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Educazione sessuale a scuola. La storia(ccia) infinita

di Elisabetta Frezza - 16/05/2025

Educazione sessuale a scuola. La storia(ccia) infinita

Fonte: La Fionda

La proposta di riforma (e le reazioni delle curve nord e sud)

Il ministro Valditara è nuovamente intervenuto in tema di educazione sessuale, stavolta con un disegno di legge ove si prevede che per qualsiasi attività didattica inerente la sessualità (sia essa attività extracurricolare o di ampliamento dell’offerta formativa) le scuole siano obbligate ad acquisire il “consenso informato” preventivo dei genitori. Perché «non si può obbligare uno studente a seguire corsi che possono presentare il rischio di una caratterizzazione ideologica». Ciò implica che siano forniti con congruo anticipo alle famiglie tutti i dettagli circa il materiale didattico, il personale interno o esterno incaricato, le finalità e le modalità di svolgimento dei relativi progetti. Per gli alunni privi del consenso scritto dei genitori, la scuola è tenuta a predisporre attività alternative, su modello di ciò che già avviene per chi non si avvalga dell’insegnamento della religione.

Il testo stabilisce inoltre che i soggetti esterni autorizzati a intervenire su argomenti sensibili, come appunto la sessualità, debbano essere muniti di idonei requisiti di professionalità scientifica e accademica. E che nelle scuole dell’infanzia e primarie si svolgano solo i programmi delle indicazioni nazionali: ovvero che la sessualità sia affrontata esclusivamente dal punto di vista biologico.

Al solito, le opposte tifoserie si sono scatenate fin dal primo annuncio dell’iniziativa, quando i particolari erano ancora in mente Dei: da una parte chi già cantava una vittoria che non c’era, intestandosene pure il merito; dall’altra chi, sempre in via preventiva, è partito a frignare. Ex multis, ecco uno scambio di battute che rende ragione della profondità logica e speculativa del dibattito (ogni commento è superfluo): https://www.la7.it/in-altre-parole/video/consenso-dei-genitori-per-leducazione-sessuale-nelle-scuole-vecchioni-i-genitori-devono-starsene-03-05-2025-594452.

Ebbene, noi pensiamo che esultanze e proteste suonino non soltanto parimenti premature, ma anche parimenti ingiustificate, se si tien conto da un lato della sostanza della riforma proposta, dall’altro del contesto in cui viene calata. E proviamo a spiegarne il perché, a partire dalla considerazione preliminare che un disegno di legge, per diventare legge dello Stato, deve prendersi la briga di attraversare l’iter parlamentare. E bisogna vedere come ne esce.

L’impressione generale, tanto per cominciare, è che gli abitatori dei palazzi romani armeggino dentro il gran calderone scolastico immaginandone (più che conoscendone) il contenuto: probabilmente attingono in parte all’album dei ricordi, in parte al sentito dire in arrivo da una specie di telefono senza fili. E non abbiano reale contezza né del radicamento effettivo né della effettiva entità di fenomeni che sono lievitati nel tempo fino ad assumere connotati demenziali, e che oggi si agitano scompostamente in un ecosistema in avanzato stato di decomposizione – qual è, purtroppo, diventata la scuola.

Breve storia dell’educazione sessuale: i suoi parenti stretti e la sua sfolgorante carriera

La cosiddetta educazione sessuale – cui è stato appiccicato lungo la via l’additivo cosmetico di “affettiva” per farla diventare più carina e più presentabile alla varia umanità – appartiene alla storia antica. È programmaticamente connessa alla penetrazione del gender, cui ha fatto e fa da apripista: ipersessualizzando precocemente i bambini, essa ha infatti la funzione prodromica di disinibirli, di spingerli ad abbattere la soglia del pudore e a vincere ogni remora morale, di predisporli ad assecondare ogni istinto e condizionamento indotto.

Apparecchiata nelle officine sovranazionali, penetrata nelle nostre scuole in groppa al mito del progresso pedagogico, l’educazione sessuale gira ovunque da parecchi lustri, esprimendosi in tutte le gradazioni di uno spettro che spazia dalla pornografia conclamata, al perbenismo ebete del va’ dove ti porta il cuore, fino alla melassa dell’amore cristiano messo in offerta speciale. In una prima fase, i progetti dedicati alla “materia” si sono diffusi a macchia d’olio in forma estemporanea e in veste “sperimentale”, grazie all’impegno di manipoli di volonterosi cresciuti a pane e ideologia; si sono poi imposti in via ufficiale e sistematica a partire dalla entrata in vigore della legge 107 cosiddetta “la buona scuola”, che nel suo comma 16 ha offerto una subdola (perché criptata in una serie di rinvii recettizi che portano, su su per li rami, fino alla Convenzione di Istanbul e alla cosiddetta legge sul femminicidio), ma solida, base normativa.

Così, in tanti anni di lavorìo assiduo, paziente, organizzato con cura meticolosa, si sono moltiplicati gli enti, le associazioni e le conventicole felicemente accreditati – in base a “titoli” auto-prodotti ed etero-riconosciuti – a entrare nelle scuole di ogni ordine e grado per insegnare il sesso e le sue iridate articolazioni. Si sono stese reti operative, incistati interessi, create mangiatoie. Si è, insomma, cristallizzato un floridissimo sistema che prolifera sulla pelle degli scolari e passa sopra la testa delle famiglie.

Questo sistema ha trovato tanti e diversi rivoli per attecchire e consolidarsi in modo capillare, sfruttando una retorica martellante fatta di parole magiche e slogan ammaliatori, sempre sostenuta da ossessivi proclami istituzionali ormai interiorizzati e diventati insindacabili in ogni ambiente che si rispetti: e i diritti sessuali e riproduttivi, e le pari opportunità, e la non discriminazione, e gli stereotipi sessuali e sociali, e la violenza contro le donne, e l’omotransfobia, e chi più ne ha più ne metta. Tutte formulette che, ad alzare la mano e provare a spiegare che sotto il trucco onomastico corre un’ideologia implacabile e autoritaria, si diventa ipso facto dei mostri omotransfobici, violenti, integralisti, medievali, patriarcali, e naturalmente fascisti.

Insomma, tutto questo per dire come gli affluenti che portano acqua al mulino della educazione sessuale siano innumeri, alimentati da sorgenti inesauribili (di idee e di denaro) situate per lo più oltreconfine, infine vidimati col bollino di qualità nelle centrali di smistamento nostrane poste nei gangli chiave della burocrazia (presidenza del consiglio dei ministri, ministeri vari con e senza portafoglio).

A puntellare il palco, la solita trappola scientista: la famiglia, declassata a “fonte informale” di educazione, deve cedere il passo alla scuola, eretta a “fonte formale” di insegnamenti che, grazie agli “esperti”, si devono considerare per definizione neutrali e veritativi.

Le linee guida per l’educazione sessuale e la sua articolata rete logistica: Agenda 2030 e nuova educazione civica

Al proposito, vale la pena di ricordare come il libretto di istruzioni predisposto per l’insegnamento della educazione sessuale dei bambini a partire dagli zero anni, «per i governi, per le scuole, per gli specialisti sanitari» (cioè per gli esperti di cui sopra), siano le edificanti linee guida denominate “Standards per l’educazione sessuale in Europa” elaborate nel 2010 dall’ufficio europeo dell’OMS sotto l’egida dell’ONU. Esse illustrano nel dettaglio le informazioni da impartire ai piccoli in base alla fascia di età (per esempio, solo per citare a campione, nella griglia da 0/4 anni si legge: «informazioni aventi ad oggetto gioia o piacere nel toccare il proprio corpo, masturbazione infantile precoce e scoperta del proprio corpo e dei genitali; diversi tipi di relazione e diverse relazioni famigliari; diritto a esplorare la propria identità di genere, ruoli di genere». A 4/6 anni: «informazioni aventi a oggetto amicizia e amore verso persone dello stesso sesso; relazioni con persone dello stesso sesso; sensazioni legate alla sessualità, ecc. ecc.»`. Il documento si trova facilmente in rete (in particolare, si vedano le pagg. 38 e ss.): https://www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.pdf.

Nel 2018 anche l’Unesco – sempre in collaborazione con l’OMS oltre che a varie altre sigle – ci ha messo del suo, pubblicando la “Guida tecnica per l’educazione sessuale” (International Technical Guidance on Sexuality Education), organica all’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile dove si canta di un «legame inscindibile tra qualità dell’educazione, salute e benessere, uguaglianza di genere e diritti umani».

Come sappiamo, l’Agenda 2030 rappresenta il piatto forte della “nuova educazione civica”, materia curricolare obbligatoria a insegnamento trasversale, introdotta dalla legge 92/2019 nonché ingrediente onnipervasivo dei libri di testo di tutte le discipline di studio, dalla storia fino alla matematica, visto che – per utilizzare le parole di Enrico Giovannini, direttore scientifico di Asvis (alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) –  l’agenda non è altro che un «sistema di navigazione satellitare» capace di fornire un quadro di riferimento articolato e coerente entro cui orientarsi in ogni ambito di azione e di pensiero. Praticamente, un testo sacro. Bene. Vale la pena di ribadire come il cosiddetto “diritto all’educazione sessuale e affettiva” sia considerato parte integrante del “diritto alla salute” e rientri «tra gli obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile stabiliti dall’Agenda 2030 come presupposto imprescindibile per la realizzazione di un pieno rispetto dei diritti umani e per l’uguaglianza di genere».

Ed ecco che, girando e girando storditi dai ritornelli, ci ritroviamo al via. Forse ora comincia a essere più chiaro il groviglio inestricabile di pseudo-fonti e fonti vere che assicura ai contenuti in questione – sesso, gender e dintorni – la salda permanenza tra i banchi di scuola, consenso o non consenso che sia.

La sorella per bene dell’educazione sessuale: l’educazione alle relazioni

Ma oltre alla storia antica c’è anche la storia moderna, e quella contemporanea. Già un annetto e mezzo fa, sull’onda del fatto di cronaca nera politicamente più strumentalizzato del secolo, il ministro aveva lanciato il nuovo brand “educazione alle relazioni” con il signor Gino Cecchettin in veste di testimonial, e alla regia un creativo triumvirato formato da una suora, una lesbica e un’altra signora (se ne può leggere qui: https://www.renovatio21.com/il-ministro-la-concia-la-suora-il-circo-della-scuola-tradita/). Poi la cosa era talmente ridicola che, sommerso dai fischi, il progetto ha dovuto battere in ritirata. Ma, com’era prevedibile, solo per prendere tempo e riorganizzarsi meglio. Nel mentre infatti il signor Cecchettin si è fatto fondazione, e ha siglato un protocollo di intesa con il ministero dell’istruzione e del merito. E in questi giorni apprendiamo dall’Ansa che dal prossimo anno in tutte le scuole italiane partiranno i corsi della Fondazione Cecchettin, il cui fondatore ci informa che «serve un nuovo modello maschile, più femminista e meno alfa» sicché, dall’alto dei suoi titoli e delle sue nuove cariche, detta l’agenda: «Vorremmo iniziare in età prescolare e con le prime elementari per insegnare alle bambine e ai bambini ad evitare gli stereotipi e a dire fine alla violenza contro le donne». Tradotto: vorremmo iniziare in età prescolare a inculcare alle bambine la diffidenza e il disprezzo per i maschi, a meno che questi non siano adeguatamente svirilizzati; a inculcare nei maschietti il senso di colpa per il peccato originale della propria stessa natura. In modo che le prime si sentano legittimate a tramutarsi in virago inquisitrici; che i secondi abbraccino lo status di eunuco, o in alternativa reprimano ermeticamente la propria indole (col rischio concreto a un certo punto di esplodere e combinare guai).

Quindi, se da una parte il ministro ci dice di voler ridimensionare l’orgia incontrollata della educazione al sesso e al gender subordinandola all’autorizzazione dei genitori, dall’altra parte spalanca le porte delle scuole di ogni ordine e grado all’educazione al pensiero di Gino Cecchettin nobilitandolo sotto l’etichetta di «educazione al rispetto per la donna e a relazioni corrette» che viene così inserita «per la prima volta come vero e proprio obiettivo di apprendimento, obbligatorio per tutti, nelle nuove linee guida sulla educazione civica», visto che «non ha nulla a che vedere con le teorie sulla sessualità». Sic.

Tra l’altro, mentre il ministro ci dice anche che i soggetti esterni autorizzati a intervenire su argomenti sensibili come la sessualità devono obbligatoriamente essere muniti «di idonei requisiti di professionalità scientifica e accademica», nello stesso tempo un signore il cui unico titolo è quello di essere diventato un influencer a causa di un lutto personale, e di averci eretto sopra una fondazione, viene investito dal nulla del potere di rieducare i figli degli altri su argomenti altrettanto sensibili (cui però è stato dato un altro nome), secondo il suo personale verbo. E fin dall’asilo. Giusto? Abbiamo capito bene?

Grazie del pensiero, ministro, ma noi rivogliamo la scuola

Allora, per tirare le somme, e concludere. L’educazione sessuale forma un tutt’uno col cosiddetto gender e si afferma per molte vie, anche cavalcando il tormentone femminista della donna oppressa, schiava della riproduzione e del maschio prevaricatore. Ha radici storiche e politiche profonde in seno ad organismi sovranazionali che, coperti da subdoli intenti umanitari, hanno fornito mezzi smisurati per equipaggiare un vero e proprio esercito capace di imporre il programma su scala planetaria. Si è propagata nel tempo attraverso una fitta ragnatela di atti, di progetti, di iniziative più o meno estemporanee, ma sempre supportate da risorse economiche imponenti e da un poderoso apparato mediatico. Ha attecchito nelle scuole di ogni ordine e grado assecondando l’estro di maestranze politicizzate, talvolta più caute, talaltra senza freni.

Ora, condizionare l’adesione alle attività didattiche il cui perimetro è circoscritto da quel nome al consenso scritto dei genitori riconosce una legittima e sacrosanta scappatoia alle famiglie che non gradiscano che, a scuola, dei tizi a caso lavino il cervello dei loro figli su argomenti che appartengono alla loro sfera intima e privatissima, violando la sensibilità individuale.

Ma abbiamo visto sopra che ciò che è fatto uscire (e solo per chi lo voglia) dalla finestra rientra in pompa magna dalla porta, basta cambiargli il nome e rifargli un po’ il trucco. E comunque, molto di questi contenuti passa indisturbato dentro le aule, e i libri di testo, e i programmi, percorrendo altre vie che eludono ogni consenso.

Dunque, cambierà ben poco con la riforma in cantiere finché la scuola resta il colabrodo che è, dove entra di tutto fuorché ciò che vi dovrebbe stare ma non ci sta più perché non c’è più spazio. Il problema non è come viene fatta l’educazione sessuale e se a farla sia una butch coi muscoli e i capelli pittati, o una suora à la page, o uno che sta a capo di una fondazione privata. L’educazione sessuale, come quella militare, come quella sanitaria o quella emozionale, o stradale o alimentare o digitale, semplicemente devono uscire dalla scuola. E devono uscirci accompagnate dalla porta principale e non di soppiatto dalla finestra sul retrobottega. La scuola non va riempita di ogni genere di mercanzia a vantaggio dei piazzisti che si accalcano al suo ingresso per rincorrere il proprio tornaconto personale per poi, quando vengano superati – moralmente e giuridicamente – i limiti della tollerabilità, concedere alle famiglie (le poche che ci stanno dietro) di esonerare i figli. Che alla fine, in quante famiglie se ne interesseranno? E se un genitore è a favore e l’altro contro, chi vince? E chi gestirà il traffico dei frequentanti e dei non frequentanti? E i non frequentanti saranno contrassegnati dalla lettera scarlatta perché retrogradi e sessuofobi? E ci saranno due squadre, quella dei libertini e quella dei bigotti?

No, non è questo il criterio per fare ordine in una baraonda senza più punti di riferimento, dove ognuno si inventa il copione che preferisce e lo testa senza scrupoli sul materiale umano che gli passa tra le mani. Il fatto è che scuola si deve fare tutt’altro, e non lo si fa più. Altrimenti si abbia almeno il coraggio di cambiare nome anche a lei, e buonanotte.

Perché, intanto che passano le giornate a farsi risciacquare la testa con le millemila “educazioni” il cui fine è quello di impartire lezioncine morali e di imporre modi di pensare e comportamenti conformi (ovvero di indottrinare), gli scolari non imparano più a scrivere, a leggere, a parlare, a far di conto, ad astrarre. Si dà il caso che l’analfabetismo dilaghi e che le abilità cognitive, in tutte le discipline, siano degradate a livelli imparagonabili a quelli di un passato anche molto recente. Si dà il caso che assistiamo impotenti a un tracollo culturale inarrestabile, che investe risorse espressive, consapevolezza storica, capacità mnemonica, attitudine teoretica, logica e sistematica, abilità di scrittura, comprensione, ragionamento e calcolo.

Allora, di fronte a questo sfacelo, che è incontrovertibile e sotto gli occhi di tutti, invece di pensare a modi obliqui e personalizzati per raggirare idiozie “didattiche” utili soltanto a terzi che con la scuola non hanno nulla a che fare, non sarebbe meglio cominciare a spazzare via il ciarpame che strabocca e si autoriproduce, e tornare finalmente a fare scuola? Ciò richiederebbe in primo luogo riqualificare la figura professionale del docente, promotore del sapere, mediatore insostituibile tra il patrimonio di conoscenze, di senso e di bellezza di cui siamo indegni eredi, e le nuove generazioni. E, con lui, recuperare la centralità delle discipline fondamentali, il cui studio e il cui apprendimento rilascia semi che, maturando nel tempo lungo della vita, educano molto più di mille “educazioni” perché – invece dei desolanti pacchetti prepensati uguali per tutti e, oltretutto, sinistramente precettivi – assicurano gli strumenti necessari per interpretare in autonomia la complessità del reale. In altre parole, assicurano a chi li coltivi il dono della libertà.