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Utilitarismo e liberismo

di Martina Carletti - 28/12/2015

Fonte: Appello al Popolo

    

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Da Appelloalpopolo del 23-12-2015 (N.d.d.)

 

“Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l’azione e l’utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo.”

(Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società)

“Agli occhi del costruttore di imperi, gli uomini non sono uomini ma strumenti.”

(attribuita, Napoleone Bonaparte)

L’individualismo, o ricerca dell’utile e del piacere individuale, sembra aver fagocitato ogni questione etica e morale nella riflessione politica del bene collettivo. Il vuoto lasciato dalla morte della Chiesa cattolica in Occidente ha sottratto un principio unificante di autorità: la religione, che con il nome di “fede”, definiva la filosofia del popolo e agiva in un campo sociale di formazione del sentimento collettivo, è stata ormai sostituita completamente dalla manipolazione dei mass media.

La religione interpretava i bisogni materiali e spirituali del popolo, e ne dava un contenuto etico a prescindere dalla regola scientifica e filosofica: i bisogni materiali e spirituali della collettività sono stati via via interpretati dal mondo consumistico sotto forma di merci ed, attraverso la creazione di finti bisogni, ciò ha massimizzato il potere del mercato capitalistico.

Quali sono, dunque, i principi morali che sono stati trasferiti in campo politico, nella contemporanea società neoliberista?

Una buona narrazione di uno di questi principi, l’utilitarismo, moralmente assai discutibile poiché sfrutta i sentimenti umani, si troverà in Giuseppe Abbà, Quale impostazione per la filosofia morale? Las, Roma 1996: in questo saggio, arriva dal suo punto di vista alla conclusione che l’utilitarismo, in fin dei conti, deve decidere tra l’allontanamento dall’esperienza morale (dall’ethos comune) o la perdita della propria identità e purezza teorica.

La giustificazione morale di un’azione (utilitarismo personale) o l’assetto politico della società (utilitarismo sociale) dipendono esclusivamente dalla sua utilità, ossia dal valore delle conseguenze a essa connesse in termini di benessere per gli individui. In termini di prescrizioni, gli approdi dell’utilitarismo sono stati diversissimi e a volte contrapposti, anche se ha prevalentemente attratto i riformatori sociali, convinti che il benessere può essere perseguito attraverso tecniche di ingegneria sociale. Considerare gli uomini dei meri “strumenti” per i propri fini, anche se tali possono essere considerati onorevoli, è scendere allo stesso linguaggio ed impersonare i principi della dottrina neoliberista.

Nel suo “I sistemi e la democrazia. Pensieri”, Mazzini parlò della teoria utilitaristica come la maggiore responsabile del materialismo imperante nelle dottrine democratiche e socialiste: al materialismo e alla dottrina dell’utile, Mazzini contrappose un’idea di dovere e sacrificio.

Quale può essere, dunque, un principio educatore superiore, che non sia la semplice soddisfazione edonistica e l’utile individuale, o esclusivamente il “dovere” di mazziniana memoria? Quale evoluzione può permettere alla società contemporanea di non cadere nell’oblio dell’egoismo?