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Tra gli immigrati nel mondo 30 milioni diventano schiavi

di Antonio Maria Costa - 18/04/2016

Fonte: La Stampa


Dalle miniere in Congo ai vestiti cuciti dai bambini in Asia: gli oggetti della nostra vita quotidiana passano dalle loro mani


Milioni di sofferenti cercano rifugio in Europa fuggendo da guerre, persecuzioni, povertà. Tra essi ci sono rifugiati (siriani e afghani in cerca di asilo) e migranti (africani e asiatici in cerca di lavoro). Una terza coorte, più dolorante, è meno nota: gli schiavi. Abuso e sfruttamento per guadagno altrui non sono orrori del passato: secondo l’Onu al mondo ci sono oggi 19 milioni di rifugiati (politici), e 30 milioni di schiavi - uno su dieci dei 300 milioni di migranti (in cerca di lavoro), per un giro d’affari annuo di 150-200 miliardi di dollari.
In Europa e America prevale la schiavitù sessuale: l’Ue, che fornisce i dati migliori, ha identificato schiave provenienti da un centinaio di Paesi. In Africa e America Latina l’asservimento prevale nell’agricoltura (60%) e nei servizi domestici. In Asia il fenomeno è diffuso nelle manifatture (oltre il 50%) e nella pesca (25%).
Nei Paesi poveri il legame sesso/crimine è stretto. Lo sfruttamento delle donne avviene specialmente in località remote, dove gli uomini sfacchinano in miniere, foreste, piantagioni e allevamenti. La Cina è il maggiore Paese di origine delle vittime sfruttate da aziende (in Africa) che provvedono conforto femminile ai dipendenti.
Negli ultimi anni, conflitti (lungo le frontiere russe e nel mondo arabo) e crisi (globalizzazione, disoccupazione) hanno causato esodi diversi. Chi fugge da guerre e miseria (rifugiati e migranti) lo fa deliberatamente, assistito da intermediari. Gli schiavi invece sono trafficati contro volontà: al cuore della loro tragedia c’è lo sfruttamento, non la dislocazione. A differenza del passato, quando gli schiavisti erano stranieri (arabi, inglesi, belgi e olandesi), oggi gli aguzzini sono della stessa nazionalità delle vittime (70%). Altra novità è il ruolo crescente delle donne nello sfruttamento: non appena le circostanze lo permettono, le vittime diventano matrone, ansiose di recuperare quanto appropriato da altri.
Circonvenzione (in Europa e Usa), indebitamento (Asia), povertà (Africa), discriminazione (Africa, Asia) perpetuano un crimine che la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo avrebbe dovuto stroncare. Le tecniche di arruolamento variano. Agenzie di reclutamento fraudolente ingaggiano le vittime in Europa. Affaristi legati al Jakuza (Giappone) e al Tria (Cina) dominano in Asia. Parentela e affinità etnica asserviscono le vittime in Africa, dove riti vudù (in Nigeria e Costa d’Avorio) le soggiogano psicologicamente. A volte prevale la cupidigia individuale: quando un genitore vende, o affitta, un famigliare (tipico nei Balcani, in Romania, India e Africa occidentale). In Afghanistan le famiglie indebitate nel commercio dell’oppio, cedono un figlio (che poi finisce tra i talebani). A volte la dipendenza è generazionale: una persona è schiavizzata per servire il debito contratto da antenati (comune in Asia). Lo sfruttamento termina non per risoluzione contrattuale, ma per le condizioni della vittima: la prostituta invecchiata è merce di scarto; il bambino soldato diventa adulto e diserta; il lavoratore in servitù è fisicamente incapacitato; il domestico evade.
Oltre ai vincoli fisici e psicologici, gli schiavi sono incatenati soprattutto dall’onere di rimborsare l’investimento fatto in essi per acquisto e trasporto. Per anni gli schiavisti deducono capitale e interessi dai guadagni della vittima - com’è emerso dai roghi a Prato, Los Angeles e Dhaka (Bangladesh). La sottrazione del reddito (dello schiavo) si contraddistingue dall’onere imposto dagli scafisti: il trasporto di migranti attraverso il Mediterraneo, pur se criminale, coinvolge parti consenzienti e il rapporto termina all’arrivo. La schiavitù non finisce a destinazione.
Guerre e violenza creano altre opportunità di schiavitù. Bambini/ne soldato sono la manifestazione bellica della tratta di persone, assoggettate con ruolo di combattimento, logistica e conforto. La pratica è comune in Africa centrale, dove gli insorti di Kony (partiti dall’Uganda) schiavizzano adolescenti come combattenti e concubine. Il fenomeno è comune nei territori assoggettati da Isis (Siria, Iraq, Libia), Boko Haram e Aqm (in Africa occidentale). I belligeranti si avventano contro donne ed etnie (gli Yezidi) che trasformano in bottino di guerra: recentemente 5 mila schiavi nella sola città di Sinjar, nel Nord della Mesopotamia, sono stati aggiudicati sulla base del prezzo appeso al collo; 150 bambine (alcune di 8 anni) sono state trasferite dalla Siria in Iraq e poi nel Golfo, dove la pedofilia è diffusa. I piccoli, chiamati cuccioli del califfato, sono addestrati a missioni suicide.
In Thailandia, le adolescenti Rohingya fuggite da Myanmar (3 milioni negli ultimi anni) finiscono in bordelli, i giovani su pescherecci. Quando, giorni addietro, una fossa comune con 30 corpi è stata scoperta, i successivi arresti hanno causato altro dramma: migliaia di giovani sono state abbandonate lungo i fiumi e in mare.
Che fare? Dal 2010, oltre 50 mila vittime sono state identificate, a volte in grado di testimoniare in tribunale (un migliaio l’anno), risultando in condanne. Papa Francesco ha chiesto di porre fine alla schiavitù entro il 2020, con una campagna basata su «3 P» - prevenire, perseguire, punire. Noi cittadini possiamo aiutare: siamo il mercato. I nostri cellulari contengono coltan e cassirite, estratti da schiavi in Congo e trafficati in Belgio. Molti indumenti, scarpe e borse che indossiamo, sono manufatti in Asia da minorenni. Il cioccolato che regaliamo contiene cacao della Costa d’Avorio raccolto da bimbi a un dollaro al giorno. La stellina al naso magari proviene dalle miniere di diamanti canaglia in Sierra Leone. La cocaina sniffata in discoteca (222 ton l’anno in Europa) ha forse viaggiato nello stomaco di una «mula» che, dopo averla ingerita in Nigeria, l’ha defecata alla Malpensa. Quanto possediamo, indossiamo o mangiamo è verosimilmente contaminato da sangue, lacrime e sudore di schiavi. A noi la scelta.