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L’omofobia è una patologia molto seria di cui il ddl Zan non si prende cura

di Claudio Risé - 25/05/2021

L’omofobia è una patologia molto seria di cui il ddl Zan non si prende cura

Fonte: La Verità

È giusto e sensato condannare e mettere all'indice una malattia psichiatrica, riconosciuta come tale da tutti i principali manuali internazionali? Ed è decoroso che ciò avvenga in Italia, 43 anni dopo l'approvazione della legge Basaglia, che ha portato uno sguardo rispettoso verso chi vive una sofferenza psichica, per il quale lo psichiatra triestino chiedeva comprensione e accoglienza? Si badi che l'omofobia, con il suo sequel di bi, trans e altre fobie del decreto Zan, non è un residuo fascista o una pratica della destra extraparlamentare come sostenuto dalla vulgata corrente, che nulla sa né di fascismo né di psiche. È una sofferenza psichica, quasi universalmente presente da sempre, prodotta nello sviluppo fisico e psichico preadolescente, che provvede poi di solito a risolverla e integrarla in sintonia con l'Io adulto. Quando ciò non accade, diventa l'"omofobia" descritta nei manuali diagnostici internazionali: la paura dell'omosessualità, eco di un problema personale. A lanciare l'intera società "contro" questa fobia individuale è il "buon" decreto Zan, presentato come monumento di civiltà mentre è strumento di divisione e rissa per il potere. Come notato da lavori scientifici internazionali, queste leggi sono mezzi di repressione attiva verso l'"omofobo", additato come nemico. In esse si programma un'educazione dei giovani, finanziata dallo Stato, che blocchi nei giovanissimi con interventi psicologici o chimici il superamento personale del problema. Non proprio un piano per l'unione sociale e convivenza civile.
La campagna LGBT, con il suo seguito di politici sfiatati, è stata abile nel presentare l'omofobia come "crimine d'odio". La cosa sembra passata senza grandi obiezioni. Sarebbe però meglio se politici e Massime Autorità (per non parlare dei media), verificassero il significato delle parole. Perché fobia significa certo: "avversione, ostilità, fastidio” etc. (Mai comunque odio, categoria invece usata dal benpensantismo corrente, per reprimere meglio, e far soffrire in nome della bontà). L'avversione e ostilità dell'omofobo però non sono suscitate dall'odio per l'altro, ma dalla paura per se stessi. Il fobico avversa  qualcosa non perché la odia, ma perché la teme, ne ha una paura tremenda. La fobia non è un programma d'attacco ma una difesa di sé (come ha mostrato lo psichiatra GiovannI Jervis). Già questo basta a far capire come tutta la pseudo cultura anti omofoba sia falsificata e basata sull'ignoranza.
Il sentimento di terrore omofobico è suscitato nella psiche umana da un preciso archetipo: il dio Fobos, generato (nella mitologia greca) dalla relazione clandestina di Venere Afrodite, dea della bellezza e dell'attrazione sessuale, con Marte, dio della guerra. È un atteggiamento dominato dal vissuto di sessualità mista a pericolo, da affrontare con una difesa sentita come sacra. L'eroe e Re ateniese Teseo ad esempio fa un sacrificio a Fobos prima di proclamare la difesa della città dall'esercito delle Amazzoni, schierato di fronte a Atene. Il mondo della fobia non è dominato da malvagità o interessi individuali, ma da timori personali originati in contesti più ampi, appunto archetipici: il mondo del sacro e della divinità (Venere e Marte, femminile e maschile, la sessualità umana), la natura e lo spazio (paura dell'aperto o del chiuso), il timore dello sporco e l'aspirazione alla pulizia: tutti conflitti primordiali del corpo, generatori di fobie, con le quali si può trovare un accordo già dalla fine dell'adolescenza.
Qual'è allora la fobia/paura che compare più spesso in quel periodo? La paura di desiderare il proprio sesso. Anche perché apprezzare il corpo (e la psiche) corrispondente alla propria identità sessuale, per un individuo ancora in formazione è del tutto naturale, anzi necessario. Come potrai vivere bene il tuo sesso se non lo ami? Ciò però fa paura perché in quel periodo (una volta lo si chiamava saggiamente "di latenza", e lo si proteggeva con discrezione) ha già preso forma l'orientamento verso l'altro sesso. Una spinta profonda verso l'altro da sé, diverso fisicamente e psichicamente, da sempre iscritto nella psiche umana, e accompagnato fin dall'infanzia da importanti progetti e aspettative affettive ed esistenziali. Il preadolescente vive così una scissione nella quale l'interesse per il proprio sesso si scontra con la paura di rovinare il rapporto con l'altro.
Storicamente (fino a pochi anni fa) la questione è stata risolta dalla società non interferendo in questo conflitto dei giovanissimi, che del resto se lo tenevano il più delle volte per sé.  Si lasciava "fare alla natura", anche perché questa portava quasi sempre all'unione con l'altro. Di questi conflitti e tragitti rimangono ottime descrizioni letterarie, e le sapienti raccolte antropologiche sul folklore, spesso osceno) infantile, che oggi il politically correct destinerebbe subito al rogo. Questo materiale conferma come l'omofobia nasca dalla paura che l'omosessualità suscita negli adolescenti, generandone poi il rifiuto quando ne sono attratti. È per questo che LGBT insiste per parlare con i preadolescenti: è lì, in effetti, che si gioca la partita. A documentarlo c'è tutta l'ampia letteratura sull'adolescenza (anche Agostino, di Alberto Moravia, o i racconti di Mario Soldati), di valore letterario e  clinico.
Poi è arrivato lo sconquasso provocato negli ultimi cinquant'anni dalle leggi sulla famiglia, il divorzio, l'espulsione del padre dal rapporto coi figli, l'aborto (le stesse leggi approvate 230 anni fa dalla rivoluzione francese, e poi abrogate dopo poco dal Codice napoleonico, rimasto in vigore fino a 50 anni fa). Un ribaltamento dell'affettività umana che ha confuso le idee, e abbandonato i giovanissimi. Infine il lancio da parte di grandi centri di potere economici del gruppo di pressione oggi più potente: LGBT, il cui obiettivo finale è quello menzionato anche nel decreto Zan: l'autodichiarazione del proprio sesso. Una perfetta conclusione della "decostruzione" iniziata con le leggi sulla famiglia: anche quelle presentate da gruppi allora minoritari nella società, ma con il sostegno dei Parlamenti.
Questo ultimo atto, però, si oppone al passo biblico: "maschio e femmina li creò", e apre al mondo della distruzione e del caos. Di cui fa parte anche la folle idea di fare un decreto contro un disagio mentale, scambiando per odio la sofferenza provocata da pulsioni indesiderate, contrarie all'Io. Ma (ha scritto l'autorevole e liberale Rivista canadese di sociologia) "accusare abusivamente qualcuno di essere pazzo o malato aumenterà solo le sue difese e la sua ostilità, e renderà impossibile ogni dialogo con lui".
Puniamo piuttosto le (pochissime) violenze contro omosessuali con le (moltissime) leggi già fatte, e lasciamo che ognuno riconosca la propria sessualità, come è sempre accaduto. "Siamo semplicemente come siamo", scriveva nel suo diario André Gide, grande scrittore omosessuale. Il resto è abuso di poteri opachi, in cerca di legalizzazione.