontro una corrispondente diminuzione dei tassi sui mutui, che oggi risultano invece incrementati, con particolare riferimento al settore immobiliare. Lo squilibrio tra economia finanziaria ed economia reale si accentua, contribuendo ad indirizzare la liquidità verso impieghi finanziari a discapito della produzione.
Si rileva che la capitalizzazione delle borse europee è cresciuta nell’ultimo mese di 700 miliardi. Le eccezionali performance delle borse europee sono dovute alla fuga dei capitali dai paesi emergenti ed alla graduale diminuzione dell’acquisto dei bond da parte della Fed. La presumibile svalutazione del dollaro, il calo verticale dell’inflazione europea, con conseguente apprezzamento dell’euro (e recessione economica europea), hanno determinato questo rilevante afflusso di capitali nelle borse europee. I mercati finanziari, al contrario dell’economia reale, registrano un eccesso di liquidità dovuto alle immissioni delle banche centrali di Gran Bretagna, Stati Uniti e Giappone per 1.700 miliardi di dollari. Tale eccesso di liquidità, se ha condotto al ribasso dei tassi di interesse sui debiti sovrani, non riesce a trovare impiego in investimenti remunerativi e pertanto, si moltiplicano investimenti che per garantire adeguate remunerazioni presentano tassi di rischiosità sempre più elevati.
E’ la stessa logica finanziaria che ha condotto alla crisi del 2008, quella che Warren Buffers ha definito dei “rischi senza rendimenti”. Il divario tra economia finanziaria ed economia reale si accentua, alla crescita delle borse europee non fa riscontro adeguata crescita produttiva, si ripresentano i fattori si rischio di una nuova bolla finanziaria simile a quella del 2008.
Il sistema capitalista si è involuto su sé stesso, l’espansione eccessiva della finanza globale ne mina le fondamenta, non è in grado di trovare soluzioni alle crisi che esso stesso genera.
Luigi Tedeschi