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Coronavirus, le tre bugie del globalismo

di Adriano Scianca - 09/03/2020

Coronavirus, le tre bugie del globalismo

Fonte: Il Primato Nazionale

Il globalismo non muore mai. Anche di fronte a un’emergenza che ne mette in discussione tutti i presupposti, questa ideologia nefasta ritiene di poter trovare ovunque conferme della propria validità. In altre parole, è un’ideologia non falsificabile in senso popperiano, perché si ritiene convalidata tanto da A che dal contrario di A. In particolare, ci sono tre argomenti che circolano in questi giorni sui social, sui giornali, nei talk show: a) l’emergenza coronavirus conferma la validità della globalizzazione e l’inutilità dei confini “sovranisticamente” chiusi; b) l’emergenza coronavirus conferma la validità degli esperti, dei competenti, delle notizie documentate contro le bufale, quindi della lotta contro le fake news; c) l’emergenza coronavirus conferma la superiorità della democrazia e della “società aperta” sugli autoritarismi.
Ovviamente tutti e tre gli argomenti si basano su un’impostazione iniziale falsata, su schieramenti e posizioni tagliati con l’accetta, in modo manicheo e caricaturale, al fine di giungere alla conclusione a cui si voleva giungere. Cerchiamo di vedere nel dettaglio.

La globalizzazione
a) La globalizzazione. Curiosamente, chi sostiene questa tesi enfatizza molto il ruolo delle istituzioni sovranazionali e della ricerca internazionale nella prassi di contenimento del virus, non quello degli scambi, dei viaggi, dell’interconnessione globale nella sua diffusione. Che la parola d’ordine salvifica oggi invocata dalle istituzioni sia “state a casa” è del resto rivelatore. Ma qui è bene precisare un punto che sembra sfuggire a molti, globalisti e anche sovranisti ingenui: il contrario della globalizzazione non è la chiusura ermetica dei confini, l’azzeramento degli scambi, dei viaggi, delle cooperazioni internazionali. Lo staterello monade, isolato dal mondo, è uno straw man, un antiglobalista immaginario costruito su misura per far funzionare gli argomenti globalisti. Il contrario vero della globalizzazione è un mondo in cui flussi e scambi sono controllati da una politica forte, in cui tra locale e globale esistono grandi spazi regolatori, in cui esistono e resistono identità e differenze, in cui non c’è concorrenza tra zone con standard sociali troppo differenti etc. Tutto questo non ha nulla a che vedere con il fatto che, anche in un mondo post-globale, un vaccino trovato a Singapore possa essere utilizzato in Argentina o una conoscenza sorta in un laboratorio giapponese possa essere condivisa con i colleghi norvegesi.

Gli esperti
b) Gli esperti. Altro argomento fantoccio, che vale tutt’al più contro qualche esagitato del web, contro qualche ultras no vax, contro i pasdaran del grillismo primordiale (fortunatamente oggi in via d’estinzione). La tattica è sempre quella: si dibatte contro la versione più distorta di un argomento, contro la sua caricatura, realmente sostenuta al massimo da qualche ambiente marginale, per falsare alla base il confronto. Il dibattito sui “competenti” e sulle “fake news” riguardava tutt’altro, e cioè la pretesa di commissariare la politica da parte dei tecnici e di concedere il monopolio della verità ai soli media mainstream, anche e soprattutto su temi che nulla avevano a che fare con le scienze dure. Riguardava, cioè, la pretesa autoritaria di stabilire che esista una sola linea politica possibile e un solo modo di raccontare la realtà. La quale, tuttavia, continua a essere sfaccettata e interpretabile e non appiattita su un’unica vulgata. Anche in questa emergenza, in cui per forza di cose (e giustamente) medici e ricercatori hanno un ruolo determinante sia nell’accompagnare le decisioni dei politici che nel raccontare giornalisticamente i fatti, continuano a esistere modi diversi di reagire e modi diversi di spiegare. Il che, nei limiti della responsabilità, è assolutamente un bene.

L’autoritarismo
c) L’autoritarismo. È un argomento che andava molto di moda all’inizio dell’emergenza, soprattutto contro la Cina, poi anche contro l’Iran. I silenzi e le omertà di Pechino erano criticati aspramente, sostenendo che la mancanza di trasparenza e di controllo dell’opinione pubblica sul potere avessero causato la tragedia. All’epoca, tuttavia, da queste parti si guardava alla crisi con un occhio un po’ coloniale, nella convinzione che queste cose accadessero solo altrove. Dopo le disastrose prove di inettitudine del governo italiano e di irresponsabilità dei cittadini, tuttavia, il mood sembra diverso. Ora l’argomento che domina è: “Come facciamo a replicare da noi i metodi di contenimento cinesi preservando le garanzie democratiche?”. E, tra le righe: “La democrazia non sta diventando una palla al piede, in questa fase?”. Il che non significa, ovviamente, che i modelli cinese o iraniano siano il futuro. Ma è sicuro che tutti i nodi del nostro, di modello, stanno venendo al pettine. E forse è giunto il momento di smetterla con questo sorrisino ebete di chi si sente perennemente sospinto dallo spirito del tempo e dal senso della storia, ovunque essi soffino.