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Il destino degli europei

di Pierluigi Fagan - 07/12/2025

Il destino degli europei

Fonte: Pierluigi Fagan

Quando nacquero le prime riflessioni geopolitiche, nella Germania secondo Ottocento, stante un clima culturale europeo dominato dal positivismo, si sbandò vistosamente verso un riduzionismo che, nell’introdurre la variabile geografica, faceva perno solo su questa, la geografia era un destino.
Per questo è necessario ricordarsi che nella geografia agiscono gli umani e ciò scrive la storia, la storia, come l’espressione politica nazionale, è influita dalla geografia (come da tante altre variabili) ma non si riduce a questa.
In termini storici, l’attuale fase fotografata dal titolo del WSJ (ma nota alla gran parte degli studiosi seri ovvero non agli opinionisti di giornata), è quella della competizione tra grandi potenze. Quantomeno gli Stati Uniti (che rimane unica superpotenza sommando il primato militare con quello economico), la Russia (che rimane una pari potenza atomica, quindi militare), la Cina potenza economica che si sta armando velocemente, l’India tendenziale potenza economica non ancora militare. Segue una pletora di medie potenze regionali, a volte solo militari, a volte solo economiche stante che prima o poi queste diventano di pari forza anche militare.
Questa fotografia va poi stesa sul tempo, in parte è utile conoscere il passato ma necessario è prevedere qualcosa del futuro. Il futuro ci dice con sufficiente sicurezza che nel 2050 ci saremo quadruplicati dal 1950 e quello che chiamavamo “Resto del mondo” (Asia, mondo islamico, Africa, Sud America) avrà una ampia autostrada di potenziale crescita economica avendo da relativamente poco tempo (per via della globalizzazione) sviluppato forme di economia moderna.
Qui molti non tengono conto che non si tratta di modelli ma di potenzialità. Il non-Occidente ha bisogno di tutto, dalle infrastrutture al consumo individuale, cioè, tenore di vita, l’Occidente ha già più o meno tutto. Lo spazio di possibilità dei primi è enorme, dei secondi limitato. Il che, ai fini del discorso sulle potenze, ci dice che il già “Rest of the World” crescerà per decenni, prima in economia poi in militare mentre il nostro peso nel mondo tenderà a restringersi.
Resa la fotografia film, tornando all’elenco delle potenze, si arriva di solito a porsi la domanda: Europa? Qui si compie un errore che pregiudica ogni comprensione. Tutte le potenze grandi e medie prima citate sono Stati, l’Europa non è uno Stato. Non solo oggi, in tutta la storia delle civiltà, ogni potenza è stata uno stato. Quando i tedeschi si accorsero che non era più idonea la secolare forma del Sacro Romano Impero, stante la potenza francese (ma osservando preoccupati la Gran Bretagna), con un trucco, procedettero ad una frettolosa ma necessaria unificazione: il secondo Reich (1871), si resero “uno Stato”.
Davanti alla constatazione che l’Europa non è uno Stato e quindi non si capisce bene come pensarla dentro una competizione di Stati, si sviluppano tre apparenti soluzioni.
La prima pensa che, pur non essendo uno Stato, Europa potrebbe trovare assemblearmente l’unità dell’intenzione nelle cose geopolitiche (e non solo). Questa idea è del tutto inconsistente. Lo era tempo fa quando la si pronunciava convinti relegando la ragione ad un optional, ma lo è manifestamente oggi alla riprova di alcuni fatti storici, dall’andamento dell’economia (con il vincolo della moneta unica che di nuovo, non ha uno Stato, cosa mai vista), alla de-globalizzazione, dallo sviluppo delle nuove tecnologie, alla guerra in Ucraina, all’atteggiamento verso Israele, la Cina, l’Africa. Europa dell’Est o dell’Ovest, del Nord o del Sud, Stati come la Germania (87 mio) o Malta (0,4 mio) sono troppo disomogenei in geografia, storia, cultura, economia e demografia.
Inoltre, quanto all’intenzione, è chiaro che i più grossi e potenti (Germania e in parte Francia che serve alla Germania per non presentarsi come un Reich europeo di fatto) impongono la loro unilaterale intenzione.
La seconda soluzione sarebbe unire questi 27 o più Paesi eterogenei in tutto con ognuno di loro che non si sogna minimamente di rinunciare alla propria sovranità. Non l’Ungheria, la Francia e la Germania in primis e per l’ottima ragione che ogni Stato coincide (o almeno dovrebbe) col concetto di sovranità, tra l’altro elaborato proprio qui in Europa cinque secoli fa. Non me la sento di perdere tempo a confutare questa idea senza senso. Se uno non studia la storia e tutto ciò che contiene arrivando sino ai fondamentali della consistenza odierna dei 27 soggetti, può pensare che gli asini volino o che 27 Stati di uniranno in vista di un bene comune superiore, chissà come, chissà quando. Per carità, forse con tempo tendente all’infinito si potrebbe anche ipotizzare il miracolo, ma la cosa non attiene alla storia contemporanea o a traguardi prossimi di qualche decennio.
Infine, in reazione al palese fallimento di ogni per quanto confusa idea federalista e a quello molto più concreto dello stato dell’Unione attuale, altri rimbalzano verso il “disfiamo tutto e torniamo a goderci la nostra legittima sovranità nazionale come ai vecchi tempi”. Già, i fatidici “vecchi tempi”. Ora i “vecchi tempi” non sono belli o brutti a prescindere, sono attali o meno e con il mondo complesso attuale e viepiù quello almeno dei prossimi trenta anni, non lo sono affatto. Anche qui forse manca una sufficiente preparazione multidisciplinare che non tratti moneta, economia, militare, ecologia, tecnologia, demografia, cultura, politica e geopolitica una variabile alla volta, ma tutte assieme perché sono cose che noi dividiamo per discipline ma esistono intessute assieme in questo o quel popolo o Stato. Nella realtà concreta.
Ognuna di queste pseudo-idee ha i suoi fan che spesso sono assai pugnaci convinti di possedere la ragione. Dal mio punto di vista di studioso multidisciplinare e realista e stante che non siamo nello spazio di un trattato ma di un semplice post, non so come manifestare il mio scoramento verso non solo tali convinzioni, ma anche la protervia con la quale vengono supportate, ognuna in odio all’altra.
I primi sono semplicemente terrorizzati dal dover rendersi conto dell’ircocervo che è oggi l’UE e viepiù terrorizzati dal pensare ad un mondo senza euro. I secondi, grazie a dio, sono talmente pochi da essere irrilevanti ma non lo è la loro narrazione che agisce non in attualità ma come “fondo remoto di possibilità” che dia senso all’ircocervo. I terzi tirano fuori la Corea del Sud (la Corea del Sud o ogni altro esempio rinvenibile in geografia politica contemporanea può dirsi pienamente “sovrana” rispetto alle grandi potenze?) e i mitici tempi delle politiche keynesiane sovrane che risolverebbero ogni cosa capendo forse un po’ troppo poco di potenze e di mondo nelle varie dimensioni del concetto. Divisi su tutto, tutti e tre sembrano conoscere assai poco di cosa è il mondo e dove va.
Gli europei hanno davanti un destino tragico, ormai lo pensano e scrivono tutti, dagli asiatici agli americani. I 27 Stati del subcontinente sono figli di cinque secoli di geostoria locale che però, oggi, non è più in sincrono la geostoria del mondo che funge da riferimento ultimo: ciò a cui ti devi adattare.
Personalmente, da ormai più di un decennio, sono convinto che gli Stati attuali dovrebbero dar vita a nuove unioni federali (statali in tutto e per tutto, governo, parlamento, sovranità monetaria, economia, militare, culturale etc.) seguendo quelle che Platone chiamava le “nervature dell’essere”, come i macellai che sanno che non importa quanto il coltello è affilato, bisogno seguire certi versi che hanno formato quella carne. Questo verso è la geostoria e quindi la cultura. La nostra è quella latino-mediterranea.
Difficile? Ovvio. Attraente? Assai poco di primo acchito. Alternative? Continuare a prenderci in giro con europeismo e sovranismo e scivolare lentamente nel tritarifiuti della storia. Ma tanto a nessuno interessa davvero questo discorso fatto con realismo consapevole, più o meno a tutti interessa portare avanti la propria idea per quanto inconsistente ma più ancora odiare svelenando su quella dell’altro.
Così finiscono le civiltà, litigando mentre i barbari rumoreggiano alle porte con l’acquolina in bocca per il ricco bottino che li aspetta.
L’amministrazione Trump ha rilasciato, l’altro giorno, il documento sulla sua National Security Strategy, in cui dedica un paio di paginette all’Europa. Il succo è nella frase “Se le tendenze attuali continueranno, il continente sarà irriconoscibile tra 20 anni o meno” ovvero il declino sarà drammatico, irreversibile tanto da rendere gli europei alleati inutili. Ma su cosa basano questa terribile diagnosi?
Si tratta di un doppio registro. Al primo livello riferiscono una fotografia quantitativa di perdita di peso del Pil europeo (EU 27) dal 25% del 1990 al 14% attuale. Non si capisce bene che dati abbiamo usato in quanto dati World Bank (aggiornati 2024) dicono che la perdita di peso è del sistema occidentale nel suo complesso (vedi chart), quello europeo è oggi al 17% e non al 14% e sconta anche l’uscita dal computo della UK (2016-2020).
Tuttavia, anche con queste correzioni, c’è qualche punto percentuale di perdita rispetto US e molti di più sul totale mondo. Si poteva convocare l’austerity neoliberale, la mancanza di investimenti, l’assenza di politica economica, la riduzione dei poteri d’acquisto e la crescita verticale delle diseguaglianze; invece, l’ideologia del paper convoca l’eccesso di normatività.
Insomma, dannazione, gli europei sono ordo-neoliberali e non anarco capitalisti. In più, sono terribilmente arretrati sul piano militare, relativi investimenti e cultura della forza.
Il secondo livello convoca la “crisi di civiltà” ovvero pochi figli, troppi immigrati, "wokismo", censura della libertà di parola e repressione dell’opposizione politica di estrema destra, sovranismi e populismi vari, perdita dei sentimenti nazionali e significato della propria civiltà.
Inoltre, gli europei si sono arenati nel “pasticcio ucraino” (ordito dall’amministrazione Biden) e toccherà agli US ristabilire le più eque condizioni che permetteranno la sopravvivenza Ucraina, altresì scongiurando un eventuale conflitto diretto da russi ed europei.
Le élite europee sono intrappolate in una strategia insensata “Un'ampia maggioranza europea desidera la pace, ma questo desiderio non si traduce in politica, in larga misura a causa del sovvertimento dei processi democratici da parte di quei governi”. Tuttavia, si auspica “la crescente influenza dei partiti patriottici europei” in una inedita combine di “pace e nazionalismo”. Quindi i governi europei dovrebbero spiegare ai propri cittadini che urge meno welfare e più warfare, ma senza inventarsi l’improbabile pericolo russo alle porte intralciando così i disegni strategici americani.
Insomma, il problema dell’Europa è che non è come noi, non la pensa come noi, è ancora attardata sulle linee ideologiche liberals (Obama-Biden).
Infine, visto che, se mostrano qualche confusione sul piano della teoria sono gente pratica, la ricetta strategica atterra a: 1) Spendere molto di più in armi (americane) non potendo più contare sulla benevola protezione americana; 2) aprirsi senza regole al potere commerciale americano deregolandosi del tutto (normativamente, fiscalmente, gas etc.); 3) dimenticarsi eventuali allargamenti NATO e farsi carico del pasticcio ucraino in toto (fornendo armi ovviamente comprate dagli americani, ricostruzione etc.); 4) mostrare maggiore severità verso la Cina; 5) rassegnarsi al fatto che Washington appoggerà le forze politiche sane (destre estreme, sovranismi, populismi, conservatorismi vari etc.) di modo da permettere una maggior convergenza struttural-ideologica.
Il panorama ideologico occidentale oggi oscilla tra l’ordo-neoliberismo europeo, confusamente europeista e questa miscela di suprematismo americano che prendendo atto dell’impossibilità di ripristinare il ruolo americano di “capo del mondo”, vuole rafforzare la sua posizione di polo più potente stringendo i legami ideologici e pratici con il giardino di casa (Sud America) e l’Europa. La Russia non è un problema, la Cina (e l’Asia più in generale) è il problema dell’egemonia-mondo per i prossimi trenta anni.
Se non vi sentite a casa e il cuore non vi batte né per gli ordo-neolib-europeisti, né per questa miscela di “Make America Great Again” (il che dovrebbe essere ovvio visto che qui nessuno è americano, a parte la più generale indigeribilità del trumpismo a vari livelli), forse val la pena di coltivare il né-né (e diffidare di chi "usa" la critica a gli uni per appoggiare gli altri), leggete sopra.
L’ultimo girone dell’Inferno della Commedia europea tutt'altro che Divina, oltre alla VdL, la Kallas, Merz e Macron, ospita anche tutti i trumpisti europei (oltre a tutti gli americani in generale) e in questa selva oscura, ogni diritta via sembra smarrita. Urge nuovo pensiero.