Russofobia e altre censure: le guerre per imbavagliare
di Massimo Fini - 14/11/2025

Fonte: Massimo Fini
Pier Paolo Pasolini nei primi anni Settanta pubblicava sul Corriere della Sera i suoi anatemi antiborghesi. Pochi anni dopo Paolo Mieli, direttore del Corriere, mi propose una collaborazione, scrissi tre articoli ma poi si interpose Giulio Giustiniani, che doveva essere un caporedattore e quando proposi il quarto pezzo mi trattò freddamente: “Non sapevo che il Corriere avesse assunto un nuovo commentatore”. Perché nei giornali, come in tutte le grandi aziende, i problemi li pongono i quadri intermedi per difendere, come fan i cani, il loro territorio. Insomma i mediocri.
Con la direzione di Ferruccio de Bortoli, bravissima persona, cosa non frequente nel nostro mestiere, corsi anche il rischio di sostituire Montanelli nella “Stanza” che aveva sul Corriere. Le cose andarono così. De Bortoli, che cercava un sostituto, chiese un parere a Letizia Moizzi, la nipote di Indro. Disse anche che avevano in mente Biagi. “Se volete far rivoltare lo zio Indro nella tomba metteteci Biagi”. “Allora tu chi vedi bene per quel posto?” chiese Ferruccio. Letizia, che respirava l’aria di casa Montanelli, rispose:” Lo zio Indro aveva molta stima di Massimo Fini”. Ferruccio quasi svenne, gli si scompose il famoso ciuffo. Disse, tanto per trovare qualche scusa: “Ma Fini ha un mucchio di processi” (non era vero). Letizia: “Ma il Corriere non si ferma certo per queste cose”. Alle corde Ferruccio replicò: “Ma Fini è un anarchico”. Letizia: “Ma anche lo zio Indro, in fondo, era un anarchico”. Insomma, la cosa non si concluse, ma se ne poteva almeno parlare. Io oggi non potrei nemmeno metter piede in via Solferino, se non per raccogliermi davanti alla brutta statua di bronzo dedicata al mio fraterno amico Walter Tobagi.
Oggi la censura si concentra soprattutto sulle due grandi guerre in corso, quella russo ucraina e quella israelo-palestinese (per la verità ce ne sarebbe anche una terza, appena agli inizi, quella fra Usa e Venezuela, potenzialmente anche più esplosiva delle altre due, ma in questo caso la censura si esercita ignorandola).
Pesantissima è la censura che Zelensky e tutti gli Zelensky della terra, quindi anche l’Unione europea che lo appoggia, attua e ha attuato nei confronti dei russi, colpendo soprattutto gli artisti russi, i musicisti russi, i ballerini russi, ma anche chi osa affermare che Putin, accerchiato da Paesi Nato, non ha tutti i torti. Recentissimo è il caso del professor Angelo d’Orsi, storico di fama internazionale, cui è stato impedito di tenere a Torino, al Polo Novecento, una conferenza che aveva per titolo “Russofilia, Russofobia, Verità”. Il Fatto ne ha dato un ampio riscontro. La vicepresidente dem del Parlamento europeo, la carneade Pina Picierno, ha bollato la conferenza come “evento di propaganda putiniana”. Ma le censure di Zelensky e dei suoi accoliti sono cominciate all’inizio della guerra e forse anche prima (di qui la “russofobia” di cui voleva parlar il professor D’Orsi). Censura a Ildar Abdrazakov, cantante lirico russo, cui furono cancellati due concerti, uno al teatro San Carlo di Napoli, il successivo alla Fondazione Arena di Verona. Su richiesta dell’ambasciatore ucraino in Italia furono cancellate due esibizioni di piano al pianista russo Denis Matsuev. Altri anatemi hanno colpito ballerini russi, come Sergej Polunin. Ed è noto che il balletto russo ha una grande storia alle spalle, basta ricordare i Ballets Russes, attivi a Parigi dal 1909, che hanno rivoluzionato la danza.
Quando era potente, oggi lo è un po’ meno, non potendo più contare pienamente sull’appoggio di Trump, Zelensky voleva dettare anche il cartellone della Scala. Nel 2022 tentò di modificarlo perché la prima era dedicata al Boris Godunov di Musorgskij. Per fortuna, ma sarebbe meglio dire per dovere, intervenne il presidente della Repubblica, Mattarella, presenziando alla prima. E non è per nulla scontato che il presidente della Repubblica assista alla prima. Era un chiaro alt alle prepotenze dell’energumeno. Neanche Dostoevskij è sfuggito alla tromboneggiante censura di o pro Zelensky: la Bicocca annullò ucorso di Paolo Nori sul grande scrittore russo. Insomma, a detta di Zelensky&C., noi dovevamo leggere Dostoevskij o Tolstoj o Puskin di nascosto. Zelensky aveva perso la testa. Per quello che riguarda gli scrittori, a fronte della determinante produzione russa, l’Ucraina può schierare solo Nikolaj Gogol (Le anime morte), che però ha potuto esistere solo per il fatto che era profondamente inserito nella cultura russa. Senza Puskin, Dostoevskij, Tolstoj, non sarebbe esistito Gogol.
A proposito di censure scrive, sempre sul Fatto, D’Orsi: “… Ora mi aspetto che la ministra dell’Università venga al mio fianco e mi faccia tenere la conferenza come ha fatto con rulli di tamburi e squilli di trombe con Emanuele Fiano, al quale nessuno aveva vietato di tenere conferenze, ma era stato contestato dagli studenti, cosa ben diversa”.
Per una non censura a Emanuele Fiano, parlamentare ebreo del Pd, ci sono stati gran strombazzamenti. Un giornalista italiano, Gabriele Nunziati, è stato licenziato perché aveva osato porre questa questione alla portavoce della Commissione europea, Paula Pinho: “Avete ripetuto più volte che la Russia dovrebbe pagare per la ricostruzione dell’Ucraina. Crede che anche Israele dovrebbe ripagare per la ricostruzione di Gaza, dato che ha distrutto gran parte della Striscia e delle sue infrastrutture civili?”.

