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Sulla “globalizzazione”

di Bernardo Luraschi - 12/05/2015

Fonte: Periferia occidentale


museo

In un interessante testo “Il destino della tecnica” Emanuele Severino compie un’analisi del nostro tempo la cui sintesi è che: “La tecnica è destinata a diventare lo scopo supremo”.

Nel VI capitolo intitolato “Sulla globalizzazione”, l’autore ragiona sul Cristianesimo, che è prodotto dell’Occidente e agisce nel mondo come un blocco compatto secondo principi assoluti. In ragione di ciò non è adatto a essere un processo globalizzante, essendo un pensiero unificante (compattato da Dio) è costretto a scontrarsi e a escludere ciò che non può riconoscere e che quindi è inaccettabile. Al contrario il pensiero tecnico-scientifico trae la totalità dalla sommatoria dei particolari, la cui interpretazione è in continuo divenire in ragione di principi statistici-probabilistici che la scienza ha fatto propri e che ormai sono alla base della moderna società democratica. Conseguentemente si crea un mondo parcellizzato dove un elemento vale l’altro, integrandosi e adattandosi senza un progetto o un fine che da causa dell’azione diviene conseguente all’azione. Questa frantumazione annullando ogni scala di valori, libero il desiderio che realizza e immagina senza più timori nel principio divino, messo ormai tra parentesi o esplicitamente negato come ogni etica e morale.

Naturalmente tutto ciò uccide le muse, che vivono di armonia, leggerezza e atemporalità, cose che la tecnica nega. Allora l’arte si fa allestimento, happening si trasforma anch’essa in un meccanismo che nega lo stile e gioca a stupire con l’ultima novità strizzando l’occhio al mercato. Tutta l’arte da oltre un secolo sembra rappresentare il vuoto, la solitudine e la follia in una dissonanza rumorosa che stride, di suoni e colori persi nel nulla prospettico. Le muse sono morte e nessuno ne parla, solo il cinema pare sopravvivere, come effimero simulacro di una vita non più vissuta.

Di seguito riporti alcuni stralci del capito.

Se per “globalizzazione” si intende il processo in cui certe forme di civiltà diventano “globali”, cioè si estendono all’intero globo terrestre, allora la globalizzazione è sempre stata a senso unico: dall’Occidente al resto del mondo; mai viceversa.

Gli esempi che si possono dare sono noti a tutti. Ma non si riflette abbastanza sul loro senso. Con Alessandro Magno, nel IV secolo avanti Cristo, i Greci giungono fino alla pianura del Gange. L’Impero romano unifica terra e mare dalla penisola iberica alla Persia, dalla Britannia al Mar Rosso. …………………..

Ancora: il cristianesimo, che è per eccellenza la religione dell’Occidente, evangelizza il mondo e riduce quanto più gli è possibile le forme non cristiane della religiosità. Nel nostro secolo capitalismo e comunismo – il secondo, non meno del primo, espressione tipica della civiltà occidentale – sono stati per l’umanità intera i due modelli supremi di organizzazione della ricchezza; e dopo il crollo del socialismo reale lo stile di vita in cui il capitalismo si esprime è ormai diffuso in tutto il Pianeta. La tecnica occidentale guidata dalla scienza moderna è -divenuta oggi lo strumento insostituibile di cui tutti i popoli della Terra si servono per realizzare qualsiasi loro progetto di sopravvivenza.

Non è mai esistito e non esiste nulla di eguagliabile all’aggressività che l’Occidente ha esercitato e continua a esercitare sul resto del mondo………………………………….

Se ci si porta in una dimensione più profonda del discorso, va rilevato che la tecnica dell’Occidente ha si, dapprima, il compito di salvaguardare una certa forma di civiltà, ossia un certo “mondo” di valori. Ma proprio per questo è inevitabile che la tecnica finisca col voler salvaguardare innanzitutto se stessa. Se ad essa è affidata la salvaguardia del “mondo” occidentale- se da essa dipende la salvezza di tale mondo -, non è forse essa il bene più prezioso, che prima di ogni altro deve essere salvaguardato, mentre i singoli valori di quel mondo non devono ostacolare l’efficienza e la potenza dello strumento salvifico in cui la tecnica consiste?………………………

La separazione della tecnica dagli altri valori dell’Occidente non è tuttavia accidentale, bensì è il risultato del processo inevitabile, a cui si è alluso qui sopra, per il quale lo scopo della tecnica- ossia dello strumento che dovrebbe salvaguardare il “mondo” della civiltà occidentale- diventa la salvaguardia della tecnica stessa. La quale, pertanto, diventa l’essenza della civiltà occidentale; e il suo trionfo nel mondo…………

Il capitale tende a servirsi della tecnica per incrementare il profitto; la tecnica tende invece sempre più a servirsi del capitale per incrementare la quantità di potenza a disposizione dell’uomo. Al di là dell’apparenza, le due forme di globalizzazione sono in conflitto. Ma se la tecnica è oggi la condizione suprema della sopravvivenza dell’umanità e della perpetuazione dei privilegi dei popoli ricchi, è impossibile che la tecnica si riduca alla funzione di semplice strumento nelle mani dell’economia capitalistica e dunque si faccia regolare e limitare dagli scopi che tale economia intende perseguire.

Il cristianesimo, a sua volta – che come il capitalismo, la tecnica e la democrazia è un prodotto dell’Occidente -, ha tentato di instaurare una diversa forma di globalizzazione: l’evangelizzazione del Pianeta. E lo sta ancora tentando, soprattutto nella sua forma cattolica. Ma mentre capitalismo e tecnica sono già avanti in questo percorso – e in relazione a quest’ultima si può dire anzi con molta verosimiglianza che quella presente è “l’età della tecnica” -, il cristianesimo deve invece recuperare il terreno perduto ed è difficile allontanare il sospetto che la sua attuale reviviscenza sia il canto del cigno………………………………..

Un agire che nel mondo vede soprattutto un blocco compatto (compattato da Dio) stenta a farsi largo e a imporre il proprio modo di vedere – stenta quindi a diventare un processo di globalizzazione – anche quando crede di essere un agire libero. È limitato dal suo stesso modo di percepire il mondo; è ostacolato dai suoi stessi principi, dalla sua stessa volontà. La possibilità che l’agire guidato da tale percezione del mondo divenga globale è ostacolata da questa stessa percezione anche perché quest’ultima va incontro agli altri senza cedimenti, flessibilità, duttilità; e di fronte alle resistenze degli altri deve o distruggerle o lasciarsi distruggere. Per così dire, si carica sulle spalle un bagaglio troppo voluminoso perché possa passare dalle porte.

È sostanzialmente in questa direzione che si può comprendere il motivo per cui la tradizione dell’Occidente, e dunque la tradizione cristiana, non può diventare una forma alternativa di globalizzazione. Per lo stesso motivo è sinora fallito ogni tentativo dello Stato totalitario di diventare Stato planetario e globale.

L’azione di tipo capitalistico e soprattutto di tipo tecnico-scientifico è invece diversa. La scienza moderna e la tecnica da essa guidata nascono dalla crisi della tradizione occidentale. Analogamente, la democrazia moderna nasce dalla crisi dell’assolutismo politico; e il criterio democratico della maggioranza è congruente al carattere statistico-probabilistico che le leggi scientifiche hanno ormai assunto………………

Si tratta di uno spazio essenzialmente diverso da quello a cui si rivolge la tradizione occidentale: non una totalità organica dove tutte le parti sono legate tra loro dalla comune radice divina, e dove dunque ci si muove a fatica; ma una totalità dove le parti sono separate le une dalle altre: reciprocamente isolate e reciprocamente indipendenti perché la loro comune radice – il loro Principio divino – o è stata messa tra parentesi o è stata esplicitamente negata………………….

Pertanto, mentre la tradizione occidentale inventa un mondo le cui parti sono indissolubilmente legate tra loro e che quindi è refrattario al processo di globalizzazione in cui esso dovrebbe essere imposto ovunque, invece alla radice della scienza e della tecnica c’è l’invenzione di un mondo che si presta nel modo più radicale all’azione che si propone di diffondere ovunque la convinzione che tale mondo esiste.

Esso è un mondo duttile, flessibile, cedevole, perché ogni sua parte è isolata dalle altre e dunque nessuna di esse gli è essenziale ed è essenziale alle altre…………………..

La “natura”, ormai, è la frantumazione di ogni “natura” (nel senso che la tradizione attribuisce a questa parola); sì che ogni frantumazione delle cose e degli uomini – dalle più indolori alle più atroci -, si presenta come qualcosa che non fa che rispettare e adeguarsi al modo in cui le cose esistono.

Appunto per questa adeguazione alle cose isolate del mondo è consentito alla tecnica di inventare e produrre mondi sempre nuovi e di allargare all’infinito il processo della globalizzazione. Il destino della globalizzazione è legato al destino della tecnica.