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L’AntiEuropa della Ue si dissolve nell’AmEuropa della Nato

di Luigi Tedeschi - 11/01/2023

L’AntiEuropa della Ue si dissolve nell’AmEuropa della Nato

Fonte: Italicum

Un’Europa geneticamente atlantica
La guerra è tornata in Europa. E’ dunque finita l’illusione utopica di matrice illuministica, della pace perpetua fondata sul progresso illimitato e sul libero mercato globalizzato. La fine della storia teorizzata da Fukuyama col sorgere di un nuovo ordine mondiale dominato dall’unilateralismo americano, si è rivelata l’ennesima illusione ideologica, destinata ad essere smentita da una realtà storica che non ha mai cessato di produrre mutamenti nella geopolitica globale e conflitti nel mondo di varia estensione e intensità.
La guerra in Ucraina, quale conflitto indiretto tra Russia e USA, si configura come un evento che si inserisce in un vasto processo di trasformazione dell’ordine mondiale. Dal tramonto dell’unilateralismo americano, sorto in concomitanza con la dissoluzione dell’URSS, potrebbe scaturire un nuovo ordine mondiale multilaterale. Qualunque sarà l’esito della guerra russo – ucraina, è certo che questo conflitto non si esaurirà nel prossimo futuro, così come altri teatri di guerra potrebbero manifestarsi coll’esplodere di tensioni oggi latenti (vedi Kosovo o Taiwan), nel mondo.
Ma nel profilarsi della prospettiva di un nuovo ordine mondiale che abbia come protagoniste le varie potenze continentali, si rileva l’assenza dell’Europa, data la sua consensuale subalternità alla Nato. Dai riferimenti storici ed ideali, quali valori fondativi di una possibile unità europea, quali il Sacro Romano Impero, l’Impero asburgico, le radici cristiane dell’Europa, non sono mai scaturiti miti unificanti compatibili con la realtà del nostro presente storico. Le stesse prefigurazioni teoriche di una unità europea, quali i principi del manifesto di Ventotene o l’idea dell’Europa delle patrie propugnata da De Gaulle, si sono rivelate dei velleitarismi che non hanno avuto riscontro nella politica degli stati europei e, tanto meno, nei trattati istitutivi della UE. Non sono mai esistiti movimenti politici che avessero come finalità la costruzione di uno stato unitario europeo, né l’Europa ha mai costituito un ideale suscettibile di generare una militanza politica nei popoli. L’Europa non è mai stata una patria ideale che suscitasse sentimenti indipendentisti unitari nei popoli europei e non è neppure prevista dalle istituzioni ufficiali europee la creazione di uno stato europeo unitario e sovrano.
Riguardo alla deflagrazione della guerra russo – ucraina, incomberebbero sull’Europa gravi storiche responsabilità. L’Europa avrebbe dovuto svolgere un ruolo di mediazione tra le parti e intavolare trattative diplomatiche che avrebbero potuto scongiurare la guerra, garantendo l’adesione dell’Ucraina alla UE, ma non alla Nato. Una Ucraina neutrale, paese ponte tra Europa ed Eurasia, con una Russia vincolata all’Europa da una indispensabile e vantaggiosa interconnessione economica ed energetica: questo sarebbe stato l’equilibrio politico necessario per assicurare una pace durevole.
Concepire tuttavia un simile ruolo geopolitico dell’Europa, appare, alla luce degli eventi odierni, un’idea del tutto infondata ed astratta dal punto di vista storico e politico. L’Europa infatti non è in grado di svolgere nessun ruolo geopolitico indipendente, perché ad essa manca uno status di terzietà che possa legittimarla a mediare efficacemente tra le parti in conflitto. La UE è una unione di stati soggetti al primato americano nell’Alleanza atlantica. Assumere un ruolo autonomo presuppone una soggettività geopolitica unitaria di cui la UE non è dotata. Pertanto, l’assumere una posizione neutralista tra la Russia e l’Occidente atlantico, avrebbe comportato una impensabile rottura dell’Europa con la Nato. Inoltre, occorre osservare che la UE, non disponendo di armamenti autonomi per la propria sicurezza, tanto meno avrebbe potuto garantire, con un apparato militare adeguatamente dissuasivo, la pace in Ucraina. L’Europa attuale non è geneticamente, né storicamente programmata per assurgere a potenza continentale. Non è stata infatti nemmeno in grado di imporre all’Ucraina il rispetto degli accordi di Minsk, conclusi nel 2014 sotto l’egida dell’OCSE.
L’Unione europea è sorta con la fine dell’eurocentrismo, in concomitanza cioè con il tramonto delle potenze coloniali europee, soppiantate dal primato americano nel mondo, affermatosi alla fine della Seconda guerra mondiale. L’unità europea fu concepita, con una serie successiva di trattati che vanno dalla nascita della CECA fino alla costituzione della UE, come Europa occidentale presidiata dalla Nato, in contrapposizione all’area dei paesi del Patto di Varsavia, dominata dall’URSS.
L’Europa ebbe dunque la sua ragion d’essere in funzione non solo antisovietica, ma anche antitedesca, in quanto gli USA hanno sempre avversato la nascita di una potenza autonoma in Europa alternativa alla Nato. L’unione europea, quale area di influenza americana, trae quindi le sue origini dalla logica di contrapposizione dell’ordine bipolare scaturito dalla Guerra fredda. La UE è pertanto una entità artificiale e fuori dalla storia. Il soft power si affermò quale strumento del dominio esercitato dagli USA sull’Europa. Con la adozione di un sistema liberal – democratico conforme al modello economico e politico statunitense, si diffuse in tutta l’Europa occidentale anche l’americanismo consumista nei costumi e si impose l’ideologia liberal nella cultura. Il radicarsi dell’americanismo nella società europea, comportò pertanto la cancellazione della memoria storica dell’Europa e la rinuncia a qualunque velleità di potenza da parte degli stati europei. In breve, l’Europa fu sradicata dalle sue origini identitarie. Il processo di unificazione europea coincide pertanto con la fuoriuscita dell’Europa dalla storia. La UE è definita da Lucio Caracciolo nel libro “La pace è finita”, Feltrinelli 2022, “AntiEuropa”, quale area geopolitica interna all’impero americano: “Definiamo Antieuropa in senso geopolitico: negazione dell'Europa come potenziale soggetto unitario (sogno europeista) e come centro di poteri transcontinentali, frutto della scelta americana di restare in Europa occidentale dopo la Seconda guerra mondiale. Per erigervi il proprio  informale impero, avanguardia a stelle e strisce nelle immensità d'Eurasia. Riprendendo rovesciata la visione russa della penisola europea protesa nell' Atlantico. Per Mosca, Asia Anteriore (Perednaja Azija), accesso via Mediterraneo e Baltico alle
rotte oceaniche. Per Washington, Subamerica Posteriore, suo spazio già originante tuttora abitato da popolazioni specialmente evolute e consapevoli, da pacificare e integrare nel proprio informale impero. E perciò mantenere sufficientemente divise. Soprattutto, separate dalle ostili profondità asiatiche. In un impero sui generis sullo schema perno (America) – raggi (europei)”.
L’Europa fu quindi consegnata alla ibernazione della post – storia fino ai nostri giorni in cui, con il conflitto russo – ucraino, il ritorno della storia ha provocato un brusco e tragico risveglio europeo. Se l’Europa si è estraniata dalla storia, sarà tuttavia la storia a coinvolgerla nei suoi processi di trasformazione. L’illusione della post – storia, in cui si è confinata l’AntiEuropa, ha avuto lo scopo di occultare l’egemonia americana sul continente europeo. Come ha affermato Lucio Caracciolo nel libro sopra citato: “Refrattari alle leggi storiche, ne riconosciamo però una: chi vuole abolire la storia ne è abolito. Prima viene la storia poi, a distanza, le idee e le controidee volte a imbracarla per reindirizzarla verso i propri astratti fini. Se non verso la sua fine. La dialettica fra europeismo e Antieuropa nelle sue cangianti declinazioni sta a confermarlo. Eterogenesi del fine: sacralizzazione di un'Europa utopica (o distopica, a seconda dei punti di vista) è controcanto d'accompagnamento dell'egemonia americana sul Vecchio Continente. Rivincita della
storia su chi presume di dirigerla”.
Il modello di economia mista assunto dall’Europa post – bellica, contraddistinto dalle libertà democratiche, dal benessere diffuso, dall’istituzione del welfare, fu del tutto funzionale alla strategia americana di contrapposizione al modello totalitario sovietico e alla penetrazione ideologica del marxismo che ebbe largo seguito nella classe operaia dei paesi occidentali. Dopo la fine dell’URSS e l’ampliamento della UE ai paesi dell’est europeo, si attuò in perfetta sincronia l’espansione della Nato ai confini con la Russia.
Con l’avvento dell’unilateralismo americano e della globalizzazione il sistema neoliberista americano fu esteso alla UE, che fu costituita il trattato di Maastricht del 1992, quale organismo sovranazionale che ha progressivamente esautorato la sovranità degli stati. La UE è dunque un organismo senza stato (privo quindi di sovranità politica), un modello di ingegneria economico – sociale neoliberista, la cui governance viene esercitata da elite tecnocratiche che si sono sovrapposte agli ordinamenti democratici e che ha devoluto alla Nato la propria sicurezza.
Ai poteri sovranazionali assunti dalla UE, non ha fatto però risconto un processo di unificazione politica dell’Europa, ma semmai una tendenza sempre più accentuata alla disgregazione interna degli stati in piccole patrie regionali, col risorgere anche di nazionalismi etnici identitari. La guerra in Ucraina potrebbe costituire l’incipit di un processo di balcanizzazione di una Europa disgregata dal riemergere di antichi odi e  rancori tra i tanti nazionalismi etnici conflittuali. La retorica del mainstream riguardo alla ritrovata unità europea sotto le insegne della Nato, è stata smentita dalla realtà di una Europa erosa internamente dal risorgere dei nazionalismi e delle loro velleità espansionistiche. Il nazionalismo polacco infatti prefigura la rivitalizzazione del progetto espansionistico del “Trimarium”, che peraltro è sostenuto dagli USA in funzione antirussa.
La possibile disgregazione della UE comporterebbe peraltro la devoluzione nei fatti della governance politica dell’Europa agli USA, poiché in una situazione di caos conflittuale, solo la Nato potrebbe farsi garante della governabilità dell’Europa. Nella guerra russo – ucraina si ritiene che al momento, gli unici vincitori siano gli Stati Uniti, che hanno stroncato sul nascere qualunque prospettiva di una Europa indipendente dalla Nato, dopo la rottura dei legami sia economici che geopolitici con l’Eurasia. Una Europa depotenziata economicamente e subalterna militarmente alla Nato, è destinata a divenire un’area continentale interna all’anglosfera.
Non è nelle attuali prospettive di Biden la conclusione di una pace con la Russia. Anzi, il prolungarsi della guerra è necessario agli USA per perpetuare quel clima di emergenza bellica che renda l’Europa definitivamente succube della Nato. E’ peraltro coerente con le strategie americane la necessità del sussistere di un nemico assoluto, identificabile questa volta con la Russia di Putin, poiché in tal modo può rinsaldarsi, in funzione russofobica, il vincolo di subalternità europea agli USA. Del tutto conforme alle strategie di dominio americano è del resto l’ideologia europeista, che proclama la necessità, l’indispensabilità, l’irreversibilità dell’unione europea, che comporta ineluttabilmente l’adesione incondizionata alla Nato, all’anglosfera, all’Occidente americano. L’ideologia europeista sussiste, al fine di occultare la realtà del bluff di una unità europea, storicamente convertitasi in AntiEuropa. Ma il dogma ideologico europeista che diffonde la falsa immagine di una Europa culla dei diritti umani, assediata dalla   autocrazia russa, ha una funzione manipolatrice della attuale realtà storica ben più rilevante: quella di  esorcizzare la reale dissoluzione progressiva della UE e con essa, l’irreversibile decadenza dell’intero Occidente.

Germanofobia e Anglosfera
La guerra russo – ucraina ha determinato grandi mutamenti in Europa, specialmente riguardo al ruolo geopolitico della Germania nel mondo. Con la Ostpolitik del cancelliere Willy Brandt, la Germania intraprese un percorso di pacificazione, espansione commerciale nei paesi dell’est europeo ed interdipendenza economico - energetica con l’URSS. La Germania quindi riassunse un ruolo di centralità geopolitica nel contesto europeo, oltre ad esercitare la funzione di paese garante degli equilibri tra l’ovest e l’est europeo, nell’ambito del bipolarismo USA – URSS nell’era della Guerra fredda.
Dopo il crollo dell’URSS e la riunificazione della Germania, l’espansione dell’area di influenza tedesca si estese a tutta l’Europa dell’est e si rafforzarono i vincoli di interdipendenza economica ed energetica con la Russia con la costruzione dei gasdotti Nord Stream 1 e 2. La politica di apertura all’est dei cancellieri tedeschi Kohl e Schroeder si accentuò con Merkel, il cui obiettivo fu quello di istituire un partenariato con Mosca, con la prospettiva di integrazione della Russia nella “casa comune europea”. L’orientamento della politica estera tedesca mirava ad un rapporto sempre più stretto con Mosca, al fine, non solo di favorire l’apertura di rotte commerciali verso la Cina per l’export tedesco, ma di controbilanciare l’influenza geopolitica degli USA in Europa.
La Germania, quale potenza economica, ma priva di ambizioni geopolitiche espansioniste, non avrebbe dovuto suscitare l’ostilità degli USA, sempre avversi all’emergere di una potenza europea in contrasto con gli interessi americani. Tuttavia la politica di Merkel si rivelò incompatibile con le mire strategiche dell’Occidente.
Infatti, nell’est europeo (area in cui ebbe luogo una grande espansione industriale tedesca), la Germania si affermò come potenza economicamente dominante, ma a questa egemonia non corrispose però un suo primato politico. I paesi dell’est Europa, così come i paesi baltici, furono inclusi nell’area occidentale e l’espansione della Nato ai confini con la Russia rivelò palesemente gli obbiettivi di una strategia americana volta a contrastare non solo la Russia di Putin ma anche la potenza tedesca.
Nella guerra ucraina del 2014, la Germania assunse inizialmente una linea filo atlantica, dato che l’inserimento dell’Ucraina nel contesto occidentale costituiva una occasione propizia per l’annessione dell’Ucraina stessa nella sua area di influenza economica. L’atteggiamento della Germania divenne poi assai ambiguo. Intraprese una politica di distensione nei confronti di Mosca al fine di preservare i propri interessi economico – energetici.
Irrilevante fu il ruolo della Germania nell’invocare il rispetto da parte ucraina del trattato di Minsk, così come lo fu l’intervento pacificatore del presidente Steinmeier in Ucraina. La Germania è stata anche inizialmente riluttante nel fornire armi all’Ucraina e nell’approvazione delle sanzioni alla Russia, ma l’intento di Scholz di “creare una pace senza armi” si è rivelato uno slogan privo di contenuti.
La fine del vincolo di interdipendenza con la Russia, coincide con il declino della potenza tedesca. Il suo primato economico verrà meno a causa del caro energia, che renderà il suo export non competitivo e della politica protezionista di grandi incentivi distorsivi della concorrenza alle imprese americane per l’innovazione green messa in atto da Biden al fine di destrutturare l’industria europea. Inoltre, in una Europa fagocitata dalla Nato, la Gran Bretagna, seppure paese extra UE dopo la Brexit, finirà per assumerne la leadership, quale interlocutore privilegiato europeo degli USA, dato il declassamento politico di una Germania, che da sempre in Europa ha dovuto contrastare la germanofobia anglosassone. La Germania e con essa tutta la UE, verrà dunque assorbita nell’area geopolitica dell’anglosfera.
Lo stesso primato europeo della Germania è oggi insidiato dalla Polonia che, in virtù del sostegno statunitense in funzione antirussa, oggi non fa mistero della sua antica germanofobia, col rivendicare nei confronti della Germania il risarcimento dei danni di guerra per 1.300 miliardi di euro. Occorre infine rilevare che, dopo gli attentati ai gasdotti Nord Stream 1 e 2, l’attivazione del gasdotto Baltic Pipe sulle coste polacche del Mar Baltico, mediante il quale verrà importato in Europa il gas norvegese, potrebbe instaurare una dipendenza energetica della Germania e della UE dalla Polonia.
In realtà la Germania ha vissuto dal dopoguerra in poi in uno stato di permanente contraddizione che con la guerra ucraina ha finito per manifestarsi. La Germania si è affermata come potenza economica espandendo il suo export sia in Eurasia che in Occidente, ma nel contempo, si è consegnata alla post – storia, devolvendo la propria sicurezza militare alla Nato e delegando la sua politica estera agli USA. Tale status di “potenza civile” si è rivelato incompatibile con le strategie geopolitiche espansioniste della Nato e l’era della post – storia è venuta meno con questa guerra indiretta tra gli USA e la Russia.
Il gigante economico tedesco è da sempre un nano politico nel contesto mondiale. Tale deficit politico – strategico della Germania, è ben descritto in un articolo di Andreas Heinemann – Grueder apparso su “Limes” n. 10/2022 dal titolo “Noi tedeschi vogliamo la pace ma otterremo solo più guerra”: “Dal canto suo, la Germania non ha perso soltanto il ruolo di ponte tra Est e Ovest, ma anche la posizione di guida all'interno dell'Unione Europea. La Turchia ha assunto il ruolo di mediatrice con Mosca che le spettava in passato. La disastrosa mancanza di lungimiranza strategica della classe politica tedesca e i suoi tentennamenti hanno danneggiato in modo duraturo le capacità persuasive del paese. Oggi Berlino non può più stabilire l'agenda europea verso la Russia. Il controllo del suo indirizzo è stato assunto dalle potenze anglosassoni e dai paesi dell'Europa orientale”.
In Germania, col declino del primato economico, si riproporrà la questione tedesca. Così come nella UE potrà generarsi una profonda spaccatura tra il fronte degli stati dell’est (unitamente ai paesi baltici e scandinavi), filo atlantici e russofobi, e il fronte costituito dai paesi dell’area dell’ovest e di quella mediterranea che invece propendono per una convivenza pacifica con la Russia, allo stesso modo, potrebbe sorgere una aspra contrapposizione tra i tedeschi dell’ovest filoccidentali e quelli dell’est filorussi. Dalla riunificazione non è sorto un nuovo stato tedesco unitario, ma semmai una Repubblica Federale tedesca allargata ai laender della ex DDR, i cui abitanti si sono sempre ritenuti tedeschi di serie B. Se la conflittualità interna alla UE potrebbe condurre alla sua dissoluzione, specularmente l’accentuarsi della contrapposizione tra tedeschi dell’ovest e dell’est potrebbe determinare alla lunga la destabilizzazione interna della Germania, che peraltro è già erosa da contrasti regionali tra i laender ricchi e quelli meno sviluppati. Tali contrapposizioni potrebbero incidere in futuro sulla sussistenza stessa della unità nazionale.

La parabola di Putin è al tramonto?
L’ “operazione speciale” di Putin in Ucraina si sta rivelando fallimentare. Dopo l’insuccesso iniziale della guerra lampo, Ucraina e Russia si sono impantanate in un conflitto logorante che non avrà vincitori. Se Putin non arriverà mai a Kiev, Zelenski non riconquisterà né la Crimea né il Donbass. Il protrarsi nel tempo della guerra può solo favorire la strategia degli USA, che, oltre a ricondurre l’Europa nell’area atlantica, senza alcun impegno diretto nel conflitto, hanno messo in atto un’azione intensiva di logoramento militare ed economico nei confronti di una Russia, che sta evidenziando tutti i suoi limiti, sia militari che politici.
Dopo la dissoluzione dell’URSS e il tragico default russo di Eltsin, l’ascesa si Putin ha condotto la Russia, oltre che alla riconquista della propria indipendenza nazionale, anche al suo ritorno da protagonista sulla scena geopolitica mondiale. La politica di Putin è improntata al pragmatismo, quello russo è un capitalismo, almeno in parte, controllato dallo stato. Non esiste una dottrina politica putiniana. Ma nel confronto con le altre potenze mondiali, USA e Cina, la Russia evidenzia gravi carenze, sia nel campo militare che in quello economico. La sterminata ricchezza di materie prime e l’avanzato progresso scientifico di cui la Russia dispone, non hanno avuto una adeguata ricaduta nello sviluppo economico. Occorre rilevare che il divario di sviluppo economico tra l’Unione Sovietica e l’Occidente fu una delle principali cause del collasso dell’URSS.
Dopo 20 anni di permanenza ai vertici del potere, col probabile fallimento politico della guerra ucraina, la stagione di Putin potrebbe volgere al tramonto. Si potrebbero allora verificare rilevanti mutamenti interni nel sistema politico, che tuttavia non daranno luogo ad una destabilizzazione istituzionale della Russia. Quest’ultima necessita di profonde riforme sia sul versante economico e che su quello politico. Occorrerebbe soprattutto porre fine al potere economico e alla influenza politica degli oligarchi, classe parassitaria sorta in concomitanza della fine dell’URSS. Tra i fattori che hanno influito sul mancato sviluppo economico della Russia, occorre rilevare l’assenza nella società russa di un diffuso ceto medio produttivo.
La fuga dalla Russia di migliaia di cittadini per sfuggire alla mobilitazione parziale, ha messo in luce come il soft power invasivo dell’americanismo occidentale abbia contaminato anche la società russa, specialmente le giovani generazioni. E’ questo un fenomeno preoccupante, riguardo alla salvaguardia delle radici culturali e della identità nazionale della Russia.

L’AntiEuropa si dissolve nell’AmEuropa
Qualunque esito avrà questa guerra e le evidenti carenze strutturali messe in luce dalla Russia, oggi potenza mondiale dimezzata, il declino dell’Occidente appare ormai irreversibile. Il sistema neoliberista, eroso dalla recessione e da una inflazione incontrollabile si sta sfaldando di pari passo con la globalizzazione, che ha evidenziato tutte le sue carenze e fragilità con la crisi pandemica, con il caro energia e la guerra. Il primato economico e politico degli USA è insidiato dall’emergere delle nuove potenze continentali di un BRIC sempre più allargato.
Ma soprattutto l’Occidente è dilaniato da un processo di dissoluzione interna. Il modello di società neoliberista è in via di sfaldamento, col manifestarsi di fenomeni di smembramento interno degli stati occidentali (in primis gli USA), a causa della sempre più accentuata contestazione della deriva oligarchica del sistema politico occidentale e della degenerazione etico – morale di una società dominata dall’individualismo relativista assoluto.
L’AntiEuropa si è dissolta nell’AmEuropa: era il destino ineluttabile di una Europa identificatasi con la UE. L’era della post – storia in cui era stata ibernata l’Europa volge al termine. Ma in questa Europa, priva di sovranità, di identità e di dignità, la “cancel culture” dilagante non potrà mai annientare la sua storia, né far venir meno la configurazione geopolitica di un continente eurasiatico proteso verso il Nord Africa e il Medio Oriente. L’impossibilità di integrare l’Europa nell’Occidente atlantico è ben argomentata da Franco Cardini in un suo articolo dal titolo “Cavalieri d’America: <<i valori dell’Occidente>>”: “Qualcuno ha detto e scritto, su organi mediatici della “destra”, che io sono “antiatlantista” e “antiamericano” e che all’“Euramerica” preferisco l’“Eurasia”. Sia chiaro che non sono un eurasiatista, ammesso che un eurasiatismo come valore politico esista. Certo, all’Euramerica e al suo cane da guardia, la NATO, preferisco l’Eurasia: ma proprio in quanto ostinatamente credo alla possibilità che l’Europa ritrovi le sue autentiche radici e che sappia costruire in futuro una solida compagine indipendente dai blocchi che si vanno configurando e fra loro mediatrice in funzione di una politica di pace. Nel loro sistema di costruzione dell’America come grande potenza nel contesto dei blocchi contrapposti, gli USA non ci lasciano sufficiente autonomia: né, pertanto, ci lasciano scelta. Se non vogliamo restar subalterni (e uso un eufemismo) bisogna stare dall’altra parte nella prospettiva di rimanere autonomi e sovrani: sarà poi loro compito rimediare agli errori fatti e recuperare la nostra fiducia, ma per questo momento non c’è spazio. In questo momento sostengo pertanto la necessità che l’Occidente à tête americaine non consegua il disegno della Casa Bianca e/o del Pentagono di stravincere sul mondo eurasiatico reimponendo un’egemonia ch’è storicamente tramontata in modo irreversibile e attuando le strategie e le tattiche del totalitarismo liberista, il più subdolo ma non il meno infame dei totalitarismi (e ce lo sa dimostrando nell’Europa d’oggi: tentando di fare strame di qualunque libertà di pensiero degradandone sistematicamente le espressioni a forme di fake news, facendo il deserto su qualunque differenza di giudizio e chiamando tale deserto “democrazia”). Certo che, al limite, una tirannia lontana è un male minore rispetto a una tirannia vicina e incombente. Ma il fatto che il totalitarismo occidentale sia quello del “pensiero unico” e della negazione di troppi diritti sostanziali dei più (a cominciare non dalla ricchezza, bensì dalla dignità civile e sociale) nel nome del diritto di sfruttamento da parte delle lobbies conferisce alla “tirannia vicina” che ci minaccia un carattere particolarmente odioso: e il fatto che essa, almeno per il momento, possa permettersi il lusso di forme di “libertà” nella sostanza irrilevanti se non addirittura socialmente illusorie e pericolose anche perché utilizzate come anestetico morale di massa la rende ancora più infame”.