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Le quattro grandi

di Eugenio Benetazzo - 19/11/2014

Fonte: Eugenio Benetazzo


Sono passati ormai più di sei anni dal quel fatidico Lunedi 15 Settembre 2008, il giorno che può essere considerato come un nuovo zero cronologico per l’economia mondiale. Prima di questa data si poteva affermare pacificamente che il precedente faro temporale fosse il 9 Novembre del 1989 ossia la caduta del muro di Berlino per acclamazione ed esuberanza popolare. Queste due date decretano in comune la fine di qualcosa che nei decenni precedenti aveva dominato e condizionato il mondo, il capitalismo per il 2008 ed il comunismo, come ormai assodato, per il 1989. Dopo questi due eventi temporali il mondo non sarà più come prima, ne sappiamo qualcosa noi europei che stiamo entrando e vivremo a breve la terza recessione in soli cinque anni. Queste date sanciscono un inversione di poteri ed un ribilanciamento di forze in campo geopolitico. Solo per stare in tema a casa nostra, prima del 2008, le banche più grandi del mondo, classificate per capitalizzazione ed assets detenuti erano anglosassoni, con in testa la storica HSBC (Hong Kong & Shanghai Banking Corporation) la quale nonostante il nome possa trarre in inganno, rappresenta una banca inglese nella più ampia concezione possibile. Al secondo posto Bank of America, che nasce grazie al prezioso contributo di un banchiere italoamericano, Amadeo Giannini, che può essere considerato l’Henry Ford dell’industria bancaria.

Bank of America è tuttora la più grande banca al mondo per servizi finanziari erogati. Torniamo alla classifica, al terzo posto trovereste Citygroup, che scaturisce dalle viscere della City Bank fo New York e numerose successive acquisizioni, ed infine al quarto posto J.P. Morgan Chase, sostanzialmente la banca fondata dai magnati americani, John Pierpont Morgan e John Davison Rockefeller. All’epoca non si trovava una banca italiana nelle prime venti posizioni, nonostante siano stati proprio gli italiani ad inventarle e concepirle. Questa quindi era la cliassifica delle quattro grandi banche al mondo prima del 2008. Se stiliamo la nuova classifica post Lehman failure, rimarremmo ampiamente sorpresi. Oggi la banca più grande del mondo per capitalizzazione di mercato ed asset detenuti è ICBC ossia Industrial & Commercial Bank of China, i cui attivi valgono tanto quanto il PIL della Germania. Quel che più stupirebbe è la giovane età di questo colosso, appena 30 anni, contro i 150 anni di HSBC. Al secondo posto abbiamo la China Construction Bank con le sue quasi 14.000 filiali (solo in China), al terzo posto la Agricultural Bank of China, voluta da Mao Tse Tung nel 1954, con le sue 24.000 filiali ed infine al quarto posto, la Bank of China, fondata nel 1912, la banca più antica della Cina.

Attenzione a non confondere ques’ultima con la People’s Bank of China di fatto la banca centrale cinese che oltretutto è anche il principale azionista di maggioranza delle quattro grandi banche prima menzionate. La Bank of China è la ridenominazione della precedente Imperial Bank of China, e possiamo considerarla come la più internazionale delle banche cinesi, in quanto ha filiali operative in quasi tutto il mondo, dal Canada allo Zambia. Ognuno di questi istituti bancari è sotto l’egida ovviamente del Partito Comunista ed è soggetta alla governance ed alla cabina di regia del Presidente Xi Jiping. Inutile dire che se la crescita a cui ci ha abituati la Cina negli ultimi dieci anni fosse un motore a combustione, queste banche rappresenterebbero i pistoni all’interno del quattro cilindri che ha dato propulsione a tutti i settori strategici della nazione. Nessun paese al mondo ha messo a disposizione il credito e l’accesso al credito come ha fatto la Cina in questi anni, nemmeno gli USA in epoca pre-crisi immobiliare con le sponsored government enterprise, Fannie Mae e Freddie Mac, che a suo tempo alimentarono la bolla immobiliare, scoppiata nel 2008 trasformando il boom economico in sboom finanziario. Purtroppo qui nascono i problemi per il futuro tanto per la Cina quanto per il resto del mondo.

La crisi immobiliare negli USA è scaturita da una voluta mancanza di controlli negli affidamenti esclusivamente per conseguire consenso elettorale (di questo argomento ne parlo diffusamente in La Crisi Infinita). Sostanzialmente l’attività economica del prestare denaro che presuppone la discriminazione era venuta meno. Questo ha prodotto un aumento drammatico dei NPL (non performing loans) ossia i prestiti che non vengono o non possono essere più rimborsati (perdita di posto del lavoro, aumento delle rate e cosi via). Quando il Congresso degli Stati Uniti varò il TARP (Troubled Assets Relief Program) ovvero il piano di sostegno per 700 miliardi di dollari alle banche americane, questo importo venne calcolato come un 5% di insolvenza su un totale di 14 trilioni di affidamenti bancari complessivi dell’epoca. Sappiamo poi come è andata. Ora per la Cina negli ultimi cinque anni i prestiti ed affidamenti al settore privato sono stimati al 250% del PIL, quindi circa 20 trilioni di dollari, se applicassimo la stessa ratio degli americani dovremmo aspettarci oltre 1.000 miliardi (un trilione) di potenziali insolvenze. Diciamo che i cinesi sono stati più prudenti (anche se gli allarmi e le luci rosse sono accese da mesi) e il delinquency rate è del 2.5% allora dobbiamo mettere in conto 500 miliardi di dollari che impatteranno non solo su Pechino ma su tutto il mondo. State certi che i prossimi cinque anni saranno tutt’altro che l’uscita dal tunnel.