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Il male italiano

di Matteo Castagna - 02/04/2023

Il male italiano

Fonte: Matteo Castagna

Tre milioni di francesi si sono riversati nelle strade e hanno messo a ferro e fuoco le città, incendiando il municipio di Bordeaux, in un moto rivoluzionario che, per numeri, durata e modalità, non si hanno ricordi. Tutti contro Macron ed il governo che ha innalzato di due anni l'età pensionabile. Sappiamo bene che l'Occidente liberale è anestetizzato, succube di un potere che può fare ciò che vuole, imporre regole assurde, rubare e metterci le mani nel conto corrente, imporre leggi folli e giustificare i rincari spaventosi delle bollette e dei beni di prima necessità con una grottesca richiesta di sacrifici a pensionati e lavoratori già oberati dalla pressione fiscale più alta d'Europa.
Riescono, addirittura, con un abile utilizzo della comunicazione pubblica, a propinarci che l'energia ed il cibo abbiano costi da capogiro per colpa di Putin, che ha chiuso i rubinetti e voluto la guerra. Sappiamo, invece, che la responsabilità è delle sanzioni che l'Ue ha imposto alla Russia, ma che, di fatto, pagano i cittadini dei Paesi membri, tramite inflazione e rincari. Noi siamo sempre pronti a cedere. Ci fanno andare in pensione a 67 anni e non a 62 come in Francia, ma da noi i sindacati cosa fanno e a cosa servono? Noi italiani ce lo confidiamo al bar, oppure lo scriviamo sui social. I francesi si spingono oltre. Si ribellano. E noi, sempre con quello spirito disincantato e malinconico, siamo, subito, pronti al confronto piagnone: perché nel Belpaese le persone tartassate ed umiliate stanno sul divano, pur subendone di ogni sorta da una Ue sanguisuga, che ci sta indebitando e dettando un'agenda spaventosa?
Il problema è antropologico. Non abbiamo alle spalle quei secoli di monarchia unitaria e di abitudine a vivere insieme che formano, secondo Renan, la base psichica di una nazione. "Nei “paesi della fiducia”, la critica può spingersi fino a bruschi trapassi e terremoti elettorali. I “paesi della sfiducia” sono immobili, stagnanti, il loro voto è lento, “vischioso”, come si dice da noi. Li spazzano a tratti ondate di furore nichilista, meglio vi prospera il disordine. A un Nord di libera iniziativa e democrazia fondamentalmente sana, si contrappone un Sud perpetuamente in bilico tra miasmi anarchici e tentazioni autoritarie, con economie zoppicanti e le più basse percentuali di popolazione attiva: l’Italia, la Spagna, il Portogallo, il carnevale dell’America Latina. [...]
La riflessione di Leopardi, “Gl’italiani non scrivono né pensano sui loro costumi”, resta, per la nostra classe politica, attualissima. A differenza dai colleghi francesi, nessuno dei nostri capi di Stato, di governo o di partito, sembra preoccuparsi profondamente, al di là dei discorsi ufficiali ed elettorali, dell’Italia come motivo di riflessione, di indagine, di affetto. Alla nave dello Stato in pericolo, Orazio si rivolgeva come ad una persona cara. Mentre i nostri capi di governo e ministri non dedicano all’Italia una indagine, uno studio, un pensiero. Se sono docenti, scrivono trattati scolastici, dispense. Andreotti, il solo ministro con la fama di uomo “colto”, ha gl’interessi di un canonico dell’Ottocento. Un ministro socialdemocratico scrive romanzetti per coprire di immondizie la sua giovinezza fascista. E basta.
Non voglio dire che i ministri francesi scrivano e siano colti, e i nostri no. Poco m’importa di queste gare. Dico che là c’è gente che pensa, e studia, e soffre e s’interroga sulle sorti di quella che, incontestabilmente, e per tutti, è la Patria. E qua, dove nessuno adopera questo nome obsoleto, tutti parlano sciattamente di un “Paese”, che sarà laboratorio di nuove formule, arengo di chiacchiere, forziere da saccheggiare, ma a nessuno viene in mente di farne oggetto di studio di riflessione, di cura affettuosa.
Se è vero (è sempre Leopardi) che “il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci”, è vero anche che gli corrisponde la più cinica delle classi dirigenti che mai si siano viste in Europa. E ciò spiega tante cose". Questo virgolettato che sembra scritto oggi, è stato pubblicato   su "Il Giornale" del 18 gennaio 1980 e firmato da Piero Buscaroli. Abbiamo avuto anche noi gente che pensava e amava la Patria. Ora, stretti dalla svogliatezza borghese o indifferenti per il nichilismo strisciante, oppure perché "tanto non cambia nulla" siamo tutti più o meno consapevolmente un po' Fantozzi e un po' Tafazzi. E il Sistema ride, mentre noi che guardiamo solo al nostro piccolo orticello, siamo troppi ad esser convinti che agisca per il nostro bene.