I dazi statunitensi e l'inadeguatezza dell'Unione Europea
di Thomas Fazi - 26/05/2025
Fonte: Thomas Fazi
Venerdì, Donald Trump ha annunciato un’imposizione di dazi del 50% sui prodotti dell’Unione Europea, che entrerà in vigore il 1° giugno 2025, a meno che l’UE non accetti significative concessioni commerciali. Questa escalation, rispetto a una tariffa precedentemente ridotta del 20% (ora del 10% fino all’8 luglio), ha scatenato una tempesta di reazioni, dalle resistenze diplomatiche alle turbolenze del mercato.
La proposta tariffaria di Trump colpisce i 550 miliardi di dollari di esportazioni annuali dell’UE verso gli Stati Uniti, rispetto ai 351 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi verso l’UE nel 2022. Citando barriere commerciali “ingiuste” e una bilancia commerciale squilibrata, Trump mira a forzare i negoziati. L’annuncio segue uno schema di retorica commerciale aggressiva, che ricorda il suo primo mandato, in cui i dazi venivano spesso proposti ma talvolta attenuati dopo le resistenze. L’UE, alleato fondamentale degli Stati Uniti e il più grande blocco commerciale al mondo, si trova ora ad affrontare un momento cruciale nella gestione di questo ultimatum economico.
I leader dell’UE hanno risposto con misurata moderazione, manifestando la volontà di evitare una guerra commerciale a tutto campo e preparandosi al contempo alla ritorsione. Maros Sefcovic, Commissario UE per il Commercio e la Sicurezza Economica, ha sottolineato l’impegno per un “accordo basato sul rispetto, non sulle minacce”. Il Primo Ministro irlandese Micheál Martin ha definito la minaccia tariffaria “enormemente deludente”, sostenendo che mina una relazione commerciale vitale e la stabilità economica globale. Il Ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul ha ribadito la stessa posizione, avvertendo che tali dazi danneggerebbero entrambe le economie e sollecitando l’UE a preservare l’accesso al mercato.
L’UE ha già stanziato 108 miliardi di dollari in dazi di ritorsione, prendendo di mira beni statunitensi come prodotti agricoli e macchinari. Questa preparazione riflette gli insegnamenti tratti dal primo mandato di Trump, quando l’UE contrastò i dazi statunitensi su acciaio e alluminio con imposte su whisky e motociclette americane. Tuttavia, le dichiarazioni pubbliche di Bruxelles trasmettono calma, suggerendo una strategia per ridurre l’escalation e prepararsi all’impatto.
I mercati finanziari hanno reagito rapidamente. Dopo l’annuncio di Trump, l’indice STOXX 600 è crollato dell’1,8%, con case automobilistiche tedesche come BMW e marchi di lusso come L’Oréal e LVMH in calo del 2-4%. Anche i future sulle azioni statunitensi sono calati, segnalando un più ampio malessere economico. La Commissione europea, che aveva previsto una crescita del PIL dello 0,9% per l’eurozona e dell’1,1% per l’UE nel 2025 sulla base di un dazio del 10%, ora si trova ad affrontare una prospettiva più cupa. Un dazio del 50% potrebbe gonfiare significativamente i prezzi di beni UE come l’olio d’oliva italiano, il vino francese e le auto tedesche, alimentando potenzialmente l’inflazione negli Stati Uniti e spingendo l’UE verso la recessione.
La ritirata di Trump sui dazi cinesi suggerisce che potrebbe essere aperto al compromesso, ma un’altra inversione di rotta di questa portata è improbabile, per diverse ragioni. Innanzitutto, un’altra inversione di rotta sarebbe politicamente imbarazzante per Trump. Inoltre, l’UE ha meno carte da giocare della Cina. Gli Stati Uniti sarebbero molto meno colpiti da una guerra commerciale con l’Europa di quanto lo sarebbero stati da un confronto con la Cina. Anche se le importazioni europee fossero colpite da ingenti dazi, è improbabile che gli scaffali dei negozi statunitensi rimarrebbero vuoti.
Inoltre, gran parte di ciò che viene etichettato come “export cinese” verso gli Stati Uniti è in realtà costituito da prodotti americani fabbricati in Cina, il che significa che la maggior parte del valore viene assorbita dalle aziende statunitensi. Di conseguenza, sono proprio queste aziende a essere maggiormente danneggiate dai dazi, una delle ragioni principali della retromarcia di Trump. Questo non vale per le esportazioni europee verso gli Stati Uniti.
Ma forse la cosa più importante è che Trump ha ragione quando afferma che l’UE ha adottato pratiche commerciali sleali. Negli ultimi due decenni, e soprattutto in seguito alla crisi dell’eurozona del 2010-2011, l’Unione Europea, pur essendo uno dei blocchi economici più ricchi al mondo, ha sistematicamente soppresso la domanda interna attraverso politiche di austerità, contenimento fiscale e compressione salariale. Questa traiettoria deflazionistica autoimposta (che ha ulteriormente esacerbato la tendenza deflazionistica intrinseca dell’euro) non è stata casuale, ma piuttosto una strategia deliberata volta a rafforzare la competitività dei prezzi sulla scena globale, riducendo al contempo le importazioni.
Di fatto, l’UE ha adottato un modello di crescita ipermercantilista, guidato dalle esportazioni, dando priorità ai surplus commerciali rispetto allo sviluppo economico interno. Questo approccio ha danneggiato sia i suoi cittadini, che si trovano ad affrontare salari stagnanti e servizi pubblici sottofinanziati, sia i suoi partner commerciali – in particolare gli Stati Uniti – che hanno assorbito i surplus di esportazione dell’UE nell’ambito di una relazione economica globale sempre più sbilanciata.
I dazi di Trump dovrebbero quindi essere visti come un’opportunità per gli europei di affrontare finalmente i profondi difetti del modello economico dell’UE, basato sulle esportazioni, una resa dei conti attesa da tempo. Nel frattempo, a breve termine, l’UE potrebbe annunciare un riavvicinamento economico e geopolitico con la Cina, indebolendo ulteriormente la leva finanziaria degli Stati Uniti. Purtroppo, nessuno dei due scenari è probabile. Il risultato più probabile è che l’UE si allinei ulteriormente alla posizione conflittuale di Trump sulla Cina, sperando di ottenere concessioni commerciali dagli Stati Uniti, il tutto nel tentativo di sostenere un modello economico reso sempre più obsoleto dall’emergente ordine mondiale post-liberale.