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Circa il rapporto della Banca di Russia alla Duma: disconnessioni e fìne del sistema-mondo occidentale

di Alessandro Visalli - 23/04/2022

Circa il rapporto della Banca di Russia alla Duma: disconnessioni e fìne del sistema-mondo occidentale

Fonte: Tempo fertile

Mentre il lockdown di Shangai crea un ciclopico ingorgo di navi mercantili davanti alla città e interrompe ulteriormente le catene di approvvigionamento globali, con colli di bottiglia che per il Frankfurter Allgemeine[1] inducono riduzioni di oltre il 40% e si faranno sentire fino in Germania, la Bundesbank[2] stima che l’embargo totale dell’energia la farebbe precipitare in recessione già quest’anno. Si stima una riduzione del Pil del 2% ed effetti trascinati per i due anni successivi. Inoltre, un incremento di lungo periodo del tasso di inflazione. In una intervista il Cancelliere tedesco ha inoltre spiegato per quale motivo non consegnerà armi pesanti e ritiene che l’embargo al gas russo non sia utile a fermare la guerra, e comunque non vada fatto.

 Spostiamoci, la Banca di Russia ha presentato alla Duma il suo Rapporto 2021 e il suo Presidente, Elvira Nabiullina, che è stata confermata alla guida dell’ente, ha spiegato che il Pil è cresciuto nell’anno del Covid del 4,7% con un livello di disoccupazione ai minimi storici. Inoltre, nel 2021 i prestiti alle imprese sono cresciuti del 21%, i mutui del 30% e i prestiti al dettaglio del 20%. La Izvestia racconta[3] che la Nabiullina si è soffermata in particolare sulle misure assunte nel 2022 per contrastare le sanzioni occidentali. A febbraio/marzo la Banca centrale ha infatti alzato il tasso al 20% allo scopo di preservare la liquidità delle banche e ha sviluppato un corrispondente allentamento normativo. La Presidente ha spiegato che presenza di riserve in dollari ed euro, presso istituti europei, per 300 miliardi era necessaria per avere un termine di stabilizzazione in caso di crisi nazionale, ciò le ha rese attaccabili; tuttavia già dal 2014 la diversificazione delle riserve in moneta estera era andata avanti. La quota del dollaro Usa era scesa ad un quarto, mentre la quota di oro era salita di due volte e mezzo e quella di yuan al 17%.

Contrariamente a quanto riportato dalla nostra stampa, la Nabiullina avrebbe dichiarato ai deputati che non ci sarà alcun default del debito; il sistema finanziario resiste grazie alla buona regolamentazione e condizione dei fondamentali. Chiaramente però, e questo è importante, le imprese industriali dovranno avviare un processo di adeguamento strutturale, cambiando fornitori, ed assorbendo una inflazione che dovrebbe tornare sotto l’obiettivo solo entro il 2024. Per contenere l’inflazione la priorità dichiarata è stata lo sviluppo di regolamenti che consentano di pagare con altre valute rispetto al dollaro ed all’euro. Peraltro, come ricorda l’articolo, già con l’Unione euroasiatica il 70% dei pagamenti avvengono in valute nazionali; la Banca centrale ha dichiarato il suo impegno a realizzare velocemente la necessaria infrastruttura dei pagamenti ed anche il ‘rublo digitale’.

 Ma la parte più importante della Relazione del Presidente della Banca centrale russa è stata quella relativa all’obiettivo della ‘ristrutturazione strutturale dell’economia’. Si tratta, come chiarisce il prof. Plekhanov Denis Domaschenko, di disaccoppiare il sistema economico russo, ovvero la catena di fornitori e clienti delle aziende industriali e di servizio, nonché di quelle primarie, dall’ecosistema occidentale. La difficile operazione dovrà essere favorita dagli sforzi per la stabilizzazione del tasso di cambio, e dalla fornitura di sovvenzioni dirette che favoriscano le imprese che sostituiscono le importazioni. A tal fine il giusto ambiente finanziario sarà garantito dalle riserve disponibili ma, soprattutto, dagli accordi di swap e quelli commerciali in valuta nazionale (come quello con l’India per i prodotti energetici[4]).

Insomma, la Russia si sta impegnando da una parte a sostituire clienti occidentali (in particolare dei prodotti energetici e alimentari) con il grandissimo bacino dei paesi sempre meno allineati con questo (in potenza circa l’80% della popolazione mondiale e almeno il 50% del Pil aggregato), dall’altra a creare circuiti monetari indipendenti dal dollaro e quindi non vulnerabili alle relative sanzioni.

 Sembra un ritorno alla logica della “sostituzione delle importazioni”[5] che dominò le teorie dello sviluppo nel ‘trentennio glorioso’ nella lunga fase della decolonizzazione dei paesi del ‘terzo mondo’. Anche se la ragione è qui più marcatamente difensiva (ma a ben vedere lo era anche allora), questa manovra condotta da una delle grandi potenze industriali (se pure in declino da tempo) che si era trovata a dipendere dall’estrazione e relativa esportazione di materie prime e dalla importazione di prodotti semilavorati a medio-alto contenuto tecnologico, richiama esattamente in direzione opposta, la svolta degli anni settanta ed ottanta. Allora si passò dallo sforzo frustrato di “sostituire le importazioni”, creando filiere industriali indipendenti e sconnettendosi almeno parzialmente dal mercato mondiale, a quello di “sostituire le esportazioni”, proiettando all’esterno le proprie capacità industriali alla ricerca del miglior saggio di sfruttamento dei fattori produttivi. Ma questa modalità di estensione delle reti produttive attraverso i confini, se favorisce l’accumulazione del capitale aumentando il saggio di profitto e, soprattutto, rendendo meno fiscalmente tracciabile il flusso di valore, rende elevata la dipendenza dalle decisioni geopolitiche sovrane e da colli di bottiglia nel flusso di merci e valori. Le decisioni senza precedenti prese nel corso di alcune crisi dal gestore di fatto del sistema finanziario mondiale (e della conseguente interconnessione commerciale), ovvero dagli Usa, di sequestrare o congelare le riserve detenute all’estero dal Venezuela prima e della Russia dopo, hanno reso chiaro a tutti che questo modello della “sostituzione delle esportazioni” è eccessivamente fragile.

Il processo di fratturazione dell’ambiente finanziario e commerciale mondiale, e la revoca della centralità in esso del dollaro (processo che richiederà qualche anno), riprodurrà quindi quella priorità all’indipendenza che rese possibile il percorso di crescita di tanti paesi nel trentennio ’50-’80 e ne motivò la tensione ideale. Anche alla luce di questi fenomeni si può verificare come tutte le teorie trovino sempre la loro urgenza e plausibilità dal contesto del tempo. Sono, cioè, illuminate dal tempo nel quale si manifestano, più che il contrario. Prevedo che, insieme al confronto tra sistemi, intorno a questo tempo difficile tornerà perciò in campo la “teoria della dipendenza”[6] e quella “dell’imperialismo”.

 

L’idea che emerge dalla reazione del sistema russo alla crisi, alla quale si era lungamente preparato[7], è di riposizionarsi nella catena del valore da paese periferico, che essenzialmente vende materie prime e dispone solo di alcune eccellenze, affidandosi per il resto alle importazioni di prodotti finiti o semilavorati, a paese semicentrale in un ecosistema dominato da centri di potenza ed industriali meno ostili (la Cina, l’India, il Brasile, Sudafrica, i Brics, ai quali aggiungere almeno Venezuela, alcuni paesi africani, alcuni paesi del golfo, probabilmente il Pakistan e forse l’Arabia Saudita) e, soprattutto, più complementari.

 C’è una sorta di ironia: l’occidente si aspetta che l’ambiente economico russo sia costretto dalla crisi dei capitali ad accettare una situazione di maggiore dipendenza e quindi maggior sfruttamento (banalmente di dover accettare di vendere i propri prodotti e materie prime ad un prezzo inferiore, o serbando minore quota del profitto[8]) ricollocandosi in posizione ancor più periferica. Ma la Russia sembra voler accettare la sfida e punta a ricollocarsi in un diverso ecosistema nel quale la propria industria sia più necessaria (non solo militare) e i propri prodotti energetici desiderati.

 È probabilmente in questo senso che il progetto di Putin è di invertire la sconfitta degli anni ottanta. Non si tratta affatto, almeno a medio termine, di recuperare le aree di influenza territoriale perdute che, nel frattempo, si sono connesse con l’ecosistema economico occidentale in modo troppo intenso (tanto meno di farlo per via militare), ma di qualcosa di molto più significativo: di risolvere l’incorporazione subalterna del sistema-mondo che allora fu determinata. Esiste solo un modo a tal fine, ed è quello che viene indicato come “ristrutturazione strutturale dell’economia”. Si tratta di riportare le proprie élite industriali e finanziarie, con le buone o le cattive (ed una guerra è a tal fine perfetta) sotto il dominio della propria logica ‘territorialista’; rialzare a tal fine barriere di sistema (e questo lo stanno facendo gli Usa); trovare un’altra area di proiezione per i propri capitali, nella quale la concorrenza sia più contenuta e l’ambiente normativo più controllabile.

Due generi di interlocutori sono da individuare per questo progetto:

-        I grandi paesi altamente differenziati e fortemente finanziarizzati, ma che nell’ecosistema “Occidentale” sono costantemente schiacciati al ruolo di junior partner o di ospite inaffidabile; questi, che vanno dalla Cina all’India con l’aggiunta del Brasile (ma guarderei anche al Messico), sono in qualche modo ed a vario modo riluttanti a fare lo stesso passo. Lo faranno solo se costretti, quindi fino a che il network al quale tutti stanno lavorando non sarà consolidato cercheranno di stare su tutti i tavoli. In ogni caso sono troppo grandi per chiudere completamente le porte. In prospettiva cercheranno di ascendere al ruolo di egemone di un nuovo sistema-mondo guidato in modo federato.

-        I paesi intermedi, con una specializzazione più pronunciata e minori risorse umane, materiali e finanziarie. Questi si sentono spesso umiliati e vittimizzati dall’arroganza occidentale e possono essere tentati di ridurre la dipendenza.

L’idea è che dentro questo sistema, che fraziona il complessivo sistema-mondo occidentale, ritagliandovi un grande enclave, la Russia possa trovare una posizione di minore debolezza. In altre parole che possa essere più necessaria, sia come fornitore di materie prime e di tecnologie avanzate (in alcuni specifici settori, aerospaziale, chimica, nucleare, militare), sia come fornitore di protezione (sfidando, ovviamente, il monopolio Usa su questo cruciale ‘servizio’).

 Chiaramente, e simmetricamente, i paesi che nell’attuale sistema-mondo sono centrali o semi-centrali (o semi-periferici in un centro rilevante come quello europeo), da questa riframmentazione in sistemi-mondo interconnessi, ma anche parzialmente separati, hanno da perdere. Da una parte si riducono gli sbocchi alle eccedenze di capitale, le aree nelle quali proiettare i capitali garantendone per via politica o di influenza militare la redditività. Quindi diventa più difficile il gioco di rompere gli ‘spazi regionali’, costringendoli a rilasciare i propri valori e destabilizzandoli (gioco nel quale gli Usa sono maestri, ma noi siamo i vecchi maestri ed attuali volenterosi allievi). Infine si ridefinisce l’intera gerarchia delle dipendenze e dell’estrazione del surplus; in quanto quel sistema esteso che chiamiamo per comodità ‘capitalismo’ (ovvero quell’insieme di rapporti sociali, giuridici e di soggettività che si definiscono per la centralità del principio organizzativo e di ordine del ‘capitale’) è sempre composto di parti interconnesse, ognuna delle quali trova la propria struttura e organizzazione dalla propria posizione nell’insieme. Posizione che è sempre gerarchica. La ragione è che tutti i fenomeni economici e sociali, ed in ultima analisi anche politici e militari, trovano possibilità di essere compresi solo nell’unità complessiva delle parti in interazione.

 In conclusione, se, quindi, il progetto di disconnessione della Russia ha successo (e lo avrà solo se si genera un sistema alterativo abbastanza coerente, interconnesso, complementare, stabile) il tramonto dell’egemonia occidentale è alla vista.

 

[1] - “Lockdown a Shangai: in Germania incombono prezzi più alti”, Frankfurter Allgemeine, 22 aprile 2022

[2] - “Bundesbank: l’embargo energetico farebbe precipitare la Germania in recessione”, Frankfurter Allgemeine, 22 aprile 2022

[4] - Tra la Russia e l’India è stato negoziato a livello governativo e delle rispettive Banche centrali un accordo per il quale i prodotti energetici saranno pagati dall’India in moneta nazionale, questa sarà depositata presso un conto aperto alla Russia presso la Banca centrale indiana e sarà utilizzato per investimenti e per favorire l’interscambio commerciale, oltre l’ampliamento delle riserve. In questo modo, attivando un tipico circuito monetario simile a quello in essere da decenni tra gli Usa e l’Opec si sostiene la moneta russa e si indebolisce il dollaro.

[5] - Si veda R. Prebisch, Crecimiento, desequilibrio y disparidades: interpretación del proceso de desarrollo económico, 1950, in italiano. La crisi dello sviluppo argentino. Prebisch è, con Hans Singer, il creatore della tesi della “sostituzione delle importazioni”, per la ragione che il deterioramento continuo delle ragioni di scambio delle economie primarie, normalmente periferiche, è conseguenza del fatto che la domanda di prodotti manufatti cresce molto più rapidamente di quella delle materie prime.

[6] - Oggetto del libro, Alessandro Visalli, “Dipendenza. Capitalismo e transizione multipolare”, Meltemi 2020.

[7] - Nella crisi Ucraina del 2014 la Russia ebbe chiarissimo che ad uno scontro con l’occidente si sarebbe ad un certo punto giunti, e che la stessa Ucraina lo voleva. La preparazione al momento è stata condotta allargando le riserve, riducendo l’esposizione in dollari, rinforzando le relazioni internazionali con i paesi non occidentali. Per un chiarimento si può vedere questo video del 2014.

[8] - Ad esempio, cedendo alle multinazionali britanniche o Usa le concessioni delle proprie risorse minerarie a fronte di royalties limitate.