La rete oligarchica che ha distrutto l’Ucraina
di Daniele Perra - 26/11/2025

Fonte: Strategic Culture
Quello di Timur Mindich è solo l’ultimo di una lunga lista di casi di corruzione che hanno messo in crisi la già traballante legittimazione popolare del regime di Kiev, a più riprese accusato di arricchirsi sulla pelle del suo popolo.
Già nel 2022, pochi mesi dopo l’inizio della cosiddetta “Operazione Militare Speciale”, il Washington Post (non esattamente un quotidiano passibile di essere accusato di russofilia) aveva portato a compimento un’inchiesta che aveva dimostrato come fondi e molte armi inviate dall’Occidente in Ucraina sparissero nel nulla, venendo destinate al mercato nero da non esattamente zelanti comandanti militari. Sempre nel 2022 (luglio), era circolata la notizia che il governo di Volodymyr Zelensky aveva revocato la cittadinanza ucraina all’oligarca Igor Kolomoyski (principale sostenitore dello stesso Presidente ucraino nella sua pregressa carriera televisiva e nella successiva scalata al potere politico, nonché socio in affari di molti membri del Partito Servitore del Popolo e finanziatore di alcuni gruppi paramilitari inseriti, in un secondo momento, all’interno della Guardia Nazionale).
Ufficialmente, secondo “Ukrainska Pravda” e “Kyiv Indipendent”, il provvedimento sarebbe dovuto al fatto che la legge ucraina non consente di possedere doppia cittadinanza (nel caso di Kolomoyski sono addirittura tre: ucraina, israeliana e cipriota). Se così fosse, è curioso notare come il socio di Kolomoyski in Privat Bank, Gennadiy Bogolyubov, noto anche per aver finanziato scavi sotto il quartiere musulmano e la moschea di al-Aqsa a Gerusalemme, non rientrava nel provvedimento, visto che si vantava di essere cittadino ucraino, britannico, israeliano e cipriota.
Erano compresi invece Igor Vasylkovsky e Gennadiy Korban: entrambi cittadini ucraini e israeliani, con il primo ex membro di Servitore del Popolo ed il secondo patrono della comunità ebraica di Dnipro e legato sempre a doppio filo con Kolomoyski.
A proposito di Kolomoyski, è bene ricordare che nel 2020 venne accusato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di corruzione e riciclaggio insieme al già citato Bogolyubov, Mordechai Korf e Uri Laber, Gli ultimi due, in particolar modo, utilizzavano il denaro riciclato per finanziare “fondazioni caritatevoli” ed istituti educativi ebraici tradizionali (yeshivas) a New York. Uri Laber, inoltre, risulta membro del consiglio di amministrazione della Jewish Educational Media: organizzazione “non profit” legata al movimento messianico Chabad Lubavitch del grande rabbino Menachem Schneerson (nato in Ucraina) di cui anche Korf risulta seguace (Donald J. Trump in occasione delle commemorazioni del “7 ottobre”, si recò in visita alla tomba del rabbino, venerato dal genero Jared Kushner e dalla figlia dello stesso Trump). I genitori di Korf vennero invitati da Schneerson a costruire una comunità Lubavitcher a Miami.
Come già anticipato, Kolomoyski (grazie all’opera di Pavlo Lazarenko) rientra nel novero di quegli oligarchi ucraini che controllano settori chiave dell’economia del Paese dell’Europa orientale. Questo, infatti, ha enormi interessi nella compagnia ucraina del gas Burisma (alla quale si collega anche il figlio di Joe Biden, Hunter, inserito nel consiglio di amministrazione con stipendio da 50.000 dollari al mese nel 2014). A ciò si aggiunga che sempre Kolomoyski utilizzò i gruppi paramilitari da lui finanziati per prendere il controllo di una raffineria petrolifera di proprietà russa a Dnipropetrovsk, sempre nel 2014.
Nel 2021 è stato vietato a Kolomoyski l’ingresso negli Stati Uniti direttamente dal Segretario di Stato Antony Blinken che, in riferimento al suo caso, parlò di manifesta e “significativa corruzione”. Il caso è quello della nazionalizzazione della già citata Privat Bank (la più grande banca commerciale e tra le prime banche private in Ucraina) sottoposta a controllo statale nel 2016 ma utilizzata, nei mesi immediatamente precedenti, per una colossale operazione di riciclaggio di denaro che portò alla sparizione di oltre 5,5 miliardi di dollari.
Ciò a cui si assiste oggi a Kiev, di fatto, è una lotta di potere (e sopravvivenza) all’interno della stessa Ucraina tra oligarchi ed il cosiddetto “cerchio magico” di Zelensky che deve parte notevole delle sue più recenti “fortune” al conflitto in corso. Questa affermazione, naturalmente, necessita di una spiegazione dettagliata. In primo luogo, non si può tralasciare la possibilità che vi sia una mano dei servizi occidentali per far cadere l’ormai impresentabile Zelensky ed evitare il tracollo del fronte e gli sforzi della NATO per mantenere delle posizioni almeno nella fascia settentrionale del Mar Nero.
Ad ogni modo, appare in primo luogo evidente come Zelensky stia facendo di tutto per garantirsi la sopravvivenza politica anche attraverso processi non propriamente democratici (già nel 2022 vennero messi al bando undici Partiti di opposizione tra i quali spiccava il movimento facente riferimento all’oligarca “filorusso” Viktor Medvedchuk dato, solo nel 2021, in vantaggio nei sondaggi rispetto a Servitore del Popolo). In questo contesto, allora, rientrava il maggiore favore riservato ad un altro oligarca ucraino rivale diretto di Kolomoyski e nelle grazie degli Stati Uniti. Si tratta di Viktor Pinchuk; colui che venne definito come “l’oligarca ebreo capace di costruire il ponte tra Kiev e l’Occidente”. Pinchuk, suocero del potente Leonid Kuchma e socio in affari di Rinat Akhmetov, ha fatto fortuna con l’EastOne Group (un’impresa di consulenza per preparare la penetrazione economica delle corporazioni multinazionali nell’Europa orientale) ed è a capo della più grande fondazione filantropica ucraina: la Viktor Pinchuk Foundation. Questa lavora a stretto contatto con un’altra organizzazione legata all’oligarca, la Yalta European Strategy creata per favorire l’integrazione del Paese nell’Unione Europea, e collabora attivamente con la Clinton Global Initiative, la Tony Blair Foundation, il Brookings Institution, la Renaissance Foundation di George Soros e l’Aspen Institute al quale si collega la Kyiv School of Economics (altra creatura di Pinchuk). Non di poco rilievo, inoltre, sono i legami dell’oligarca con il Forum Economico di Davos del quale è attivo partecipante ed all’interno del quale ha favorito gli interventi dello stesso Zelensky.
In secondo luogo, è bene riportare che le speranze popolari che avevano accompagnato l’elezione di Volodymyr Zelensky nel 2019, ad un anno di distanza si erano già ampiamente sgretolate. A fronte di sondaggi che lo davano in grosse difficoltà, l’ex attore comico operò un imponente rimpasto di governo che portò alla sostituzione di 11 ministri su 17 ed alla nomina a Primo Ministro di Denys Shmyhal (legato a quel Rinat Akhmetov che garantì proprio a Zelensky ampia visibilità in campagna elettorale grazie alle sue televisioni).
Il 22 settembre del 2021, il consigliere di Zelensky e cofondatore insieme all’attuale Presidente ucraino dello studio di produzione televisiva Kvartal-95 Serhiy Shefir subì un attentato dopo aver ricevuto l’incarico di lavorare sotto traccia per l’ammorbidimento delle posizioni degli oligarchi in modo da portarli ad abbandonare pratiche palesemente predatorie nei confronti dell’economia ucraina. In altri termini, l’obiettivo di Zelensky era quello di ridurre il loro esagerato potere politico-economico e convincerli a riportare in patria almeno parte dei capitali trasferiti nei paradisi fiscali: a Cipro (meta prediletta di Medvedchuk, Kolomoyski e della Timoshenko) così come in Svizzera, negli Stati Uniti, in Israele o nel Regno Unito.
Ovviamente, il progetto non considerava il fatto che anche Zelensky, da beniamino televisivo, si era rapidamente trasformato egli stesso in “oligarca” in lotta aperta con i suoi rivali diretti. Dopo che Akhmetov, Kolomoyski e Pinchuk vennero nominati dal Presidente come “osservatori speciali” per la gestione della pandemia di Covid 19, l’esplosione dello scandalo noto come “Pandora Papers” ha particolarmente inasprito tale lotta ed i suoi riflessi sul potere politico. Nello specifico, quella che è stata definita come la più grande inchiesta nella storia del giornalismo (con 90 Paesi coinvolti su un arco temporale di 25 anni, dal 1996 al 2020, ed oltre 600 giornalisti investigativi impiegati su due anni di lavoro e 2,9 terabyte di dati contenuti in migliaia di documenti, immagini e fogli di calcolo) dimostrò né più né meno che il “cerchio magico” di Zelensky era tra i più corrotti al mondo. In essi, infatti, si evidenzia come le fortune economiche di Zelensky siano iniziate grazie ad un trasferimento in denaro di 40 milioni di dollari da parte proprio di Igor Kolomoyski (titolare del canale televisivo che trasmetteva la serie “Servitore del popolo”), e si presentano prove concrete sulle creazione da parte di Zelensky e Shefir di un circuito di società off shore tra Cipro e Isole Vergini grazie alle quali l’ex attore nascondeva al fisco ucraino i cospicui proventi dello studio televisivo Kvartal-95.
Messo alle strette ben prima dell’intervento diretto russo nel conflitto civile in corso nella parte orientale del Paese, il Presidente ucraino non ha potuto far altro che ricorrere alla carta dell’attrito con Mosca per guadagnare nuovi consensi interni ed esterni.
Ancora, a parziale sostegno della tesi secondo la quale il provvedimento “restrittivo” sulla cittadinanza attuato da Zelensky sia una evidente forzatura (o meglio una scelta di campo), sarà utile ricordare che (oltre alla riconcessione della cittadinanza a Saakashvili) nel corso del 2019 l’attuale governo entrò in contrasto con il movimento azovita perché questo richiedeva con forza il conferimento della cittadinanza ucraina a tutti i combattenti stranieri inseriti all’interno del battaglione nel corso del conflitto in Donbass.
Lo stesso Zelensky, per mitigare le proteste, concesse la cittadinanza al russo Nikita Makeev membro dell’organizzazione “Centro Russo” legata ai militanti neonazisti (o neovlasoviani) russi in esilio. Questa, a sua volta, si collega ad un altro russo di fresca cittadinanza ucraina: Alexei Levkin, ospite fisso della “Casa dei Cosacchi” (il quartier generale di Azov a Kiev).
Il nuovo caso di corruzione, nelle dinamiche, non è differente dagli altri che si sono susseguiti nella storia dell’Ucraina indipendente (tangenti, arricchimento spropositato, coinvolgimento della politica con conseguente dimissioni di membri del governo). Nonostante i tentativi di Zelensky di smarcarsi, Timur Mindich, oggi fuggito in Israele, è stato a lungo suo socio all’interno della citata società di produzione Kvartal-95, ed è in ottimi rapporti anch’esso con Kolomoyski, con il quale condivide la “passione” per il riciclaggio di denaro nell’isola di Cipro, dove la penetrazione ucraino-israeliana è sempre più evidente e pervasiva (tanto da aver scatenato le ire del Partito AKEL, di orientamento comunista, della parte greca).
È altresì interessante il fatto che, inizialmente, i quotidiani ucraini abbiano cercato di far apparire Mindich come uomo vicino alla Russia (magari una spia), visto i suoi ruoli in una società russa di commercio di diamanti (fino al 2024) ed in una legata (ancora una volta) alla produzione televisiva e cinematografica.
Kolomoyski, a sua volta, ha lasciato intendere che si tratterebbe del “momento Maidan” per Zelensky. Qualcuno starebbe cercando di farlo fuori per dei motivi che devono essere ancora chiariti. E potrebbero essere legati o ad una idea di porre fine al conflitto prima che la situazione degeneri definitivamente (come si è già sostenuto in precedenza), facendo a meno della sua intransigenza a proseguirlo, oppure ad affidare il governo ai militari, costringendoli ad arruolare la fascia di età 18-25 (finora non toccata dall’arruolamento forzato). Questo darebbe un po’ di fiato ad un esercito in grosse difficoltà, allungherebbe ulteriormente la guerra (e non sono pochi i gruppi oligarchici ucraini ed occidentali interessati a questo esito, visti gli enormi introiti che gli vengono garantiti in sfregio e spregio delle sofferenze della popolazione), ma nel lungo periodo potrebbe determinare il definitivo tracollo di quello che è già a tutti gli effetti uno Stato semi-fallito.

