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In difesa della libertà, contro i reati di opinione

di Matteo Simonetti - 17/02/2020

In difesa della libertà, contro i reati di opinione

Fonte: Matteo Simonetti

La situazione è molto grave: il principio-chiave della libertà di opinione è già in pericolo e, viste le attuali tendenze dell’azione politica, tale situazione non potrà che peggiorare. Gli articoli 3, 21 e 33 della Costituzione e l’articolo 19 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo rischiano di diventare carta straccia se non correremo ai ripari.
Ci sono idee di cui una certa parte politica intende proibire il pensiero e la diffusione, in contrasto con i principi basilari espressi dagli articoli sopra citati. Non potendo farlo alla luce del sole e legittimamente, tale parte politica deve ricorrere ad uno stratagemma visto già troppe volte: la menzogna, l’instillazione della paura, la proclamazione dell’urgenza, come sempre accaduto quando le democrazie devono muovere il volgo verso guerre o azioni che sarebbero contrarie alle fondamenta ideali e giuridiche degli Stati stessi. La parte politica di cui parliamo è quella che oggi potremmo definire europeista, globalista, liberalista, progressista, scientista, multiculturalista. Sono i vari noborders, gli adoratori della Open Society, i bruxelliani, quelli che “i diritti lgbtq+ sono un’urgenza!”, gli scalfarottiani, i cirinniani, i boldriniani, i burioniani, gli anpisti e compagnia bella. Tali soggetti politici, legittimati a dire la loro, ci mancherebbe, e per giunta espressione di una parte attualmente minoritaria del popolo italiano, vogliono evitare di sottostare al verdetto elettorale, espressione del processo dialettico, mettendo le idee dei dirimpettai fuorilegge, dichiarandole ora propaggine del male, ora frutto di ignoranza, ora prodotti malsani di soggetti con turbe psichiche. La questione viene quindi risolta da questi soggetti antidemocratici alla radice: i media, la scuola, l’ “intelligentia” devono essere unicamente il megafono delle loro posizioni, delle loro intenzioni, dei loro progetti. Chi si oppone va isolato, mobbizzato, deriso, sanzionato, inquisito, affinché non osi più parlare. Non è oggi possibile sostenere, nella tranquillità che dovrebbe essere garantita del diritto e della legittimità, di essere contro l’omosessualizzazione della società, contro l’invasione dei “migranti” e a favore del ripristino dei confini, contro le scemenze di Greta, a favore di un concetto di Patria quale che sia, contro un mostro giuridico come l’obbligo vaccinale e via dicendo.
Oggi però, nonostante il potere mediatico e culturale sia già effettivamente nelle proprie mani, la “sinistra” globalista, di fronte all’emergere di un dissenso popolare che è espressione di uno smascheramento, si sente mancare il terreno sotto ai piedi. Nuove sensibilità politiche e nuove modalità di accesso alle informazioni pongono in serio pericolo tale egemonia di stampo gramsciano ed ecco che deve essere approntato un sistema di censura che mascheri veri e propri “reati di opinione” da misure urgenti di giustizia sociale e di tutela dell’ordine.
Reato d’odio, Lotta alle Fakenews, Commissione Segre, Legge Antinegazionismo: sono questi i grimaldelli scelti dalle elite contro il riemergere di una coscienza popolare che sta aprendo gli occhi.
Inutile dire che gli strumenti giuridici per punire i veri “odiatori”, chi diffama, chi ingiuria, chi discrimina ci sono già e che ogni sottolineatura, ogni giro di vite, si presentano ad un occhio appena attento per ciò che sono realmente: la fabbricazione di eccezioni, di gruppi “più uguali degli altri” di fronte alla legge, in totale dispregio dei principi della democrazia. Come in una distopia orwelliana tutto ciò viene presentato, ovviamente, come una importante misura a difesa proprio del popolo che la subisce.
Ed è il linguaggio, come in Orwell, a rivestire un’importanza decisiva in tale progetto: ridurre il dissenso a “fascismo”, “razzismo”, “nazismo”, “fobia”, imponendo sia questi termini che una loro accezione fuor di ogni logica, è il presupposto affinché tale inganno politico possa avere successo. In una sorta di coercizione mentale, il richiamo di tali termini agisce nell’inconscio collettivo come un limite invalicabile, come un tabù, come il richiamo del padrone al cane a lungo addestrato, come un riflesso pavloviano.
Ora, ed è il senso di questo scritto, bisogna dire chiaramente che tali strumenti giuridici sono un obbrobrio, che vanno aboliti o fermati sul nascere, che sono espressione di una parte politica che fa violenza sull’altra. Bisogna dire che, in subordine alla loro cancellazione, sia impedito il loro utilizzo come arma censoria e in spregio degli articoli sopra citati. Bisogna che sia eliminata ogni discrezionalità da parte del giudice, attraverso la compilazione di una precisa casistica, attraverso la cui consultazione sia possibile al cittadino non incorrere in sanzioni. Sappiamo ormai da millenni, ne scriveva già Aristotele, che il grado di civiltà di una società si misura dalla forma delle sue leggi: un giudice dovrebbe avere il ruolo di accertare se un fatto si è svolto o meno, non se tale fatto rappresenti o meno un reato. Nel secondo caso la giustizia non sarà mai garantita.
Ora, per quanto riguarda il “reato d’odio”, deve essere chiaro che dire che una certa cosa, un fatto, una persona, un’idea, una fase storica, una posizione politica, un gruppo sociale o una visione del mondo, non mi piacciono, non le approvo, mi ripugnano, le odio, non deve mai essere considerato reato. Si tratta di pensiero, sentimento ed emozione ed essi non sono del tutto o in maggior parte a disposizione della volontà dell’individuo che non ne è del tutto responsabile. Trasformare o riuscire a non trasformare il pensiero e le emozioni in azioni sono invece opzioni a nostra disposizione e di cui abbiamo responsabilità. Noi sottoponiamo a cure o all’isolamento dalla società chi non riesce nell’intento di non rendere automaticamente azione il proprio desiderio. Dire, ad esempio, “a me non piacciono gli omosessuali”, o “vorrei che mio figlio non fosse omosessuale”, o “la diffusione del modello omosessuale presso una cultura porterà alla sua estinzione”, o “la famiglia eterosessuale è l’unica vera, naturale, completa, ed è per questo superiore alle altre unioni artificiali”, o “l’interruzione chimica della maturazione sessuale di un bambino è un abominio”, non è sintomo di odio, ma semplice espressione di una propria opinione, e che pertanto è innocua, legittima, possibile. Se qualcuno invece ingiuria o minaccia un omosessuale, non permette l’ingresso in un locale ad un omosessuale, o non assume un omosessuale perché omosessuale, eccetera, allora deve essere punito, è ovvio, perché l’omosessuale è un individuo come gli altri e in quanto tale tutelato dalla legge. Soprassediamo poi sulle difficoltà di appurare quanto e come una persona odi in fase di istruttoria perché è talmente banale da non meritare approfondimento.
D’altro canto questo “odio” non preoccupa nessuno quando è una certa parte politica che inneggia ad un nuovo Piazzale Loreto al quale far partecipare Salvini, al fatto che nelle foibe ci sia ancora posto, o quando la discriminazione verso le donne riguardi la Meloni, solo per fare qualche esempio. E’ preoccupante anche che questo odio susciti indignazione pari alla capacità di fuoco dei media schierati dall’una o dall’altra parte, e che sono già molti i casi che hanno fatto scalpore e che poi si sono rivelate bufale, come le migliaia di messaggi di odio alla Segre o le uova razziste che colpivano giovani e promettenti atlete di colore.
A proposito di bufale, per quanto riguarda la preoccupazione per le fakenews - quando esse non colpiscano con calunnie, ingiurie, diffamazione, minaccia, soggetti altri, casi per cui già è previsto un trattamento giuridico - non vedo come possano essere un danno per una popolazione che innanzitutto si presuppone matura e capace di difendersi dalla manipolazione, poiché uscita dallo stato di minorità da almeno due secoli, e che infatti vota tranquillamente e paga le tasse, e che secondariamente viene sottoposta bellamente ad una serie impressionante di bufale proveniente dagli stessi politici e dai media di regime. La casistica è ampissima, dalla fialetta di Colin Powell, alle armi chimiche di Gheddafi a quelle di Assad, dalle bugie sul morbillo del ministro Lorenzin - mai smentite - in diretta televisiva. Anche qui è evidente come si tratti di un cavallo di Troia ideato da una parte politica per colpire l’avversario.
Ma veniamo alla “legge antinegazionismo”, ovvero a quella aggravante della legge Mancino che intende punire chi fa violenza o incita all’odio verso qualcuno appoggiandosi alla negazione della Shoah. Anche qui la formulazione della legge consente troppa discrezionalità. O meglio, non la consentirebbe se si osservasse bene il testo, ma la sensazione è che possa essere applicata “allegramente” se non si mettono in chiaro alcune questioni. Innanzitutto bisogna chiarire che uno studioso che, come esito delle sue ricerche, giunga a dire che non si trova d’accordo con le modalità o il numero dei decessi di persone ebree così come tramandate dalla storiografia norimberghiana, non fa questo per “odio”. Ci può indubbiamente essere qualcuno che lo faccia, ma solitamente chi odia, bisogna pur dirlo, non passa decenni nello studio di carte, in visite di archivi e luoghi, nella compilazione di tomi con centinaia di note e pagine di bibliografia. Questo è uno studioso, non un odiatore. L’odiatore di solito mena e offende, ovvero non è razionale, in quanto l’odio è un sentimento profondo e non ha bisogno di pezze d’appoggio costruite in decenni.
Se si scoprissero nelle loro opere delle frasi ispirate dall’odio razziale, o un incitamento alla violenza verso gli ebrei, o la volontà di ricostruire entità politiche dedite allo sterminio o alla discriminazione degli stessi, allora sì, si puniscano i revisionisti olocaustici (“negazionista” è un termine senza alcun senso creato dai loro nemici e non mi risulta esistano revisionisti che neghino che siano morti ebrei innocenti dal 1940 al 1945), altrimenti li si lasci in pace e si permetta di studiare e di diffondere i loro lavori, magari, se ci si riesce, sbugiardandoli poi in pubblici dibattiti. Non si può affermare che un revisionista dell’olocausto odi gli ebrei o voglia danneggiarli come gruppo etnico o culturale o religioso, quando magari allo stesso revisionista, se scoprisse di avere una nonna ebrea non farebbe né caldo né freddo, quando egli non è in grado di riconoscere un ebreo né gli interessa farlo, quando egli è fortemente contrario ad affibbiare al singolo responsabilità di suoi correligionari o compatrioti o di qualsiasi altra provenienza che non siano le sue azioni. Credo che gli studiosi revisionisti concorderebbero nel condannare l’uccisione di un solo ebreo innocente allo stesso modo dell’uccisione di milioni, non avendo modo di pensare il contrario leggendo i loro scritti.
Allo stesso modo si pensi per quanto riguarda l’antisemitismo: se un intellettuale ha portato critiche ad alcuni personaggi chiave dell'ebraismo in maniera circostanziata, come si può accusarlo di antisemitismo o di odio per gli ebrei tutti? D'altronde, se si critica Stalin o la politica bolscevica si è antirussi? Se si critica Arthur “bomber” Harris si è antibritannici? Se si critica Mao si è anticinesi? Se si critica Morgenthau o Roosevelt si è antiamericani? Se critico Cirino Pomicino o Starace o Salvini o Oliviero Toscani o Savonarola si è antiitaliani? Perchè allora se si critica Jabotinski, Zevi o Frank o Netanyahu o Soros o Warburg o Golda Meir si sarebbe antisemiti? Inoltre, perché se si critica un precetto del Corano o uno degli Hadith o una posizione della dottrina cattolica sull'omosessualità, lo si può fare fare e nessuno ci considera anti qualcosa, mentre se solo si riporta un passo controverso del Talmud o sottolinea un altro passo del Deuteronomio si sarebbe antisemiti? Perché ebrei ortodossi possono criticare le politiche israeliane verso i palestinesi e se lo fa un non ebreo allora è antisemita?
La questione è semplice: si può mettere in dubbio la ricostruzione dell’olocausto che ci è stata tramandata da un tribunale di guerra, quello di Norimberga, che ha presentato innumerevoli e rozze irregolarità, che è stato una “prosecuzione della guerra per via giuridica”? Non solo si può, ma si deve!
Quindi, pur colpendo con durezza eventuali effettive manifestazioni, di discriminazione, di rozza argomentazione, così come la “legge antinegazionismo” effettivamente imporrebbe di fare, come si può non rendersi conto che vietare di pensare un fatto, uno solo tra tutti i fatti storici di tutti i tempi e accaduti in qualsiasi luogo, di pensarlo sottolineo, di esercitare il dubbio su alcune narrazioni di esso, di prevedere una verità per legge, solo per esso, è ingiusto, incostituzionale, miserabile e tradisce la storia della cultura occidentale? Come si può non rendersi conto che così facendo si mandano immediatamente al macero, o meglio, ai Bucherverbrennungen, in un colpo solo, Socrate, Bruno, Galileo, Cartesio, tutta la filosofia empirista, gran parte dell'idealismo tedesco, e i principi di ogni costituzione liberale? Come si può continuare ad insegnarli nelle scuole se poi li si sconfessa ogni giorno? Si torni indietro nel tempo e si dica a Cartesio che può dubitare dei suoi sensi, di tutto se stesso, ma non della vulgata norimberghiana! Si vada a dire a Galileo che può mettere in dubbio il racconto dominante del geocentrismo ma non il numero di morti ad Auschwitz! Si vada da Hume e gli si dica che il principio di causalità che mette in dubbio è una quisquilia di fronte al Diario di Anna Frank! Ribadiamo: parlo di pensare, di dubitare, di fare domande, non di dare risposte. La filosofia è fare domande. Vogliamo far fuori due millenni e mezzo di storia del pensiero? Lo si faccia fuor di ipocrisia, dunque: eliminate dalle scuole le discipline Storia e Filosofia e sostituitele con “apologia del pensiero unico”, “come compilare bene un curriculum”, “Bon ton della perfetto cittadino succube”. Fatelo, forza!
In nome di cosa si vorrebbe far questo? In nome di una emergenza fascismo che non esiste? Di una emergenza antisemitismo che lo stesso Osservatorio per l'Antisemitismo sconfessa? O piuttosto certi spauracchi vengono tenuti in vita solo per legittimare l'esistenza di certe associazioni e per colpire meglio, per legge, alcune posizioni politiche che già abbiamo menzionato? Di colpo, soltanto associando queste istanze al “mostro nazifascista”, si fa piazza pulita del possibile accoglimento di tali tematiche. E quale strumento migliore da affiancare a questa Reductio ad Hitlerum se non il più atroce dei delitti, l'olocausto? Quindi in virtù delle leggi razziali, nelle ricostruzioni storiche del pensiero unico, gli italiani, in maggioranza fascisti convinti prima del '43, divengono tutti mostri, anche se i più scaltri dei mostri fanno il salto della quaglia a guerra finita divenendo i guru dell'antifascismo. Quindi i tedeschi, padri della più alta filosofia, della letteratura e della musica di ogni tempo, divengono in maniera antistorica, nel giro di un paio d'anni, tutti barbari sanguinari, incolti e abominevoli incivili. I mostri tutti di là e i buoni tutti di qua. Foss'anche che i mostri erano i nostri bisnonni, che importa? Questa non è storia, è dogma manicheo.
Ma entriamo nel merito con qualche esempio. Si può parlare o no dell'Haavara Agreement? Si può nominare o no la Conferenza di Evian? Si può dire della denuncia della Arendt nei confronti delle elite ebraiche in merito al processo Heichmann? Se ne può parlare solo al bar? Si possono sollevare queste questioni nel luogo deputato alla riflessione sui fatti storici, ovvero la scuola? Si può dire di queste cose solo riunendosi in luoghi malsani al lume di candela e incappucciati, anche se sono pure su Wikipedia? Bisogna essere meno di tre? Dobbiamo dircelo da soli? In che modo questo sarebbe in linea con una cultura che condanna Gestapo, Ovra, Ceka e Stasi? E come giustifichiamo che quando talune revisioni e riflessioni sono fatte da studiosi ebrei valgono, ad esempio se si chiamano David Cole e Norman Finkelstein, e se le fanno altri devono andare in galera?
Se Donatella Di Cesare, filosofa ebrea che si vanta di essere l'artefice di questa legge che considero ignobile, ribadisce in un suo libro che i paralumi di pelle umana e il sapone fatto con il grasso degli ebrei sono verità storiche (“Se Auschwitz è nulla”, pag. 116) mentre il professor Yehuda Bauer dell'università ebraica di Gerusalemme, anch'egli ebreo, dice che sono bufale (Jerusalem Post, 27 Maggio 1990 pag.4), a chi devo credere? Posso dubitare di uno dei due oppure in entrambi i casi sarei un pericoloso negazionista antisemita che sconfessa uno studioso perché ebreo? A questi ed altri quesiti ci deve essere data una risposta chiara, motivata e che sia in osservanza degli articoli costituzionali di riferimento!
Davvero non vi rendete conto del problema insormontabile?
Ribadiamo fino allo sfinimento: non c'è alcun odio da parte di chi sottoscrive questa lettera né verso gli ebrei né verso alcuna persona. Non si vuole giustificare mai la violenza in ogni sua forma. Non si crede poi che riflettendo su tali questioni possano sentirsi offesi i sopravvissuti all'olocausto e i loro familiari, così come non ci si preoccupa dell'offesa che evidentemente non si reca a quelli degli infoibati, dei morti nei gulag, dei morti per fame nell’Holodomor, ai discendenti dei pellerossa, degli armeni trucidati, ai figli dei morti causati dal comunismo cinese, ai discendenti di quelli che hanno subito la Nakba, ai morti di Hiroshima e Nagasaki, a quelli di Dresda, alle milioni di persone cioè che hanno la sfortuna di non essere ebree e che quindi devono accettare ogni storiografia, revisionista o meno, che riguardi i tanti genocidi che la storia ci tramanda. Verso questi revisionisti infatti, non è prevista alcuna sanzione giuridica né tantomeno sono oggetto di mostrificazione. E’ evidente che ci si trovi di fronte ad una odiosa discriminazione. Infatti, nonostante l’articolo 3 della nostra costituzione reciti "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche..." è evidente che ci siano morti di serie A e di serie B, eredi e discendenti di serie A e di serie B, cittadini, insomma, “più uguali di altri” di fronte alla legge. E non si legga quest’ultimo pensiero come espressione della volontà di ampliare la censura includendo altre “verità per legge”, sia chiaro.
Signori, qui siamo in presenza di un vulnus del pensiero democratico. C'è una verità imposta per legge e sappiamo di quali forme di governo è tipica l'imposizione per legge di una verità. O si scaraventa fuori dalla nostra vita questa censura delle opinioni oppure si prenda atto che si tratta semplicemente dell'arma di un potere politico illiberale. Occorre pretendere che si stabilisca con la massima certezza che nessuna legge possa essere strumentalmente interpretata in maniera tale da colpire un'opinione, rendendola reato e che una opinione, quale che sia, vada sempre distinta dalle azioni che una persona compie, delle quali solamente è responsabile. D’altronde già lo sosteneva con la massima chiarezza John Locke nel '600 ma sembra che questi quattro secoli siano passati invano.