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L'oro delle acque di Gaza

di Federico Mosso - 02/10/2025

L'oro delle acque di Gaza

Fonte: Federico Mosso

Tempo fa, ispirato da letture su vecchie riviste impolverate, prendevo appunti sulle acque palestinesi di Gaza, e i suoi tesori sommersi ambiti dai sanguinari predoni dei nostri tempi. 
"Ma c’è un’ultima vecchia rivista che cattura la nostra attenzione: Oil Magazine, un bimestrale uscito dal 2008 al 2017, poi sostituito dall’attuale We World Energy. Il numero di Oil Magazine che sfogliamo è dell’aprile 2016 e ha come titolo Mediterraneo a tutto gas. 
Al suo interno, c’è un prezioso contributo del Professor Franco Cardini, un auspicio nelle relazioni est-ovest: La diplomazia del dialogo – Tra Europa e Oriente, un rapporto che travalica i secoli, e sono magnifiche visioni storiche sulle strategie di apertura verso le sponde meridionali del Mare Nostrum che iniziano nella narrazione di Cardini con l’incontro nel 1219 a Damietta – oggi terminal di liquefazione egiziano – tra Francesco d’Assisi e il sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil e proseguono con la diplomazia delle Repubbliche Marinare e di Federico II Stupor Mundi, con gli emissari occidentali in viaggio verso la Persia e in udienza presso i khan tartari, nella via intrapresa dal mercante veneziano Marco Polo verso il Celeste Impero, coi padri missionari in tour nelle Indie Orientali, con le ambascerie del divano ottomano nel Corno d’Oro, con l’Italia “molo” mediterraneo di commerci, incontri, scontri, per concludere con i progetti colossali di Enrico Mattei e le intenzioni di Giorgio La Pira coi suoi Colloqui Mediterranei.
Ma in definitiva il tema principale del magazine che si sta sfogliando è: nel Mare Nostrum Orientale ci sono tesori energetici che non aspettano altro di essere recuperati da ENI. Una ricchezza definita “dormiente” che fa gola agli stati che si bagnano in quell’area mediterranea ribattezzata bacino del Levantino; Egitto, Cipro, Libano e naturalmente Israele. All’epoca (si tratta di dieci anni fa), l’occasione veniva vista come una grande opportunità, anche politica, una speranza (finita poi gettata alle ortiche) di stabilizzazione regionale, un tassello nel percorso di pace mediorientale forgiato con il gas estratto dal mare. Illusioni. 
E difatti nel 2016 il ministro israeliano dell’energia Yuval Steinitz auspica che, grazie proprio ai giacimenti marini, tutta l’area mediorientale sia tranquilla e pacifica, come l’Europa. Per favorire stabilità economica e quindi politica, viene in aiuto l’armonia dell’idrocarburo. Accipicchia che gufata.
Il Mediterraneo Orientale è un hub del gas, un centro nevralgico euro-levantino. Con l’energia si riscrive il futuro geopolitico dell’area. Le acque sono divise in settori, penna e righello tracciano linee decise. Gli Stati operano nelle loro acque territoriali, e talvolta gli Stati sconfinano per mettere mani a ciò che non li appartiene. I giacimenti hanno nomi mitici. Aphrodite di Cipro, Zohr d’Egitto, il giacimento gigante, tesoro dei faraoni, Tamar, Karish e il ricco Leviathan di Israele, migliaia di miliardi di metri cubi di gas giacciono negli abissi. È il risiko mediterraneo. Immaginiamoci pure un gioco da tavolo, composto da una mappa del Mediterraneo Orientale coi Paesi bagnati da esso, e bandierine di tante compagnie internazionali, petroliere, piattaforme, tubi lunghi migliaia di chilometri, impianti, raffinerie, ed infine eserciti e flotte militari. Progetti colossali sono stati portati a termine, altri si stanno sviluppando, altri ancora sono abbozzati, alcuni sono aborti dolorosi. Come il sogno infranto del South Stream che coinvolgeva direttamente l’ENI. 
Era l’idea di gasdotto che avrebbe collegato direttamente la Russia con l’Unione Europea dribblando l’Ucraina passando nel Mar Nero, e poi via Balcani fino in Friuli-Venezia Giulia. Era il tempo dell’annessione della Crimea da parte di Putin, e gli USA si opposero con forza a South Stream facendo pressioni e minacce in Bulgaria (snodo fondamentale) e in UE. I bulgari ubbidirono, l’UE pure, gli italiani a testa china. Si è ripiegato con il TAP, il gasdotto trans-adriatico dalle sorgenti azere del Caspio. Dunque, i rubinetti russi sono stati chiusi a sud e a nord (sappiamo come è finito il principale hub energetico d’Europa, la Germania; il cordone ombelicale dei gasdotti euroasiatici è tranciato via definitivamente), e allora l’importanza del Mediterraneo come bacino di risorse energetiche diviene vitale. 
Due attori principali: Egitto e Israele. Il giacimento egiziano Zohr è stato scoperto e da ENI, presente in Egitto dal lontano 1954, grazie a Mattei. Secondo proclami entusiasti dovrebbe essere un vero e proprio Klondike sottomarino di gas naturale liquefatto (GNL) in grado non solo di sopperire all’esosa domanda interna egiziana e di rendere così la nazione del Nilo indipendente dal punto di vista energetico, ma pure rendendo il Paese esportatore. Obiettivo non realizzato né per l’esportazione, ma neppure per l’autosufficienza. 
Ci sono stati intoppi e forti cali nella produzione, probabilmente ascrivibili a un ritardo governativo nel pagamento delle quote all’ENI che gestisce il giacimento, sta di fatto che si sono susseguiti drammatici blackout estivi, e l’Egitto si è visto costretto a comprare gas dalla Giordania e soprattutto da Israele che dal suo giacimento Leviathan pompa e pompa, ne ha in surplus, e ci guadagna.
Israele vuole fare la parte del leone nel Mediterraneo Orientale, fornendo anche all’Europa un’alternativa ai giacimenti, di cui molti a secco, nel Mar del Nord. Il progetto del gasdotto Eastern Mediterranean pipeline (benché la sua effettiva realizzazione rimanga un mistero, visti gli ostacoli americani e turchi) che vede interessati i Paesi di Grecia, Cipro e Israele (accordo definito nel 2020 storico da Netanyahu) per portare gas verso l’hub italiano, ne è la prova. Concetto ribadito nel 2023 quando Netanyahu è stato accolto a Roma e ha ribadito la volontà di aumentare le esportazioni di gas verso l’Italia, così come c’è il desiderio di rafforzare i legami con l’ENI, magari con la costruzione di un nuovo terminale di gas naturale liquefatto a Cipro per aumentare la capacità di esportazione da Israele all’Italia e dall’Italia al resto d’Europa. Il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso gli ha fatto da sponda, affermando che l’Italia sta lavorando per diventare un hub europeo del gas e che Israele deve essere un attore forte nella produzione di gas. 
"Ne abbiamo tanto, e vorrei discutere su come farlo arrivare in Italia per sostenere la vostra economia". Benjamin Netanyahu a proposito del gas israeliano, durante la sua tre giorni di Roma, marzo 2023. 
Ma in definitiva qual è lo scopo di questa lunga indagine sulla comunicazione ENI esterna ed interna, sulla calda voce del cane a sei zampe lungo le epoche? Tramite la storia del suo modo di presentarsi e raccontarsi agli stakeholders e al pubblico italiano in generale, si va a comprendere aspetti notevolissimi dell’attualità, aspetti che talvolta sono celati al pubblico stesso. Come per Gaza Marine, il giacimento al largo delle coste di Gaza.
Correva l’anno 1999 e l’Autorità Palestinese, ancora nelle mani del vecchio Yasser Arafat, concesse una licenza per l’esplorazione a 36 km al largo delle coste di Gaza e 600 metri sotto al livello del mare.
La società British Gas Group scoprì un giacimento: Gaza Marine, che sulla carta potrebbe coprire l’intero fabbisogno palestinese e forse addirittura effettuare esportazioni (non ce n’è come in altri giacimenti mediterranei ma comunque si tratta di una quantità sufficiente per i bisogni nel breve-medio termine della Palestina), ergo si potrebbe tradurre la scoperta in uno sviluppo palestinese indipendente da Israele, e quindi a essere in qualche modo d’aiuto all’impossibile processo di pace. In teoria, e la teoria non diverrà mai pratica. Nel 2007, dopo che Hamas ha preso il potere a Gaza, Israele ha imposto il blocco navale intorno alla Striscia. I palestinesi perdono il controllo delle proprie risorse e speranze energetiche. Fin che ci sarà Hamas, non ci sarà accesso al giacimento, dicono in breve gli israeliani. 
Una delle cause della povertà palestinese, e quindi della loro atavica debolezza, giace lì, in fondo al mare, e Israele di certo ne approfitta, anzi è proprio una sua arma strategica a lungo termine per rendere impotente lo storico nemico. Isolamento, impoverimento, assedio – ghetto. 
Nel 2023, dopo innumerevoli difficoltà, si era raggiunta una bozza di accordo tra Israele, Autorità Palestinese ed Egitto, grazie agli sforzi diplomatici di quest’ultimo, però con la clausola israeliana che l’attuazione del progetto Gaza Marine fosse strettamente vincolata alla sicurezza e agli interessi dello Stato ebraico. 
Il 7 ottobre ’23, ha cancellato qualsiasi prospettiva di collaborazione e di royalties future per l’Autorità Palestinese. Eppure quel piccolo tesoro sottomarino rimane lì, a portata di mano ma chiuso in cassaforte: dopo la quasi totale distruzione della Striscia quel gas potrebbe essere una valida occasione di finanziamento per la ricostruzione postbellica di quel cumulo di macerie, morte e infinita disperazione che è Gaza (déjà vu storico, Gaza 2023-24 = Varsavia 1943-44).
Utopia: gli ostacoli israeliani allo sviluppo di Gaza Marine sono una costante fin dalla sua scoperta, e fa parte della strategia d’assedio per tenere i palestinesi sotto una perenne pressione. Il gas è un vettore di controllo, di dominio. Le divisioni politiche palestinesi hanno reso tutto più difficile. 
Ed è in questo cataclisma, in questa voragine mediterranea che in qualche modo si è inserita ENI. 
Esiste una Zona economica esclusiva ZEE per le esplorazioni di idrocarburi nelle acque israeliane. La ZEE è stata divisa in varie zone. Nel 2022 il Ministero dell’Energia di Israele lancia la gara per l’esplorazione offshore di idrocarburi al largo delle sue coste. L’ENI si aggiudica l’esplorazione della zona G, che secondo ONU e diritto del mare, per il 62% appartiene alla Palestina. 
Faccenda spinosa: Israele si lancia in ricerche a casa d’altri, tramite ENI. Clamore, odore di scandalo, mesi fa il Vicepresidente del Consiglio Tajani si è affrettato a dichiarare in difesa del cane a sei zampe (che in questa occasione non fa sentire la sua calda voce) che il contratto non è finalizzato, ma solo rimasto sulla carta, nessuna attività di esplorazione di ENI o di sfruttamento è in corso nella zona G. 
Non mi stupirei se Israele volesse fare il gioco sporco anche per il gas non suo, con la sua consueta sfacciataggine – rimarrebbe da capire quanto la nostra ENI (dico “nostra” perché lo Stato italiano ne è il principale azionista, e quindi il suo operato rappresenta in qualche modo la nostra bandiera all’estero) potrebbe esser complice di un tal spudorato saccheggio. 
L’appello del cittadino della strada, della formica, gridato al cane a sei zampe è quello di smarcarsi fin che è in tempo prima di rendersi complice di un crimine. Pecunia non olet? No, talvolta i quattrini puzzano, e in tal caso non andrebbero toccati. Perché poi, se questa faccenda andrà avanti, si vedrà poi quanto si dovrà strigliare l’immagine con pietra pomice culturewashing …
Sarebbe degno di nota invece leggere un comunicato ufficiale dell’azienda in tal senso: ragazzi, nessun ulteriore affare con chi compie genocidi. E alla formica – piccola ma pensante con la propria testa – cioè il sottoscritto, che è pure una formica ingenua e sognatrice – piacerebbe inoltre leggere in una prossima pubblicazione di ENI del suo contributo dato alla pace, aiutando la Palestina o quel che ne rimane a sfruttare i suoi piccoli ma indispensabili giacimenti, portando cioè il gas di Gaza Marina ai suoi legittimi proprietari. 
Altroché campagne green per curare la propria immagine a suon di promesse di sostenibilità e futuro di prati in fiore, sarebbe una mossa di marketing suprema, davvero epocale: la calda voce del cane a sei zampe, soave, e rivoluzionaria.