Volontà popolare, legalità e stato di eccezione
di Riccardo Paccosi - 21/09/2025
Fonte: Riccardo Paccosi
L’INSURREZIONE POPOLARE COME POSSIBILITÀ DI FERMARE LA GUERRA RUSSIA-EUROPA: QUALI IMPLICAZIONI POLITICHE E GIURIDICHE.
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Qualunque potrà alla fine rivelarsi il grado effettivo di escalation bellica, l’innesco della guerra fra Russia ed Europa porterà alla rottura definitiva della legalità costituzionale e alla messa a norma definitiva di quello stato d’eccezione - inaugurato cinque anni fa con l’emergenza pandemica - attraverso la Legge Marziale o analoga forma giuridica.
Mentre il popolo italiano continua a vivere avvolto nella bambagia della totale inconsapevolezza, vediamo le masse di altri paesi europei mobilitarsi se non contro lo stato di guerra, perlomeno contro alcune delle sue conseguenze sociali. Osserviamo però da una parte masse popolari francesi sventolanti la bandiera palestinese e, dall’altra, masse popolari inglesi sventolanti la bandiera nazionale. Questa differenziazione simbolica sembra sottintendere che i due vessilli e i due temi a cui essi riconducono – rispettivamente la contestazione della politica imperialista nel Mediterraneo e la difesa dell’identità nazionale messa a rischio dall’immigrazionismo – non possano convivere nella medesima piazza. E questo evidenzia come l’insorgenza sociale venga, per l’ennesima volta, sussunta entro quelle polarità “destra” e “sinistra” del sistema neoliberale, che deprivano il punto di vista popolare della sua autonomia.
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È sempre difficile prevedere gli sviluppi intrinseci ai movimenti di piazza ma è possibile ipotizzare, con scarso margine di errore, quale sarà il contesto normativo-istituzionale in cui essi si troveranno a operare: quello della perdita del diritto democratico d’opposizione, della repressione giudiziaria del dissenso politico e del suo disconoscimento attraverso la derubricazione a “terrorismo”.
Questo scenario indica che la resistenza popolare potrebbe, volente o nolente, dover prendere in considerazione uno sbocco di tipo insurrezionale. Dal momento, però, che un simile sbocco avrebbe delle chance solo in caso di auspicabile frattura all’interno delle Forze Armate, ecco che la concatenazione politico-giuridica possibile, si presenterebbe nel seguente modo: resistenza popolare > insurrezione popolare > guerra civile.
Ciò impone una riflessione sul rapporto intercorrente fra insurrezione e diritto: occorre conoscere tale rapporto ai fini della comunicazione interna, di quella internazionale e, infine, ai fini della difesa giudiziaria.
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Circa una quarantina di Costituzioni nel mondo – tra cui quella degli Stati Uniti – contemplano il diritto dei popoli alla resistenza contro il proprio stato, nei casi in cui sia maturata all’interno di quest’ultimo una situazione di tirannide.
Anche il diritto internazionale abbraccia tale possibilità: ad esempio, i protocolli aggiuntivi del 1977 alla Convenzione di Ginevra sui diritti umani del 1949, attribuiscono lo status di combattente legittimo e tutelato anche agli irregolari senza divisa e ai guerriglieri.
Malgrado il fatto che durante l’Assemblea Costituente del 1946 Moro e Dossetti avessero cercato d’inserire il diritto alla resistenza anche all’interno della Costituzione italiana, nella stesura finale di quest’ultima quel diritto non comparve. Ma nei commentari alla Costituzione scritti proprio dal principale oppositore a quell’idea – Costantino Mortati - troviamo degli spunti di grande interesse allorché Mortati ipotizza la legittimità di figure organizzative del popolo, del tutto informali, che assumano la difesa dei valori costituzionali e la loro reintegrazione “quando ciò si palesi necessario per l’insufficienza o la carenza degli organi ad essa preposti”.
Ebbene, dopo trent’anni di Unione Europea e di riforme neoliberiste per adeguare il sistema italiano alle esigenze del mercato finanziario globale, non soltanto risultano invalidati diversi e basilari Articoli della Carta, ma le stesse istituzioni elettive si trovano nell’impossibilità di decidere su bilancio e altre questioni fondamentali.
Dunque, si pone la necessità di difendere i valori costituzionali – o per meglio dire il costituzionalismo come principio dello stato in opposizione al neo-assolutismo affluente – nel momento in cui gli organi preposti a tale difesa si rivelano carenti o meglio collaborazionisti: basti pensare alle sentenze della Corte Costituzionale che, dal 1984 a oggi, hanno dapprima equiparato e poi attribuito primato ai Trattati Europei rispetto alla Costituzione repubblicana malgrado le numerose voci palesemente incompatibili fra i due ordinamenti.
Se al problema dell’Unione Europea aggiungiamo poi le ingerenze e le coercizioni da parte di ulteriori organismi sovranazionali e non elettivi quali NATO, OMS e World Economic Forum, non soltanto si pone uno scenario di tirannide ma anche di occupazione straniera e, in tal caso, va ricordato che la già citata Convenzione di Ginevra pone come legittimo addirittura il ricorso alla lotta armata.
Infine, non va dimenticato che il processo storico che porta alla nascita della Repubblica Italiana viene storicamente avviato da una proclamazione d’insurrezione generale promulgata via radio.
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Per concludere, qualunque percorso di opposizione alla guerra in Europa e ai governi guerrafondai implicherà rischi che varrà la pena assumere solo se s’imporrà nelle popolazioni la volontà di passare, ancora una volta, da massa resistente a soggettività d’un nuovo potere costituente.