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Il ddl Zan fa la guerra ai sentimenti e separa gli omosessuali dagli «altri»

di Claudio Risé - 15/04/2021

Il ddl Zan fa la guerra ai sentimenti e separa gli omosessuali dagli «altri»

Fonte: La Verità

I confinamenti uccidono le donne. I dati statistici del 2020 ci raccontano che "nel primo semestre gli assassini di donne sono saliti al 45% del totale (contro il 35% nei primi sei mesi del 2019) e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile 2020. Le donne sono state uccise per il 90% nel primo semestre 2020 in ambito affettivo e famigliare e da partner o ex partner" (Istat). Il Parlamento, però, non appare particolarmente turbato dagli attacchi alle donne, mogli e madri comprese, tra le mura di casa, né  ai problemi psichiatrici emersi (come altrove nel mondo) per mariti e partner-fidanzati durante i lockdown. Niente di tutto ciò (per non parlare poi dei vaccini  che non bastano e del lavoro perduto).
L'urgenza, per i legislatori, sembra essere quella di dare il via alla legge Zan per  impedire e punire l'"omofobia". Sentimento complesso, che la Treccani definisce: "Paura dell'omosessualità, sia come timore ossessivo di essere o di scoprirsi omosessuale, sia come atteggiamento di condanna dell'omosessualità." Sembrerebbe insomma che da una parte o dall'altra questa fobia, questo sentimento di avversione alla fine salti fuori. Ma ha senso "mettere fuori legge" un sentimento interiore?
Chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia d'Italia e d'Europa, peraltro, sa che il nostro Paese, assieme agli altri del Sud Europa, Spagna e Grecia, è noto per il suo millenario rispetto per le differenze di "genere", il modo personale di gestire la propria sessualità e la tolleranza per quello degli altri. La fortuna di molte nostre località turistiche (a parte la bellezza) da Capri a Venezia si è sempre giovata dalla tradizionale apertura di popolo e autorità locali verso i numerosissimi visitatori omosessuali. Non è questione di mode umanitarie o politiche, è un fatto di cultura. "Sono un essere umano: non ritengo estraneo a me nulla di ciò che è umano" dice il latino Terenzio in una sua commedia. E gli italiani continuano a pensarlo, come è noto a chiunque frequenti in qualche modo la cultura e il popolo. 
È il modo illustrato (ad esempio) in un'intervista di molti anni fa (ora su Internet) di un giovane Pierpaolo Pasolini al caposcuola della poesia ermetica, Giuseppe Ungaretti. Pasolini, svelto, smilzo e nervoso, cacciato via da poco dal PCI da Casarsa, suo amato paese natale (appunto per una storia di omosessualità), chiede all'abbondante e pacioso Ungaretti, sprofondato in una sdraio su una spiaggia affollata, se pensa che questi comportamenti siano indice di anormalità. Ungaretti risponde sorridendo che "ogni uomo è diverso dall'altro, nella sua struttura fisica e spirituale." E a PPP che insiste chiedendo come lui viva la questione nell'intimità, replica sempre sorridendo, ma con orgoglio: "io sono un poeta e facendo poesia trasgredisco tutte le leggi. Ora che sono vecchio rispetto le leggi della vecchiaia. Che sono, purtroppo, quelle della morte." Ermetico, ma non troppo. Certo più complesso di Fedez, che oggi sventola sui bastioni di Zan. 
Questo è l'atteggiamento storico della civiltà mediterranea sulla questione omosessuale. Purtroppo però del tutto ignorato nell'attuale dibattito, privo di qualsiasi consapevolezza antropologica e culturale, che si è sviluppato nelle beghe politiche, al di fuori delle elaborazioni dello stesso mondo omosessuale, e all'interno delle molto più recenti e strumentali scatole della LGBT, la multinazionale della nuova burocrazia politico/sessuale. Addio, dunque, a momenti anche autocritici  e ironici come la canzone Ossigenarsi a Taranto / è stato il primo errore, composta da Alberto Arbasino per l'attrice e cantante Laura Betti, e avanti con minacciose campagne  contro "gli altri", definiti di default "gli odiatori".
È proprio contro la separazione fra gli omosessuali e "gli altri" che si batterono i grandi artisti omosessuali, finché vissero. Un altro grande rappresentante della cultura italiana contemporanea, lo scrittore, critico d'arte e pittore Giovanni Testori, omosessuale, cattolico, definì (in un'intervista a Gianni Geraci) la nascita di un assessorato con delega ai problemi dell'omosessualità: "una cosa sconcia. Si parla tanto di non separarli dagli altri, e poi si fa un assessorato per loro. Così li si timbra due volte. E poi si spegne l'idea della diversità. Ogni pregiudizio, infatti,” - ribalta la questione Testori - "è una condizione che può essere furiosamente positiva, ricca. Ognuno di noi è diverso. La ricchezza però esce solo se la situazione viene vissuta nella sua drammaticità, se non la si esibisce, ma ci si fa i conti, seriamente." E conclude: "In fondo la vita è sempre mettere in gioco la propria diversità nel modo meno sconcio possibile. E questo riguarda persino i parroci."
Naturalmente questa diversità omosessuale, "ricca", diversa ma non antagonistica agli altri orientamenti, con cui condivide il dramma e la difficoltà dell'esistenza, è precedente alla banalizzazione "gay", della sessualità, al  movimento LGBT, e ai finanziamenti della Open Society del miliardario Georges Soros. Tutte forze che indeboliscono  le persone  identificandole con le loro pratiche sessuali e moltiplicando all'infinito le loro differenze-diritti, e le corrispondenti solitudini e conflitti. "Io sono omosessuale, non sono gay" rivendicava il regista Franco Zeffirelli. "Gay è frutto della cultura puritana, una maniera riduttiva di chiamare gli omosessuali, per qualificarli  come dei pazzerelli". Anche Zeffirelli, come Testori e Visconti, spiegò poi (in un'intervista all'Espresso del 2013) che "essere omosessuale è un impegno molto serio con noi stessi e con la società. Una tradizione antica e spesso di alto livello intellettuale". Lontana dai combattenti televisivi per il decreto Zan. 
Le sessualità burocratizzate nelle lettere LGBT e seguenti vogliono invece spegnere proprio questa consapevolezza del lato tragico della vita, questa forza del riconoscere che solo dalle sofferenze della morte e della trasformazione possono risorgere e trasmettere un'esperienza di umana pienezza. Senza ridurre la vita alla soddisfazione di desideri e pulsioni. La condizione umana non è una soap opera, e la passione non è roba da influencer. La vita è altro, e il tentativo di falsificarla, fallirà. Come sempre.