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Chi ha torto e chi ha ragione in Siria

di Gordon M. Hahn - 21/09/2017

Chi ha torto e chi ha ragione in Siria

Fonte: Aurora sito

Come notai due anni fa, subito dopo l’intervento militare russo in Siria, il Presidente Vladimir Putin aveva diversi motivi per intervenire: 1) preservare sia il principio dell’ONU che la sovranità dello Stato sull’interventismo occidentale e il ruolo della Russia in Medio Oriente assicurandone globalmente il peso sull’esito delle guerra e crisi in Siria; 2) indebolire il movimento globale jihadista che comprende Stato islamico (SIIL), al-Qaida (AQ) e molti altri gruppi, al fine di ridurre la probabilità del terrorismo islamista del Vilaijat Kavkaz Islamskogo Gosudarstvo (Provincia del Caucaso dello Stato islamico) affiliato allo SIIL, o dell’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) di al-Qaida; e 3) creare un equilibrio tra regimi sunniti filo-occidentali e islamisti, da un lato, e lo sciismo dall’altro, in Medio Oriente. Quando i militari russi giunsero in Siria, governo, media, think tank e circoli accademici degli Stati Uniti sostennero che la Russia non attaccava e non avrebbe attaccato i jihadisti dello SIIL. Poi corsero in avanti prevedendo che l’intervento di Mosca fosse “condannato” al fallimento e a divenire l’incubo di Putin. L’obiettivo di tale disinformazione strategica era dipingere Mosca contraria a combattere lo SIIL, ma solo i gruppi jihadisti col sostegno nascosto di Washington e legati ad al-Qaida e Fratellanza musulmana. Alcune fonti governative statunitensi sostennero persino che Mosca sostenesse lo SIIL agevolando l’esodo degli islamisti dalla Russia alla Siria. Notai al momento dell’intervento di Putin che tali analisi erano fuorvianti e totalmente imprecise. La Russia attaccava lo SIIL così come i numerosi gruppi jihadisti legati ad al-Qaida, come Ahrar al-Sham (AS) e Jabhat al-Nusra (JN). Le false analisi dei circoli di Washington tendevano deliberatamente ad oscurare i fatti, poiché i loro alleati nell’amministrazione di Barack Obama e tra i neo-con, appoggiavano tali gruppi sostenendo di liberare la regione dalla dittatura baathista, alleato di Teheran e minaccia per Israele. Indipendentemente dal fatto che l’obiettivo principale di Mosca fosse mantenere al potere il regime di Assad o distruggere lo SIIL e gli altri jihadisti, dato che vanno di pari passo. Non si può cercare uno senza l’altro. Lasciare lo SIIL sul campo di battaglia in Siria significava abbandonare il regime di Assad, che i suddetti circoli dicevano che la Russia proteggesse dal costante pericolo.

La presunta non-guerra contro lo SIIL della Russia
La scorsa settimana il Ministro della Difesa russo annunciava che lo SIIL è sull’orlo della sconfitta strategica inevitabile in Siria, obiettivo che a Mosca non interessava e non perseguiva, secondo Washington. I media occidentali e altre fonti anti-russe riecheggiano le affermazioni di Mosca sulla vittoria imminente delle forze siriane, russe e iraniane sullo SIIL e il jihadismo in Siria. La chiara imminente vittoria è il risultato di due anni di operazioni militari congiunte russo-siriane, combinando potere aereo e missilistico russo con le forze terrestri siriane. Inoltre, affrontava la forte resistenza dell’occidente e in particolare di certi suoi alleati nel Medio Oriente e Golfo Persico, in particolare Turchia e Qatar, che hanno sostenuto gruppi jihadisti come AS e JN, i cui membri hanno spesso finito per combattere al fianco dello SIIL. Questo è particolarmente vero per migliaia dei noti jihadisti del Caucaso del Nord che si sono recati a combattere in Siria e Iraq. Il presidente Barack Obama e la segretaria di Stato Hillary Clinton sostennero il jihadismo e l’ascesa dello SIIL in Siria e Iraq, cosa quasi universalmente riconosciuta, quando andarono contro l’intelligence degli Stati Uniti che avvertiva che fornire armi alla Fratellanza musulmana e altri gruppi islamisti avrebbe, in ultima analisi, rafforzato il jihadismo nell’opposizione siriana e irachena e rischiato di volgersi contro nelle regioni di confine siriano-irachene. L’intelligence aveva ragione, Obama torto. Il vuoto di potere e l’instabilità lasciati dal fallimento di Obama e i pericoli fin troppo chiari per gli interessi russi in Siria e Caucaso e la sicurezza nazionale spinsero Putin ad intervenire in Siria con le forze aerospaziali. Lo SIIL indirettamente e al-Qaida direttamente, ricevevano aiuti statunitensi, turchi e sauditi. Prima AS e JN e poi SIIL attirarono numerosi jihadisti stranieri in Siria, in collaborazione con il gruppo terroristico jihadista dell’Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) o IK, minando l’esigua opposizione non islamista che dominava alcuni consigli locali e parte della società civile esistente ad Aleppo, Idlib, Homs, Raqqa e Dayr al-Zur. Sotto il suo primo capo, Hasan Abud, AS ebbe un ruolo significativo nell’avanzata dello SIIL in Siria nel 2013, collaborando e rimanendo in disparte quando schiacciò altri gruppi, come Ahfad al-Rasul a Raqqa. All’epoca, la mobilitazione contro lo SIIL gli avrebbe impedito di occupare la maggior parte del territorio siriano orientale. In risposta all’avanzata dello SIIL, JN e AS istituirono nel 2015 l’alleanza Jaysh al-Fatah (JF) tra gruppi jihadisti e islamisti che respinse le forze siriane dalle principali città della provincia di Idlib, quella primavera. I progressi di JF ad Idlib innescarono l’intervento russo nel settembre 2015.
Nel 2016, AS rifiutava di fondersi con JN a causa dell’esplicita sua affiliazione con al-Qaida e successivamente con JF perché “la leadership del gruppo (AS) temeva che avrebbe danneggiato i rapporti con la Turchia, suo principale sostenitore estero” e membro della NATO. Ciò facilitò l’ascesa di un altro gruppo jihadista, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), nuova forza jihadista ad Aleppo prima della liberazione siriano-russa. Ora Washington DC riconosce gli sforzi della Russia contro lo SIIL, ma senza menzionarla. Quindi un recente articolo su Foreign Affairs rilevava: “Per ora il regime e i suoi alleati continuano a concentrare la maggior parte della loro potenza di fuoco sullo SIIL ad est”. Un recente studio sull’industria della Difesa statunitense di IHS Markit e Jane’s Intelligence è stato costretto a riconoscere il ruolo russo nella sconfitta dello SIIL, e indirettamente ancora una volta a riconoscere il ruolo chiave svolto dalle forze del regime di Assad contro lo SIIL. “È una realtà sconveniente che qualsiasi azione statunitense adottata per indebolire il governo siriano avvantaggerà inavvertitamente Stato islamico e altri gruppi jihadisti”, dichiarava Columb Strack, analista sul Medio Oriente di IHS Markit. “Il governo siriano è essenzialmente l’incudine al martello della coalizione guidata dagli Stati Uniti. Mentre le forze sostenute dagli Stati Uniti circondano Raqqa, lo Stato islamico è impegnato in intensi combattimenti con il governo siriano attorno Tadmur e in altre parti delle province di Homs e Dayr al-Zur“. Secondo lo studio, tra il 1° aprile 2016 e il 31 marzo 2017, il 43 per cento di tutti i combattimenti dello SIIL in Siria era rivolto contro le forze di Assad, il 17 per cento contro le forze democratiche siriane (SDF), e il 40 per cento contro i gruppi rivali rivali sunniti, in particolare la Coalizione “Scudo dell’Eufrate” della Turchia. “Qualsiasi ulteriore riduzione della capacità delle forze già sovraccariche della Siria ne ridurrebbe la capacità d’impedire allo Stato islamico di avanzare dal deserto nella zona più popolosa della Siria occidentale, minacciando città come Homs e Damasco“, concludeva l’analisi.

L’intervento di Putin: pantano o vittoria diplomatica e militare
In poche parole, Putin ha vinto perché Obama si sbagliava. Washington sottovalutò la minaccia del jihadismo in Siria come fece altrove; Mosca vide abbastanza bene e non sottovalutò la minaccia. La prospettiva mondiale liberal-sinistra di Obama richiese che la posizione “conservatrice” di Putin si opponesse in spirito e di fatto. Di conseguenza, Obama e altri funzionari dell’amministrazione definirono l’intervento di Putin in Siria aggressione, imperialismo, errore ed inevitabile fallimento. Allo stesso tempo, speravano di continuare l’invio di armi ai vari gruppi jihadisti. Tuttavia, l’intervento di Putin, i fallimenti in Egitto e Libia, la debacle di Bengasi e i disaccordi tra l’amministrazione e l’intelligence svelarono la futilità della strategia islamista di Obama. Fin dall’inizio della narrazione neolib-necon di Obama che, alla radice dell’insurrezione anti-Assad vi fosse semplicemente l’espressione pacifica delle profonde aspirazioni democratiche dei siriani, si dimostrò falsa, proprio come nei cambi di regime occidentali in Iraq, Egitto, Libia e Ucraina. Ad esempio, un filmato di una delle prime proteste anti-regime a Banyas, vicino Tartus, il 18 marzo 2011, mostra ad esempio un imam avanzare le pretese delle protesta, tra applausi selvaggi e slogan religiosi, che invocavano segregazione di genere nelle scuole e che le insegnanti indossassero il niqab, vietato dal regime secolare baathista. Nel villaggio di Hula, l’opposizione fece richieste simili, nel 2011, lamentandosi del divieto del regime dei libri dell’insegnante islamico medievale e fonte principale del salafismo e del jihadismo Ibn Taimiya. In sintesi, il movimento rivoluzionario siriano, come quasi tutti tali movimenti, era un conglomerato di tendenze ideologicamente antitetiche e politicamente concorrenti, con islamsti e jihadisti, in particolare la leadership della Fratellanza musulmana emigrata in Turchia, dalla buona probabilità di uscire vincente su qualsiasi altro. Sullo sfondo di un mondo musulmano preda delle turbolenze islamiste e jihadiste, le probabilità diminuirono a favore dei più radicali.
Peggio della narrazione fu la politica. Tali gruppi concorrenti, anziché unirsi in un efficace fronte unito, ricevettero quantità enormi di armi e altro sostegno dal mondo occidentale e arabo. Così, il sostegno estero aiutò semplicemente il movimento di opposizione siriano, originariamente pacifico, a divenire rapidamente violento, come avvenuto in Libia e Ucraina nel 2013-2014, ma con poca speranza di assicurarsi la vittoria senza l’afflusso dei jihadisti stranieri. I diplomatici inglesi riferirono che già nella primavera 2011 ci furono scontri armati tra opposizione armata e forze di sicurezza siriane; questo molto prima che la storia sullo scontro regime- manifestanti pacifici venisse messa in discussione. Gli inglesi riferirono di una “battaglia feroce” nella primavera del 2011, al confine libanese nord-orientale con la Siria, tra opposizione siriana ed esercito e polizia siriani che suppostamente avrebbero usato armi contro dei dimostranti disarmati. Allo stesso tempo, una troupe di al-Jazeera mostrò dei filmati agli inglesi, che non avrebbero mai trasmesso, sul confine nord-orientale del Libano, che mostravano chiaramente uomini armati sparare alle truppe siriane. Il traffico di armi di Stati Uniti e altro dalla Libia e altrove alla in Siria, incrementò l’ondata di terroristi siriani e stranieri ben armati ed equipaggiati.
L’intervento di Putin cambiò l’andazzo, svelò l’incapacità dell’occidente di affrontare al-Qaida e SIIL in Siria e in Iraq sotto la guida impacciata di Obama e la strategia occulta incentrata su Fratellanza musulmana e altre forze “moderate” armate di nascosto. Smascherò la cooperazione saudita e turca con IS, JN, AS e altri gruppi jihadisti, tra cui il noto traffico di petrolio con lo SIIL in Turchia. Ancora più importante, forse, il rafforzamento dell’Esercito arabo siriano che sempre con il forte supporto aerospaziale russo scacciava SIIL e altri gruppi jihadisti da Aleppo, Homs, Dayr al-Zur e presto dall’ultima roccaforte dei jihadisti nella provincia di Idlib. L’insuccesso statunitense nell’affrontare la crisi siriana ha portato alla sconfitta degli alleati. Il nuovo presidente francese Emmanuel Macron ha riconosciuto la sconfitta occidentale in Siria a seguito dell’azione diplomatica e militare di Putin in Siria, abbandonando la politica dell’“Assad deve andarsene” e affermando che in Siria la Francia ha: “un obiettivo principale, eliminare il terrorismo. Non importa chi siano, vogliamo una soluzione politica inclusiva e durevole. In questo contesto non serve la caduta di Assad. Non è più un presupposto per la Francia”. Londra ritirava gli istruttori militari dalla Siria, presenti per istruire “70000 ribelli” a rovesciare il governo di Assad. L’amministrazione Trump successivamente raggiunse Mosca su un cessate il fuoco al confine giordano con la speranza di estenderlo a tutto il Paese. I funzionari statunitensi non chiedono più la rimozione di Assad dal potere. Non ci può essere maggiore prova che Putin abbia sconfitto Washington e l’occidente in Siria.
Ancora gli analisti più oggettivi sottovalutano la performance russa in Siria. Due di recente hanno osservato: “Per quanto riguarda gli sforzi militari di Putin in Siria, nonostante la differenza della potenza di fuoco russa sul campo, il Paese è ancora impantanato. La stabilità rimane inafferrabile, così come la via del ritiro russo. I vantaggi di Putin potrebbero sgretolarsi, a meno che la potenza russa non continui a sostenere lo Stato siriano” (Thomas Graham e Rajan Menon, “Qual è il fine di Putin?”, Boston Review, 24 luglio 2017). Ciò che gli autori non capiscono è che la guerra in Siria è vinta. Con la seconda città siriana, Aleppo, ripresa dall’Esercito arabo siriano qualche mese prima, la presa dello SIIL su Dayr al-Zur e il dominio di al-Qaida nella provincia di Idlib erano le ultime basi del jihadismo. Ma mentre l’occidente ha fatto passare agosto, le forze siriane, sostenute dagli alleati russi e iraniani, hanno tolto l’assedio triennale di Dayr al-Zur e dei suoi 80000 civili e 10000 soldati. L’Esercito arabo siriano rastrella il resto di Dayr al-Zur e si prepara a scacciare ciò che resta dello SIIL dal confine siriano-iracheno. La stabilità tornerà in Siria e i russi si ritireranno quando la guerra sarà finita. L’immagine evocata dal pezzo che usa parole come “ritiro” è fuorviante, dato che l’intervento militare russo è limitato al supporto aerospaziale e d’intelligence e da occasionali operazioni delle forze speciali. La Russia non è coinvolta sul campo, compito dell’Esercito arabo siriano. In sintesi, non vi è alcun pantano, e la fine dello SIIL in Siria non è lontana.
La debacle occidentale e la vittoria siriano-russa-iraniana in Siria crea tre difficoltà all’occidente. In primo luogo, la ritirata dello SIIL sarà ingrossata dai suoi ranghi iracheni, complicando lo sforzo occidentale di riavviare la combattività dello SIIL dopo l’arrivo della Russia in Siria e di Trump a Washington. In secondo luogo, l’Esercito arabo siriano riceve preziosa esperienza nei combattimenti, facendone un nemico formidabile per l’alleato degli statunitensi Israele. Inoltre, l’Iran s’insedia in Siria e in Iraq, complicando ulteriormente i calcoli di Tel Aviv ed alleati arabi dell’occidente. In terzo luogo, l’insuccesso dell’occidente in Siria e Iraq, unitamente alla creazione dell’alleanza sino-russa, contro l’espansione della NATO, le permette di divenire un fattore politico regionale nel Golfo Persico e Medio Oriente rafforzando la copertura diplomatica dell’azione dell’Iran in Siria e l’Iraq. Tutto ciò avrebbe potuto essere evitato, ma la sovversione statunitense, insieme ad altri fattori, ha dato origine alla brutale espansione della NATO, all’intervento umanitario, alla promozione della democrazia, ai cambi di regimi e alla “nuova guerra fredda”. Tutte o quasi tutte note politiche destabilizzanti che sembrano destinate a permanere. Il resto, come si dice, è storia, probabilmente turbolenta.