Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il pentagono adotta la visione del mondo di Trump

Il pentagono adotta la visione del mondo di Trump

di Thierry Meyssan - 11/12/2025

Il pentagono adotta la visione del mondo di Trump

Fonte: Voltairenet

La pubblicazione della Strategia di Sicurezza Nazionale da parte della Casa Bianca capovolge la situazione. Rompe con tutti i documenti precedenti, anche con quello del primo mandato di Trump, del 2017 [1]

I testi hanno entrambi una lunga introduzione, ma mentre quello del 2017 mirava appunto a sostituire la guerra con il commercio, quello del 2025 risponde innanzitutto agli interrogativi su cosa vogliono gli Stati Uniti e di quali mezzi dispongono. È un completo riorientamento della strategia nazionale.

IL RIORIENTAMENTO

Il presidente Trump scrive: «Prima di tutto vogliamo la sopravvivenza e la sicurezza continue degli Stati Uniti in quanto repubblica indipendente e sovrana, il cui governo garantisce i diritti naturali inalienabili dei suoi cittadini e ne privilegia il benessere e gli interessi. Vogliamo proteggere questo Paese, il suo popolo, il suo territorio, la sua economia e il suo stile di vita da qualsiasi attacco militare e influenza straniera ostile, che si tratti di spionaggio, di pratiche commerciali predatrici, di traffico di droga e di esseri umani, di propaganda distruttiva e di operazioni di influenza, sovversione culturale o qualsiasi altra minaccia alla nostra nazione».

Per quanto riguarda la domanda sui mezzi, Trump scrive: «Vogliamo garantire che l’emisfero occidentale conservi una sufficiente stabilità e sia ben governato al fine di prevenire e scoraggiare le migrazioni di massa verso gli Stati Uniti; desideriamo un emisfero in cui i governi cooperino con noi contro i narcoterroristi, i cartelli e altre organizzazioni criminali transnazionali; desideriamo un emisfero che rimanga libero da influenze straniere ostili. Ci impegniamo a evitare ogni intrusione o acquisizione del controllo di beni-chiave, essenziali per sostenere le catene di approvvigionamento critiche, e ad assicurarci l’accesso continuo a siti strategici essenziali. In altre parole, affermeremo e applicheremo un “corollario Trump” alla dottrina Monroe».

Per riassumere, gli Stati Uniti si concentreranno sulla propria zona d’influenza, le Americhe. Vi agiranno come un fratello maggiore e non più come un impero (“corollario Roosevelt”). Le proteggeranno dalle minacce esterne, in cambio si aspettano che gli altri Paesi del continente cooperino alle loro esigenze economiche.

Se sarà così, non attaccheranno il Venezuela, ma le organizzazioni di narcotrafficanti in America Latina, compreso in Venezuela.

Il documento prosegue:

  • «Vogliamo porre fine ai continui danni che attori stranieri infliggono all’economia statunitense, mantenendo al contempo la libertà e l’apertura dell’Indo-Pacifico, preservando la libertà di navigazione in tutte le rotte marittime cruciali, nonché mantenendo catene di approvvigionamento sicure e affidabili e l’accesso alle materie prime essenziali.
  • Vogliamo sostenere i nostri alleati nella salvaguardia della libertà e della sicurezza in Europa, ripristinando al contempo la loro fiducia nella propria civiltà e identità occidentale.
  • Vogliamo impedire che una potenza avversaria domini il Medio Oriente, le sue risorse petrolifere e di gas, nonché i punti di passaggio strategici attraverso i quali esse transitano, evitando anche le “guerre senza fine” che ci hanno impantanato in questa regione a costi esorbitanti».

Per concludere, afferma che gli Stati Uniti devono idealmente tornare a essere «la prima economia mondiale, la più importante e innovativa, generatrice di ricchezza da investire in interessi strategici e di potere negoziale sui Paesi che desiderano accedere ai nostri mercati».

STRATEGIA

Dopo questa lunga introduzione Trump affronta le questioni strategiche. Avverte: questa strategia «non si basa su un’ideologia politica tradizionale. Ha origine innanzitutto da ciò che è utile agli interessi degli Stati Uniti ovvero, in poche parole, dal principio America First».

America first, prima di diventare lo slogan dei sostenitori statunitensi dei nazisti, fu quello del presidente Democratico Woodrow Wilson, all’inizio della prima guerra mondiale, e del conservatore (nel senso anglosassone del termine) Pat Buchanan durante la battaglia contro i seguaci di Leo Strauss.

Trump rende quindi meno insidioso il tema rifiutando sia la definizione estensiva di “sicurezza nazionale”, sviluppata dalle precedenti amministrazioni, sia le tradizionali classificazioni. Si dichiara dunque «non interventista» a priori, sottolineando tuttavia che questa posizione spesso è insostenibile e in tal caso è meglio agire. In definitiva, Trump sostiene un «realismo flessibile».

Scrive: la nostra politica «sarà realistica rispetto a ciò che è possibile e auspicabile nei rapporti con le altre nazioni. Cerchiamo buoni rapporti e relazioni commerciali pacifiche con le nazioni del mondo, senza imporre loro cambiamenti democratici o sociali che si discostino profondamente dalle loro tradizioni e dalla loro storia. Riconosciamo e affermiamo che non c’è nulla di incoerente o ipocrita nell’agire secondo una valutazione così realistica. Come pure nel mantenere buone relazioni con i Paesi i cui sistemi di governo e società differiscono dai nostri, incoraggiando nel contempo i Paesi amici che condividono le nostre stesse idee a rispettare le norme comuni. Questo ci consente di promuovere i nostri interessi».

Questo punto segna una rottura completa con il pensiero delle amministrazioni precedenti. È un ritorno al pensiero tradizionale della vecchia Europa, da quest’ultima abbandonato, come già fecero gli Stati Uniti. Trump predica flessibilità e adattabilità.

Descrive poi le relazioni internazionali, che promuove; la sua visione del mondo, basata sul «primato delle nazioni» e sul «rispetto della loro sovranità». Afferma che non pretende una posizione egemonica nel mondo, ma farà in modo che nessun’altra nazione possa pretenderla. Concepisce la competizione tra nazioni come quella del mercato o dello sport: vinca il migliore!

Afferma che la «sovranità delle nazioni» implica il «ripristino delle frontiere» e la difesa dei «diritti umani» (nel senso statunitense del termine e non nel senso francese di «diritti dell’uomo e del cittadino»).

Afferma inoltre che la «sovranità delle nazioni» non può essere trasferita ad alleanze o organizzazioni intergovernative. Di conseguenza, l’appartenenza alla Nato non può esentare ogni Stato membro dall’assicurare la propria difesa nazionale. Allo stesso modo, l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio non può esentare ogni Stato dal difendere da sé il diritto di aprire nuovi mercati e la sicurezza delle catene di approvvigionamento.

Nulla a che vedere con la strategia del predecessore Joe Biden, per il quale le frontiere e le nazioni erano solo ostacoli al trionfo della «democrazia» [2]; una visione che portava automaticamente al proseguimento della guerra senza fine del presidente George Bush, in attuazione della dottrina Rumsfeld-Cebrowski [3].

LE REGIONI DEL MONDO

Trump sceglie di definire le zone di azione prioritaria. Nel farlo, si esprime rispettando tutti gli interlocutori, e non, come fatto in altre occasioni, disprezzando apertamente i Paesi che non contano, quei «Paesi di merda».

A – Le Americhe

Dopo aver precisato il «corollario Trump della dottrina Monroe», pone la propria strategia sotto il motto «reclutare ed espandersi». «Reclutare» significa avvalersi del maggior numero possibile di partner. «Espandersi» significa desiderare che il maggior numero possibile di nazioni considerino gli Stati Uniti loro partner privilegiato dissuadendole, con vari mezzi, dal collaborare con altri.

In sintesi, si tratta di garantire che la presenza nelle Americhe di partner stranieri, come la Cina, non disturbi le catene di approvvigionamento statunitensi. Ecco perché «è opportuno sottolineare che beni, servizi e tecnologie americani rappresentano un investimento molto più vantaggioso a lungo termine, poiché sono di qualità superiore e non sono soggetti ad alcuna delle condizioni dell’aiuto proposto da altri Paesi».

B – L’Indo-Pacifico

L’Indo-Pacifico produce oggi la metà della ricchezza mondiale, ma le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina sono sempre più squilibrate. Questo perché le regole tra i due Paesi sono state definite quando la Cina era un Paese sottosviluppato, ma anche perché l’economia statunitense è in piena recessione [Trump non lo dice esplicitamente, ma lo lascia intendere].

Vuole quindi rafforzare il Quad (Australia, Stati Uniti, Giappone, India) per assicurarsi che la Cina non conquisti una posizione egemonica.

Desidera inoltre mobilitare le risorse dei partner per lanciare un’iniziativa concorrente alle vie della seta cinesi.

Soffermandosi sulla questione di Taiwan, sottolinea che l’isola gode di una «posizione dominante nella produzione dei semiconduttori, ma soprattutto offre un accesso diretto alla seconda catena di isole, e divide il Nord-Est e il Sud-Est asiatico in due teatri operativi distinti». Per questo motivo gli Stati Uniti implementeranno il dominio economico sull’isola, e al tempo stesso assicureranno di rispettare l’identità cinese di Taiwan e di non sostenere mai alcun conflitto al riguardo. Trump è infatti intervenuto presso Sanae Taiakchi, prima ministra giapponese, chiedendole di smettere di provocare Pechino.

Gli Stati Uniti devono anche assicurarsi che nel Mar Cinese Meridionale nessuno interrompa mai le loro catene di approvvigionamento.

C – L’Unione Europea

In trentacinque anni (cioè non dal Trattato di Maastricht, ma dal completamento del mercato interno) la produzione della Ue è regredita dal 25 al 14% della produzione mondiale. «Ma questo declino economico è oscurato dalla prospettiva molto reale e più cupa della scomparsa della sua civiltà». Il suo ripristino dipende dal controllo dell’immigrazione (alcuni Stati potrebbero presto avere una maggioranza di cittadini non-europei) e dall’abbandono «della sua ossessione sterile per un’eccessiva regolamentazione».

Riguardo alla guerra in Ucraina, Trump scrive: «È fondamentale che gli Stati Uniti negozino una rapida cessazione delle ostilità, al fine di stabilizzare le economie europee, di impedire un’escalation o un’estensione involontaria del conflitto, di ripristinare la stabilità strategica con la Russia e consentire la ricostruzione dell’Ucraina dopo le ostilità, per assicurarne la sopravvivenza come Stato vitale».

Deplora il fatto che «molti europei considerino la Russia una minaccia esistenziale», il che fa pensare a una soluzione della guerra in Ucraina che non sopporteranno.

D – Il Medio Oriente

Questa regione non ha più la stessa rilevanza da quando le «fonti energetiche si sono notevolmente diversificate – gli Stati Uniti sono tornati a essere esportatori netti di energia – e la competizione tra superpotenze ha lasciato posto a una rivalità tra grandi potenze, nella quale gli Stati Uniti mantengono la posizione più invidiabile». «Questa regione diventerà sempre più fonte e destinazione di investimenti internazionali.»

Pur deplorando la rigidità dell’Iran, si compiace di vedere i principali governi combattere il «radicalismo». Pur senza nominarlo, si riferisce allo jihadismo che le amministrazioni Obama e Biden hanno a lungo favorito, sull’esempio dell’Impero britannico.

E – Africa orientale

La strategia degli Stati Uniti in Africa «si è concentrata troppo a lungo sulla somministrazione e la diffusione dell’ideologia liberale. Gli Stati Uniti dovrebbero invece dedicarsi ad allacciare partnership con alcuni Paesi allo scopo di placare i conflitti, favorire relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose e passare da un modello di aiuti a un modello di investimenti e crescita, in modo da sfruttare le abbondanti risorse naturali e il potenziale economico latente dell’Africa».

Gli Stati Uniti, oltre a collaborare per la risoluzione dei conflitti in corso (per esempio tra la Repubblica Democratica del Congo e il Rwanda, e in Sudan) e per prevenire nuovi conflitti (per esempio tra Etiopia, Eritrea e Somalia), dovrebbero, come detto, soprattutto «passare da relazioni con l’Africa, imperniate sugli aiuti, a relazioni imperniate sul commercio e gli investimenti, privilegiando le partnership con Stati competenti e affidabili, disposti ad aprire i mercati a beni e servizi statunitensi.»

CONCLUSIONE

Al contrario della caricatura che ne hanno fatto gli oppositori interni e stranieri, la Strategia elaborata da Trump appare estremamente coerente e ponderata, benché espressa in modo semplice e con inutili riferimenti alle vittorie del presidente.

È in totale continuità con il programma del 2017: porre fine all’«Impero americano». È il primo presidente, da quasi due secoli, a ritenere che il gli Stati Uniti non abbiano nemici. In questo modo si oppone sia agli imperialisti tradizionali sia agli straussiani e ai neoconservatori, ma ancor più ai bellicisti dell’Unione Europea. Sebbene implementi l’esercito secondo il principio si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) intende posizionarsi in modo da non provocare guerre, e assumersi al contrario l’impegno di aiutare a risolvere i conflitti. Anche in questo caso in contraddizione con il motto strategico dell’alleato britannico divide et impera (dividi e domina).

Traduzione Rachele Marmetti