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Diciamola tutta, dei diritti civili frega sega. Hanno solo nostalgia della Russia da barzelletta di Eltsin

di Mauro Bottarelli - 28/03/2017

Diciamola tutta, dei diritti civili frega sega. Hanno solo nostalgia della Russia da barzelletta di Eltsin

Fonte: Rischio Calcolato

Mi ero ripromesso di non tornare sul tema, perché lo trovo abbastanza paradossale. D’altronde, di argomenti da toccare ce ne sono molti: l’atroce omicidio di Alatri, sintomo di una società nemmeno più malata ma ormai marcia; le prime beghe per l’amministrazione Trump dopo l’inciampo sull’eliminazione di Obamacare; gli straordinari sviluppi dell’attentato a Westminster, con la scoperta molto politically correct del fatto che la figlia dell’attentatore – il quale avrebbe agito da solo e senza legami con l’Isis, ha sentenziato Scotland Yard, quindi non si capisce che cazzo abbia rivendicato Daesh qualche giorno fa – Teegan, la quale si è riballata alla richiesta di conversione e ha mantenuto lo stile di vita occidentale; financo la manovra correttiva e i salti mortali di Gentiloni e Padoan. Poi, però, mentre aspetti che il caffè sia pronto, ecco che la rassegna stampa ti regala questa perla degna del premio Pulitzer e non puoi esimerti dal commentare:

comincio a pensare che Vladimir Putin abbia scopato più di una fidanzata di giornalista e politici italiani ai tempi del liceo. Non c’è altra spiegazione per un odio così cieco, ideologico, aprioristico, puerile: negli anni ci siamo alleati con cani e porci per ragion di Stato, come spesso e volentieri accade e abbiamo digerito tutto, dai sauditi cui vendiamo armi per compiere le loro mattanze in Yemen ai ricatti di Erdogan sull’immigrazione. Putin no, la Russia è indigesta.

E chiunque le si avvicini, un appestato. I giornali di ieri erano addirittura parossistici nella loro denuncia della repressione posta in atto domenica nei confronti delle manifestazioni anti-corruzione organizzate dal movimento di Alexei Navalny, blogger e candidato alle presidenziali del prossimo anno. Sembrava piazza Tienanmen, con tanto di vibrate proteste e richiesta d liberazione dei manifestanti da parte di Dipartimento di Stato Usa e Unione Europea. In effetti non si fa: uno Stato civile non fa arrestare chi scende in piazza contro la corruzione. Oddio, l’11 aprile dello scorso anno finirono al gabbio in 400 per aver preso parte a una dimostrazione con le stesse motivazioni e non autorizzata fuori dalla Casa Bianca ma tant’è, quella è repressione democratica, un ossimoro radical chic come la “guerra umanitaria” di Massimo D’Alema. E chissenefrega se la legge parla chiaro, in Russia come negli Usa come in Italia: le manifestazioni non autorizzate portano con sé conseguenze, amministrative e penali. E così è stato anche per Alexei Navalny, comparso ieri in tribunale, come testimonia questa foto,

la quale ci mostra le condizioni drammatiche in cui ha dovuto vivere i lunghi minuti dell’udienza: giocando con lo smartphone e pubblicando selfie su Twitter nei quali preannunciava futura vendetta contro il potere. Stalinisti che non sono altro! Il nostro eroe ha ricevuto una multa da 200mila rubli, 350 dollari e 15 giorni di carcere, quest’ultima pena detentiva scattata perché andando in piazza ha violato una misura restrittiva comminatagli qualche tempo fa dopo l’ennesima sparata pubblica. Vi assicuro che giudici italiani sono stati molto ma molto più duri in processi legati al movimento No-Tav: perché nessuno ha rotto i coglioni all’epoca, invocando Convenzioni, Trattati e magari scomodando la Rivoluzione francese?

Il problema è anche altro. L’isteria delle reazioni estere è figlia legittima della coda di paglia, come ha fatto notare il portavoce di Cremlino, Dmitry Peskov, il quale dopo aver sottolineato il carattere illegale e provocatorio delle manifestazioni, ha anche sottolineato come ad ingrossare le file delle proteste ci fossero minorenni cui era stato promesso un premio economico. In parole povere, il giochino della destabilizzazione già utilizzato più volte ad Est dalle potenze occidentali attraverso ong e simili, pare prestarsi perfettamente anche a questa rivoluzione spontanea. Tana preventiva per il Dipartimento di Stato, insomma. E sapete qual è il peccato originale di questa intera situazione?

Demonizzare Putin a prescindere per un semplice fatto: aver rotto le uova nel paniere a chi era abituato a trattare con la Russia di Eltsin, ovvero con una simil colonia da depredare liberamente perché affidata nelle mani di un alcolizzato, cui bastava offrire della vodka per chiudere qualsiasi disputa. Quei tempi sono finiti, lo ha dimostrato un decennio di governo del Paese e, ultimamente, anche l’attivismo di Mosca sul fronte della politica estera, il vero macigno nella scarpa che pare non andare giù a Washington. Negli Usa si incarcerava la gente di colore durante la crisi dell’uragano Katrina, affinché non venissero a galla le magagne del sistema e lo si faceva fare ai contractors privati della Blackwater armati fino ai denti e con tesserino federale, basta leggere le cronache dell’epoca. Ma nessuno ebbe nulla da ridire: come mai “Repubblica” non invocò la repressione USA in prima pagina con titolo a otto colonne?

E fidatevi, è tutta malafede ideologica e politica quella che riversata in queste ore, non amore della libertà e dei diritti civili. Sempre lunedì, su “La Stampa”, è comparso un articolo nel quale veniva tratteggiato il clima da simil terrore staliniano vissuto nelle piazze e si avanzava una tesi: il potere mostra i muscoli perché, di fatto, teme un dilagare a macchia d’olio della protesta, a fronte di “una crisi economica che si trascina da tre anni e drastici tagli al welfare”. Insomma, l’economia del Paese è a pezzi a causa del governo, il quale nel frattempo sguazza tra mazzette e malversazione di fondi pubblici e colpisce le fasce più deboli della popolazione. Roba da ghigliottina in piazza. Peccato che questi grafici,




contenuti in un report della bolscevica agenzia Bloomberg del 3 marzo scorso, sembrano dirci altro, rispetto all’articolo da allarme democratico di Lucia Sgueglia sul quotidiano di casa Fiat, non a caso noto a più come “la busiarda”. Nonostante il prezzo del petrolio che continua a rimanere piantato in area 50 dollari e le sanzioni economiche, l’agenzia economica statunitense sentenziava nel suo titolo che “Russia is running on more than just black stuff”, sottolineando che “il principale produttore energetico al mondo è uscito dalla sua peggior recessione in due decadi”. Io capisco il pregiudizio anti-Putin e anti-russo, capisco la tendenza posturale verso certi poteri che risiedono a Villa Taverna ma quando sono i numeri a parlare, persino le agenzie Usa hanno un sussulto di dignità e dicono le cose come stanno, dati alla mano: qui no, si sparano affermazioni alla cazzo, senza uno straccio di numero a sostegno e si finisce anche su Dagospia, tanto per potersi vantare con i colleghi. Detto questo, non tutti i giornalisti sono uguali e il cambio di tono del tg di La7 tra il servizio di ieri sera – in cui si dava comunque conto delle accuse verso Navalny di essere al soldo del National Endowment for Democracy – e quello di stamattina, mostrano che le sparate pregiudizievoli hanno le gambe corte, se si è intellettualmente onesti.

L’Unità, nella sua pittoresca prima pagina, chiedeva conto del fatto che qualcuno, in Italia, stia dalla parte di Putin, ovviamente mettendo nel mirino Matteo Salvini in chiave di politica interna. Chiedo venia, perché non dovrebbero, è forse reato? Forse non è buona creanza, perché in Russia la democrazia è un concetto incompiuto? Perché invece è democrazia vivere in un Paese dove se difendi la tua ragazza dalle molestie di un ubriaco vieni ucciso a botte, nove contro uno, senza che nessuno alzi un dito o denunci quanto ha visto? E’ democratico e normale un Paese che si fa prendere per il culo dall’Austria, non ho detto l’America, la quale prima ha annunciato l’ok al piano di ricollocamenti di migranti con l’Italia attraverso il ministro dell’Interno e dopo mezz’ora si è rimangiata la parola attraverso quello degli Esteri? La Farnesina? Muta. Il Viminale? Muto. Chi cazzo è Vienna per prendere e sfanculare quanto deciso in sede UE? E perché Bruxelles tace, quando invece se a Roma scappa un peto, è subito pronta la procedura di infrazione?

E l’Ungheria che ci accusa di ricattare i governi dell’Europa dell’Est sul tema dei migranti, quando il nostro Paese sta letteralmente esplodendo, con altri 600 arrivati solo stamattina a Trapani? Parliamo della stessa Budapest che alza muri come io accendo sigarette: stiamo scherzando o cosa? E potrei andare avanti per ore, dal giudice che assolve lo stupratore perché la vittima non ha urlato alle aziende che intascano aiuti di Stato e poi delocalizzano in Polonia o in Albania. Vladimir Putin non piace perché l’italiano medio è stupido o fascista intrinsecamente ma perché è percepito come uno che non si fa mettere i piedi in testa, uno che fa valere le proprie ragioni e quelle del suo Paese prima di ogni altra cosa, anche calpestano qualche diritto formale o stracciando i protocolli, come in Siria. Mettetevelo in testa, la gente in questo mondo di delirio e incertezza, è ben contenta di sacrificare un po’ di libertà in nome della sicurezza. Sociale, personale, occupazionale.

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Questo mondo vi spaventa? Chiedetene conto a chi lo ha reso possibile, non frantumate gli zebedei a Putin che ha deciso di governare il suo Paese in altro modo, tra l’altro senza voler imporre il modello Russia in giro per il mondo, spacciandolo come esportazione di democrazia. E questo paragone finale non è casuale, visto che proprio ieri, mentre le anime belle imputavano a Putin anche il riacutizzarsi del morbillo, Donald Trump annunciava l’aumento dell’impegno militare Usa in Yemen al fianco dell’alleato saudita. Nulla da dire al riguardo? Fa più figo difendere Navalny che qualche migliaio di civili yemeniti destinati a schiattare a causa di bombe a frammentazione occidentali ma politicamente corrette? Come mai il Pentagono ha spinto l’ex non interventista verso questo ennesimo voltafaccia? Semplice, i ribelli Houthi che combattono i sauditi in Yemen sono filo-russi, addirittura sono arrivati a proporre a Mosca un’alleanza che garantisse alle truppe del Cremlino l’utilizzo delle basi militari nel Paese.

Un po’ troppo strategico, vicino com’è allo stretto di Bab el-Mandeb e a Djibuti, dove già i cinesi stanno per aprire la loro prima base militare operativa in Africa. Ma si sa, è meglio fare come il “Corriere”, il quale ha denunciato con veemenza, nella sua edizione di oggi, che Medvedev utilizzerebbe i soldi malversati per farsi acquistare scarpe da ginnastica on-line da un amico. Attenti a trattare Putin come un funzionario ottuso del KGB, perché non lo è: la sentenza di ieri contro Navalny è stata dichiaratamente politica e voluta dal Cremlino, tanto per far sprofondare nel ridicolo le accuse del mondo ma mantenendo “nell’aria” le accuse verso Medvedev, uomo ritenuto da Putin una sorta di quinta colonna dell’ala occidentalista all’interno del Cremlino. E se il suo piano di pulizia interna in vista delle presidenziali, Putin potesse applicarlo con successo proprio grazie alle denunce, tutte da provare, di Navalny e alla grancassa della stampa occidentale? Rifletteteci.