Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / American dream: rifiuto del lavoro in Martin Eden di Jack London

American dream: rifiuto del lavoro in Martin Eden di Jack London

di Stefano Boninsegni - 01/10/2025

American dream: rifiuto del lavoro in Martin Eden di Jack London

Fonte: Italicum

L’ America pullula di confessioni religiose, ma L’American Dream è stata la religione civile di tutti gli americani, che tuttavia va declinando. Per Jack London gli esseri liberi preferiscono l’avventura senza cibo e senza casa alla alienazione della miseria e della fatica in lavori nei quali non si riconoscono.

Nel senso più generico American dream vuol dire ascesa sociale.  All’inizio del romanzo il cognato di Martin Eden, esprime l’opinione che le istituzioni americane sono così fatte che permettano a chi è disposto a lavorare duramente, come è successo a lui, di ascendere dalla mansione di fattorino a quella di proprietario di uno spaccio.

Anche Ruth, la ragazza borghese della quale Martin Eden è follemente innamorato, esalta le doti del signor Beutler, che da semplice fattorino, studiando con grandi sacrifici si è laureato in giurisprudenza e adesso lavora come contabile nello studio di suo padre, l’avvocato Morse.

Perché allora American dream e rifiuto del lavoro? Perché al marinaio Martin Eden diventare contabile o commerciante ripugna. Per sé sogna ben altro come vedremo. A conclusione della sua splendida introduzione Fernanda Pivano (Bur 1979) sottolinea come per London gli esseri liberi preferiscono l’avventura senza cibo e senza casa alla alienazione della miseria e della fatica in lavori nei quali non si riconoscono.

Ma esiste un’alternativa: scegliere un mestiere che ci realizzi in maniera totalizzante e che ci faccia vivere nell’agiatezza, una sorta di vocazione, e quindi una sorta di non lavoro: facendo degli esempi: quale cretino può pensare che Mozart o i Pink Floyd abbiano lavorato?

Decide quindi di diventare un grande scrittore. Ma gli esordi, come vedremo, sono sconcertanti. Il cognato, la sorella, Ruth, cercano di convincerlo che non venderà mai la sua merce e di cercarsi un lavoro.

Ma la fede di martin Eden in se stesso è così forte da renderlo incurante delle opinioni altrui.

La psicologia ci insegna che l’identità che ci attribuiamo dipende in parte da quel che pensiamo di noi stessi, ed in parte dallo sguardo altrui. Ma la coscienza di Martin Eden è impermeabile.

Il suo, usando la terminologia di Alain Laurent, è un individualismo assoluto, che va da Nietzsche (che pubblicò a sue spese La nascita della tragedia) ad Ayn Rand. Individualismo che non ha niente a che fare con l’individualismo borghese. Questo brano chiarisce perfettamente: “Andatasene Marianna, rifletté sull’accaduto e sbottò in una risata amara vedendo la sorella e il fidanzato e tutti i membri della sua stessa classe sociale e quelli della classe sociale di Ruth che regolavano su formule piccole strette la loro piccola e stretta esistenza; tutti appartenevano ad un gregge, si ammassavano insieme e modellavano la vita secondo le opinioni altrui”.

Ma andiamo per ordine.

Uno dei cavalli di battaglia della campagna di Donald Trump è stata la promessa di resuscitare l’American dream (si vede che era morto).

L’ America pullula di confessioni religiose (alcune deliranti), ma L’American Dream è stata la religione civile di tutti gli americani, che tuttavia va declinando.

Anche la controcultura attinge all’American dream (California dreaming, on the road, easy rider), ma ciò meriterebbe un lungo discorso a parte.

Per quanto riguarda la middle class valgano i due esempi che abbiamo riportati e fatti da London stesso.

Ma l’American dream per eccellenza è quello del self made man, ovvero individui che dal nulla costruiscono imperi economici e finanziari. Senza rinunciare, se è necessario, alla prepotenza e alla violenza (si veda il film C’era una volta il west). Il denaro non è un fine in sé, ma il segno di conquista e di potenza.

Nella sua geniale fantasia, Walt Disney raffigura l’originario self made man, nel personaggio di Paperon dei Paperoni, che pur navigando letteralmente nell’oro vive come un poveraccio.

E pur tuttavia, il senso più genuino, anche se idealizzato dell’American Dream (sulla scia di Martin Eden che resta il grande romanzo dell’American dream per eccellenza) viene colto dalla scrittrice, ebrea russa trasferitasi negli stati uniti dopo la rivoluzione bolscevica, Ayn Rand.

Nel suo romanzo La fonte meravigliosa il protagonista, Howard Roark, è un architetto che si rifiuta di progettare edifici che urtano la sua sensibilità estetica, che poi è una visione del mondo. Persegue la sua idea senza cedere a compromessi. Quando insorgono problemi di sopravvivenza lavora in miniera.

E sarà proprio in una capanna di un centro minerario che strapperà machilisticamente un orgasmo alla frigida Dominique.

Tutto ciò può esser visto, a nostro avviso, come una metafora dell’affermazione degli originari valori forti dell’individualismo americano su una società sempre più narcisista e effeminata.

Anche la verginea Ruth Morse si concederà a Martin Eden (un bacio che vuol dire fidanzamento) non perché incantata dalle liriche che le legge in luoghi idilliaci, ma perché attratta dal suo fisico ruvido e dal suo collo abbronzato, che rimandano ad avventure nei mari del sud, con tanto di frequentazioni in bordelli che odorano di gin.

Le analogie a nostro avviso sono forti.

In quel che segue, non intendiamo certo recensire il testo di London, quanto piuttosto riportare fatti e situazioni tese ad avvalorare le nostre tesi.

Il libro inizia con Martin Eden che salva lo studente Arthur da una banda di bulli che lo vogliono picchiare.

Arthur per cortesia e simpatia lo invita a casa, dove Martin Eden rimane abbagliato da tanta raffinatezza. Il suo sguardo si posa sui libri e sui quadri. Poi Arthur gli presenta la sorella Ruth di cui si innamora immediatamente. Ma quel che conta ai fini delle nostre argomentazioni, è la scoperta del marinaio Martin Eden, che esiste una razza di gente che vive senza lavorare. Decide di far parte di questa razza di gente diventando un grande scrittore.

In sintesi: si rifugia in biblioteca con la faraonica intenzione di apprendere tutto lo scibile umano, dalla letteratura, alla biologia alla matematica. Legge Darwin, Spencer, Marx, Nietzsche, creandosi un’ideologia eclettica che avrà una parte non indifferente nel suo suicidio.

Ma gli scritti che invia alle varie riviste vengono rispediti al mittente, finché una sua novella viene pubblicata su un’importante rivista letteraria, ma, come gli viene cortesemente comunicato, la pubblicazione non prevede una ricompensa monetaria. Ma per Martin Eden il riconoscimento intellettuale senza denaro non serve, perché ha deciso di vivere con quel che scrive.

Scosso moralmente e psicologicamente, va a lavorare in una lavanderia, che è una metafora della catena di montaggio fordista. Il lavoro è così stressante, che insieme al suo compagno Joe che anela a fare il vagabondo per oziare, sente il bisogno di andare a sbronzarsi il sabato sera ad Okland, scoprendo che l’alcool è effetto e non causa dell’alienazione. Progetta di scrivere un saggio sulla diffusione dell’alcolismo nella classe operaia. Per inciso ricordiamo che gli anarchici nel secolo scorso combatterono dure battaglie, raccogliendo il plauso di Sorel.

Lasciata la lavanderia, per sopravvivere, scrive novelle satiriche per pochi dollari. Nel tempo libero continua a frequentare Ruth, fino, come abbiamo anticipato, a fidanzarsi.

Naturalmente la famiglia di Ruth non lo approva, anche se la madre si compiace che la figlia ventitreenne finalmente si sia accorta di essere donna. Ma è proprio la madre che adotta la seguente strategia: organizza frequentemente incontri, alla presenza di Martin Eden, fra giovani e brillanti universitari e intellettuali, affinché la figlia si renda conto dell’inferiorità di Martin Eden. Il quale, accusato di socialismo dal padre di Ruth, risponde per le rime, avanzando le teorie di Spencer, di essere il più individualista di tutti.
Ma è proprio in uno di questi ricevimenti, che stringe un’amicizia fatale con un intellettuale socialista, Bressenden la cui vita è segnata dall’abuso di alcool e oppiacei (come quella di London nella realtà) che lo porta con sé nel quartiere operaio di San Francisco, nel quale Martin Eden incontra operai socialisti e anarchici acculturati. Bressenden convince Martin Eden ad andare ad un comizio e prendere la parola. Salito sul palco, prende la parola. Martin Eden parla e afferma che il socialismo è la religione degli schiavi (idea naturalmente di Nietzsche).

Ma la sorte vuole che fra la gente che assiste al comizio, vi sia un giornalista con macchina fotografica.

Il giorno dopo sul giornale appare la foto di Martin Eden bollato come oratore socialista.

Cade quindi nella disapprovazione generale, Ruth rompe il fidanzamento, e nel frattempo Bressenden si suicida.

Ma proprio sull’orlo dell’abisso il vento cambia. Gli scritti che aveva inviato a riviste e case editrici iniziano ad avere un clamoroso successo. Piovono dollari e proposte di contratti, ed in breve tempo, come nei sogni o nelle favole, diventa ricco e famoso. Ruth vuole riprendere il fidanzamento, ma lui, cortesemente la respinge.

Tutti, compresi i senatori, lo invitano a pranzo e a cena. Lui accetta, ma con un fondo di rancore e di disprezzo. Perché non lo invitavano quando pativa la fame?

Ma in questo caso London cade vittima, se così si può dire, di una falsa coscienza: non sognava Martin Eden di diventare ricco e famoso scrivendo? Probabilmente, con questo, London vuole denunciare una società fondata sui soldi e governata da oligarchie, ma il discorso non fila.

Il finale è la storia di una depressione (che ha fatto la gioia di plotoni di psichiatri). Il sonno, che rappresentava tempo sottratto alla vita, ovvero studio, scrittura e frequentazioni di Ruth, gli appare adesso come l’unica fonte di ristoro. Il contatto con individui che hanno una forza vitale superiore alla sua gli fa orrore.

Decide quindi di partire per i mari del Sud per tornare alle origini, ma fare i preparativi per il viaggio gli sembra impossibile. Riesce tuttavia ad imbarcarsi, ma inutilmente. Apre l’oblò della sua cabina e si getta in mare. Nella realtà London si suicidò con una overdose di morfina.

P.S. Appena pubblicato Martin Eden ebbe un clamoroso successo, vendendo milioni di copie e tradotto in molte lingue. Tuttavia la critica letteraria non fu benevola, accusando London di individualismo esasperato di esaltazione del Super uomo. London, ferito da queste critiche ribatteva che il suo romanzo era una denuncia del successo individuale senza un’ideologia di riferimento. Quest’ultima, per London, era il socialismo. Perché London fu socialista, arrivando perfino a presentarsi alle elezioni. Ma ruppe con il partito per dissidenze ideologiche circa le posizioni prese da quest’ultimo in merito all’intervento degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale.

Tuttavia, nota Fernanda Pivano “anche il suo socialismo forse non va al di là di un intenso populismo: forse della lotta di classe lo ha colpito soprattutto l’aspetto poetico della rivolta dei deboli contro i forti dove i termini sono quelli del trionfo dell’energia vitale e della forza di volontà”.

Ma ciò non sminuisce il profondo significato di Martin Eden, che è un grido di dolore contro la costrizione al lavoro e alla sua ideologia, dalle quali solo un sogno realizzato può riscattarci. Naturalmente questa visione della vita presta il fianco ad obiezioni, ma nessuna può sfatare la fascinazione che il capolavoro di London emana.