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Così l’Occidente dimentica la Storia

di Massimo Cacciari - 22/09/2025

Così l’Occidente dimentica la Storia

Fonte: La Stampa

Assistiamo impotenti alla più formidabile de-costruzione di ogni forma di Diritto che sia mai esplosa in epoche di grande crisi. Si ha un bel fare gli storici disincantati. Come potrebbero nella radicale trasformazione di equilibri politici ed economici, nella metamorfosi delle stesse culture conservarsi quei principi sui quali sembrava almeno orientarsi il mondo di ieri? Non sono sempre stati sventolati come virtù europea tali principi, a gara tra cristiani e illuministi? Sì – ironizza il nostro storico disincantato – ma alle parole quando mai sono seguiti i fatti? E allora perché continuare a chiamarci europei e non, che so, Sciti? Si ha un bel fare i realisti – sta di fatto che l’Occidente, e soprattutto l’Occidente europeo, unico colpevole dell’unica Grande Guerra della prima metà del Novecento, aveva giurato a sé stesso dopo il ’45 che avrebbe lottato in tutti i modi e in tutte le sedi per costruire un Ordine internazionale fondato sul rispetto di quei “diritti umani” inalberati a Norimberga. Ciò che oggi impressiona, ed è segno del salto d’epoca avvenuto, non è tanto che di quel giuramento non si tenga alcun conto, quanto che esso appaia completamente e semplicemente dimenticato. Passato, come non fosse mai esistito. Anzi, peggio, usato strumentalmente soltanto per accusare il Nemico. Quei “diritti” valgono soltanto quando si tratta di demonizzare il Nemico, per noi contano nulla. Tra questi ve n’era uno che sembrava ormai impossibile dimenticare – o almeno si aveva il pudore di mascherare il nostro farne strame: un esercito non poteva far guerra alla popolazione civile. Si distruggevano città, si bombardavano campagne e villaggi, ma pure vi erano guerre tra eserciti in corso, vi era un Paese nemico di cui si reclamava la resa incondizionata. Non si sganciava l’atomica su Hiroshima per buttare a mare i giapponesi.
Una prepotenza di questa immane dimensione, che prosegue senza alcuna sanzione di alcun tipo che tenti almeno di frenarla, non può alla fine che volgersi contro gli interessi ultimi, strategici di chi la commette. È regolarità storica. Certo essa, combinandosi a altre violazioni di ogni principio di diritto internazionale, può trascinarci tutti al disastro – anche in questo caso, insieme ai suoi complici, rumorosi e silenti, essa non resterebbe impunita. Qualunque sia il nuovo Ordine della Terra che uscirà dalle attuali tragedie esso non potrà fondarsi sul “diritto del più forte”. Qualsiasi Ordine, se è tale, comporta una visione, una strategia, capace di stringere in una rete di patti e compromessi la molteplicità delle nazioni. Esce sempre davvero vittorioso dalle grandi catastrofi chi, già nel loro mezzo, lavora in questa prospettiva, si sforza di creare le condizioni perché la fine di una guerra non coincida con la preparazione della prossima. Il vinto – e tanto più quanto più la sua sconfitta sul campo appare totale – se non si riconosce in qualche modo nel “trattato di pace”, se non vede in esso altro che “ingiustizia”, continuerà la guerra nelle forme che gli sono possibili. E saranno quelle del più spietato terrorismo.
Il passato insegna a ragionare in questo senso. Ma a chi interessa più il passato? Chi ricorda gli sforzi per trovare la via dell’accordo tra quei palestinesi e quegli israeliani, che hanno pagato con la vita per questo? Chi ricorda il ruolo decisivo giocato dalla Russia nella storia europea, dalla Beresina a Stalingrado? Possibile pensare di farne una potenza regionale? Altrettanto impossibile che pensare di riannettere a un Impero finito a pezzi lo Stato ucraino. Si solleva qui un problema che riguarda la forma mentis che ormai domina in Occidente e forse nel mondo intero. Non abbiamo passato, il nostro tempo è solo un presente che accelera prepotentemente verso un futuro indefinito. L’ottimismo tecnologico lo vede come un infinito progresso, da innovazione a innovazione, una crescita senza fine. Meglio cancellarlo il passato, dunque, cancel culture dominante ovunque. O lasciarlo agli storici di professione – per i “creativi” è solo impedimento, zavorra. Di quello che è successo siamo innocenti. Anzi, noi tendiamo a ritenerci innocenti in tutto; delle tragedie cui ci illudiamo di poter continuare a essere semplici spettatori la colpa è sempre dell’altro, è lui il responsabile, è lui il cattivo. Noi siamo per natura buoni, buoni sono i nostri desideri, benedetti i nostri appetiti.
Non ricordiamo, non vogliamo ricordare come questa forma mentis sia l’humus in cui matura ogni forma di autoritarismo. Esso si fonda sulla irresponsabilità individuale. Si inizia con l’avvertire alcune potenze come assolutamente sovrane, al di là di ogni nostra capacità di condizionarle. Si prosegue inevitabilmente col delegare loro ogni decisione riguardante le nostre stesse vite. Si termina obbedendo loro o addirittura venerandole. Tranquilli, non parlo affatto del possibile ritorno di vecchie dittature. Costose e improduttive. L’individuo contemporaneo interiorizza il comando di un sistema anonimo e globale, retto da un manipolo di oligarchie economico-finanziarie. Lo Stato delega a tale sistema ogni decisione in campo economico e via via gli affida pure funzioni pubbliche vitali, fino a diventare una mera stazione appaltatrice di servizi, con compiti al più di sorveglianza e controllo. Così finisce in Occidente il Welfare State. E così finisce l’homo politicus. Questo sta avvenendo sotto i nostri occhi, una trasformazione più radicale ancora di quella crisi di ogni Diritto che testimoniano guerre e massacri. E alla quale nessun trattato di pace potrà rimediare. Ma di un tale destino non ha né paura né orrore il cittadino dell’Occidente che ha dimenticato la propria storia.