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Eternità e logica

di Lorenzo Merlo - 22/10/2025

Eternità e logica

Fonte: Lorenzo Merlo

La creazione non esiste. Il pensiero e il linguaggio logico-razionale ne impongono una risposta coatta.
L’esigenza della creazione non è della vita ma dell’uomo e, in particolare, del meccanicismo logico, ovvero della sua intrinseca arroganza di credere di poter dare risposta esaustiva a tutto, anche alle questioni che esulano dalla sua capacità d’ordine e manovra, quelle oltre le tre dimensioni entro le quali crediamo sia esaurita la realtà. 
Ogni interrogativo formulato in termini meccanicistici, ovvero sullo sfondo del tempo lineare, del principio di causa-effetto, dell’irrinunciabilità dei principi della logica aristotelica, dell’indipendenza dell’io e dell’identificazione in esso, può trovare risposta soddisfacente solo in un campo chiuso o bidimensionale. Un contesto, cioè, con dinamiche che muovono e si muovono tra pochi elementi riconosciuti e condivisi da chi ne fa parte.
Se posto in campo aperto o volumetrico, ovvero relativo a quei contesti umanistici in cui linguaggio, semantica, emozioni e interpretazioni hanno il sapore dell’infinito e dell’incomprimibile, esso non trova risposta univoca e permanente, se non deformando il volume stesso in funzione dell’esigenza e della natura dell’osservatore.
Gli interrogativi e loro risposte convivono da sempre con l’umana coscienza di sé. Esse vengono elaborate localmente e, in quanto tali, considerate valide referenti per la regolazione della vita morale, individuale, sociale. L’esigenza di risposte univoche e definitive non è un’esigenza umana, ma di un uomo soggiogato dalla logica quale solo criterio da rispettare per procedere verso la conoscenza, perfino quale diritto di sopraffazione nei confronti del prossimo apocrifo e di quello eretico. 
L’entità o atto creazione è un’idea, come lo è quella necessaria per realizzare un nuovo tavolo, un nuovo testo, una nuova strategia calcistica. Una volta sopraggiunta l’idea e la visione che offre su come realizzare quanto di nostro interesse, questo dispone del necessario per divenire realizzabile e realizzato, per mutare da sottile e metafisico in fisica realtà.
Altrettanto accade nei confronti della cosiddetta creazione universale, la quale, giocoforza, si realizza rispettosa e confacente a chi ne ha avuto l’idea.
Quando, come nel caso del pensiero razionale, si accredita l’esistenza di un ordine della natura regolato da leggi meccaniche, si estingue nel caso quanto non è in grado di argomentare altrimenti. L’origine della vita è considerata dalla scienza un caso fortuito di combinazioni tra elementi chimici. Il caso è corpo integrante della cultura fondata sulla logica, ed è strumento buono per risolvere nodi logico-razionalmente inspiegabili. 
Per non lasciare la diade caso/necessità amputata, i sincronismi junghiani, per esempio, si realizzano su uno sfondo simbolico, non razionale. Sfondo simbolico significa che le forme e le differenze non hanno più il credito che hanno in questa cultura. Simbolico significa che si intellege il potere energetico-emotivo di una certa forma-situazione che, quindi, può essere identico ad un'altra di forma differente. 
Per lo scientista la risposta all’interrogativo sulla creazione sarà tanto ineludibilmente compressa entro i canoni della logica, quanto inefficacemente lo sarà per gli eretici della conoscenza limitata al metodo scientifico, inefficacemente poiché non costituirà valore.
Nonostante i suoi paradossi, l’incantesimo della logica quale sola regina del sapere, non cessa di fare adepti e coltivare disciplinati discepoli.
Paradossi che, con vanto di coerenza, ritiene di esorcizzare e sui quali ritiene di poter soprassedere o neutralizzare con dimostrazioni nuovamente estratte dal suo stesso cilindro imbambolatorio.
L’interrogativo sulla creazione universale, e il maldestro tentativo di svelarne il mistero, diviene però eludibile riconoscendo che esso appartiene ed è frutto di un pensiero costretto entro la logica stessa. 
Ricordando che la dimensione della logica, del razionale e del linguaggio è creazione sociale, quindi umana, si può sospettare del loro presunto potere universale e della loro pretesa di porsi come esclusiva via verso la conoscenza. Si può iniziare a criticare la scienza quale sola via alla conoscenza.
Contemplazione, meditazione, ascolto, percezione energetica, osservazione simbolica intesi come sospensione del pensiero, insieme al conseguente pensiero magico impediscono l’insorgenza della domanda e la creazione del quesito fondamentale logico-razionalmente risolvibile. Noi siamo il mistero e, in quanto tali, non possiamo osservarci dall’esterno perché noi siamo tutto ciò che riteniamo la realtà sia.
A corredo di quanto appena scritto, per riconoscere ciò che genera le domande monche di risposta, bisogna menzionare l’io, in particolare la mancata consapevolezza della sua natura, dell’artefatta struttura che ci avviluppa, delle imposizioni di ruolo che ci impone, tra cui lo sconsiderato impiego del giudizio, un fendente onnipresente che ci separa dall’osservato, che ci fa credere d’essere altro da esso, che investe la realtà di ciò che crediamo. Acquisite tali consapevolezze ne consegue una dimensione di realtà altra in cui, per esempio, ci si avvede che ogni giudizio con cui ci si identifica comporta un’offesa, una prevaricazione, una inconsapevole interpretazione che viene vissuta come realtà vera e, soprattutto, come occultamento del sé. 
Un satanico ingarbuglio sciolto il quale – e non certo per mezzo di strumenti scientifici classici – si può osservare l’unità di tutte le cose e intellegere la bontà del messaggio di tutte le tradizioni sapienziali a storia d’uomo. Nessuna delle quali ha mai dedicato neppure un altarino al pensiero logico. Non perché precedenti ad Aristotele – che ha semplicemente definito l’identità della logica – ma perché hanno constatato quanto affidarsi agli svolazzi mentali porti lontano dalla conoscenza e dall’essere. 
È la presunzione omniesaustiva che attribuiamo alla logica che crea il mistero. È il suo accanimento a svelarlo che lo alimenta.

Per trovare risposta all’interrogativo sulla creazione, non c’è da porsi di fronte alla domanda come fossimo di fronte a un rebus – sopraffina creatura logica – ma c’è da eluderla smantellando il fantoccio della conoscenza figlio del pensiero logico-razionale. 
Liberi dalla condizione di superiorità e separazione nei confronti dell’osservato, possiamo avviarci a ritornare ad essere natura anche a mezzo dell’assenza di devozione scientista, di pensiero logico-razionale, di conoscenza fondata sull’accumulo di sapere, di un sapere in forma di dati.
Secondo tale eretica prospettiva, la creazione non c’è mai stata. Essa corrisponde all’eternità e all’infinito, due dimensioni inaccessibili nel segno delle somme e delle sottrazioni imparate a scuola. Essa è un mito che la razionalità non solo non può svelare, ma alimenta ad ogni sua sollecitazione. Un mito razionalistico a immagine e somiglianza di quello della macchina a suo tempo creato in nome di un’ideologia dalla quale sarebbe grondato benessere per tutti. 
Dal nostro mondo e dalla nostra realtà – dai quali emerge la filosofia, l’economia e la politica, quindi la storia – concepiti come indiscutibili, intravedere l’idea di essere protagonisti di un sogno non è un passo fuori portata. Del resto, certe notti non si vive pienamente una realtà, spesso anche libera dai lacci aristotelici? Non succede qualcosa del genere con l’ayahuasca, i cui sperimentatori riferiscono di aver visto quanto le concezioni ordinarie, impantanante nella palude logico-razionale, impediscono di vedere? Non accade anche a mezzo della consapevolezza di constatare una realtà altra, seppur formalmente identica alla precedente, di osservare le forze che corrono nelle relazioni, in noi stessi, nel prossimo? Di constatare il destino come una catena di scelte?