Professor Canfora, a Cernobbio il presidente della Repubblica è tornato a chiedere un salto di qualità nel processo di integrazione europea. Secondo Sergio Mattarella l’Europa è un’area di pace. È d’accordo?
Io ho ascoltato con attenzione le sue parole, e la frase che lui ha pronunciato è leggermente diversa da come è stata riportata. Mattarella non ha detto che “l’Europa” non ha mai scatenato guerre, ha parlato dell’Unione europea. Ed è un’altra cosa: l’Ue, come tale, non è un soggetto che possa scatenare guerre, se non quelle economiche attraverso le sanzioni, perché non dispone di un comando militare unico. Quindi, formalmente, non può dichiarare guerra.
Ma i Paesi europei, individualmente, sono stati protagonisti di diversi conflitti.
Certo. Qui sta l’ambiguità nelle parole del Capo dello Stato. Paesi membri dell’Unione, in quanto parte della Nato, hanno promosso e partecipato a guerre vere e proprie: nel 1999 contro la Jugoslavia, nel 2003 contro l’Iraq, nel 2011-2012 contro la Libia. La famosa battuta di Kissinger – “datemi il numero di telefono dell’Europa” – resta valida: l’Europa come Stato non esiste, non ha una personalità giuridica che le consenta di dichiarare guerra. Ma i singoli Stati sì, e lo hanno fatto.
Anche oggi è difficile sostenere che l’Europa e i suoi stati membri siano una forza pacifica, non trova?
È vero. Ci stiamo proponendo di entrare direttamente nel conflitto ucraino, trainati da un Paese che nemmeno fa parte dell’Unione, cioè l’Inghilterra, alla guida dei cosiddetti “volenterosi”, una trentina di Paesi compresi Australia e Nuova Zelanda. Dunque la frase di Mattarella, di per sé, non significa molto: è ovvio che l’Unione Europea non ha mai dichiarato guerre. Ma i Paesi europei che ne fanno parte, invece, sì.
Nel suo discorso Mattarella ha evocato anche i grandi poteri economici globali, le corporation. Le ha definite “nuove Compagnie delle Indie”. Eppure l’Europa promossa dal presidente della Repubblica, è la stessa responsabile della deregulation e della supremazia del mercato sulla politica.
Qui mi pare ci sia una certa forzatura. La Compagnia delle Indie è un’altra cosa: nasce nel XVI secolo, è parte integrante dell’espansione britannica, anzi la sua perla. Piuttosto, trovo significativo un altro punto del discorso: l’idea che il pericolo di guerra venga dalle cosiddette “autocrazie”.
Non è d’accordo?
No. Abbiamo ascoltato Xi Jinping che dice l’esatto contrario. Ho letto un’intervista di D’Alema, di ritorno da Pechino, che ha sottolineato come la Cina sia oggi un fattore di equilibrio, non di guerra. È una grande potenza economica, militare, demografica, e rappresenta un punto di riferimento per altri giganti come l’India. In questo senso, contrapporre una presunta superiorità morale dell’Europa alle autocrazie è un’operazione retorica. Ma non certo una novità.
Non è il primo richiamo retorico alla presunta superiorità dei “valori occidentali”.
Esatto. Da anni la propaganda si regge su questo concetto, che però è molto discutibile e oggi è in crisi profonda.
Quali sono le ragioni di questa crisi?
Gli organi dediti alla propaganda, cioè i giornali, le radio, le televisioni, hanno il problema insolubile di come valutare l’ormai ex alleato americano. Da punto di riferimento, sono diventati un attore spesso in contrasto con l’Europa.
Se gli Stati Uniti non sono più un alleato, significa che non esistono valori comuni.
Io sono sempre stato restio a usare la formula “valori occidentali”. A meno che non si voglia sostenere che gli Stati Uniti appartengano all’Oriente, come credeva Colombo quando voleva andare in India e si trovò in America, oggi mi pare bizzarro parlare di valori occidentali comuni. Il termine è entrato in crisi con la frattura, temo insanabile, tra Europa e Stati Uniti. E con quest’Europa in coma.
Perché in coma?
Perché ha abbandonato l’idea di trasformarsi in uno Stato federale. Sul piano militare si fa guidare dall’Inghilterra, che non ne fa parte. Sul piano economico è divisa su come rapportarsi ai presunti nemici. È un’incompiuta, e il suo destino sarà deciso da altri.
“La Cina è un fattore di equilibrio, il pericolo è altrove”
(a cura di Tommaso Rodano)