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Ha vinto Macron. E’ una nuova rivoluzione francese? No. Trattasi solo di una involuzione capitalista europea

di Luigi Tedeschi - 11/05/2017

Ha vinto Macron. E’ una nuova rivoluzione francese? No. Trattasi solo di una involuzione capitalista europea

Fonte: Italicum

 

 

Ha vinto Macron. E’ una nuova rivoluzione francese? No. Trattasi solo di una involuzione capitalista europea.

 

L’Europa è salva, ma ha salvato solo le proprie catene. E’ tramontata la vecchia politica, grazie ad leader virtuale teleguidato dalla UE, feudatario della Merkel e dell’establishment finanziario. L’esultanza europea è stata condivisa dal governo e dai media italiani, che non hanno perso l’occasione di dimostrare il loro abituale servilismo, dato che dinanzi ad nuovo asse franco – tedesco, l’Italia può solo subire nuove emarginazioni e ulteriori sudditanze europee.
Ma il fenomeno più rilevante, è costituito dall’emergere di un dissenso sistemico di massa verso le istituzioni. Si è registrata la più bassa affluenza elettorale dal 1969, un terzo dell’elettorato ha disertato le urne o ha votato scheda bianca o nulla. Nel ballottaggio almeno il 40% dei francesi si è confermato contrario a Macron ed ai partiti tradizionali.

 

Una svolta storica?
Ma è proprio vero che queste presidenziali francesi siano state un referendum pro o contro l’Europa? Queste elezioni sono una svolta storica in cui l’Europa della UE si impone come un destino irreversibile per i popoli?
Le fratture interne all’Europa emerse con la crisi del 2008 permangono, gli squilibri, congiuntamente ai rapporti di dominio instauratisi tra nord e sud dell’Europa rimangono immutati, così come le accentuate diseguaglianze sociali interne agli stati.

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In Francia è emersa in tutta la sua evidenza la drastica separazione tra la classe politica e l’elettorato, che denuncia una grave crisi di rappresentatività della politica. Emergono inoltre fratture interne alla sinistra, marcate differenziazioni tra l’elettorato della provincia (specie dell’est e il sud della Francia colpiti dalla crisi industriale e dal fenomeno migratorio), dissidente e quello delle metropoli omologato al neoliberismo, e, come in tutta l’Europa, tra le classi subalterne ed un elettorato benestante affine alla cultura delle classi dominanti. Il primo turno delle presidenziali ha fatto emergere che 
la protesta antieuropea costituisce oggi in Francia il 40% dell’elettorato, 8 candidati su 11 erano euroscettici. Tali fratture si riveleranno assai più profonde nelle prossime elezioni legislative di giugno: è ben difficile che il partito di Macron, costituitosi nel 2016, possa conseguire la maggioranza e pertanto, si vedrà costretto a formare un governo di coalizione assai composito e ad levato rischio di instabilità. L’opposizione, costituita Dal “Front National” della Le Pen e da “La France Insoumise” di Melenchon otterranno comunque percentuali ragguardevoli. Il futuro prossimo della Francia si annuncia gravido di potenziali conflittualità politiche e sociali.
Macron ha goduto del più ampio sostegno mediatico, sia in Francia che in Europa, quale candidato gradito all’establishment finanziario, alla oligarchia di Bruxelles, alla Germania di Stauble – Merkel. Si è imposto in nome dell’innovazione della politica, creando un partito trasversale alla destra e alla sinistra: non ha coinvolto un nuovo elettorato sulla base di contenuti innovativi, non rappresenta il superamento dei partiti tradizionali, ma ne ha semmai raccolto l’eredità elettorale, unitamente all’assenza di contenuti politici, già propria delle forze politiche socialiste e gaulliste ormai in stato di avanzata decomposizione.
Macron in Francia, la Merkel (con o senza Schulze) in Germania, Renzi (con Berlusconi alleato?) in Italia, daranno vita a governi di coalizione perfettamente omologhi e omologati al dirigismo della tecnocrazia oligarchica europea, ispirata ad un neoliberismo assoluto, che comporta la destrutturazione degli stati e quindi la devoluzione della politica economica e sociale agli organismi della UE. Probabilmente si imporrà una sorta di governo unico franco – tedesco esteso anche all’Italia, che avrà un ruolo di governance economica degli stati, quale proconsole – mandatario della oligarchia finanziaria europea, delegittimando nei fatti la rappresentatività popolare propria degli stati democratici.

 

 

Fine della “anomalia” e normalizzazione americana della Francia
Le forze politiche tradizionali, ormai subalterne alla UE, hanno dimostrato chiari sintomi di decadenza a causa della crisi della rappresentatività popolare e pertanto, l’establishment finanziario europeo, trovandosi sprovvisto dei necessari referenti politici, ha dovuto creare ex novo un leader e un partito a sua immagine e somiglianza. Il fenomeno Macron è rivelatore di una UE arroccata nella difesa della sua fortezza finanziaria dinanzi al dissenso “populista” dilagante in tutta l’Europa.
Il governo tecnocratico della UE non necessita di consenso popolare e pertanto, 
l’astro virtuale Macron non rappresenta il superamento della obsoleta dicotomia destra/sinistra, perché il suo partito non è oltre e al di là delle vecchie contrapposizioni politiche, ma è al di qua e al di sotto degli schieramenti di destra e di sinistra, per assenza di riferimenti storico – culturali e programmi politici non innovativi, ma conservativi dell’ordine oligarchico dominante. Macron, non è l’uomo dei tempi nuovi, della speranza in una nuova Europa, perché la sua vittoria è dovuta proprio al deficit di speranza diffuso in una società europea, allo spirito di rinuncia a qualunque progetto di trasformazione, alla rassegnazione conformista massificata all’eterno presente del fatalismo capitalista.
La decomposizione della politica tradizionale è ormai un processo compiuto. Sia la destra che la sinistra, svuotate dei loro contenuti ideologico – politici, non si sono dimostrate adeguate al governo della società globalizzata. In realtà prima la destra di Sarkozy e poi la sinistra di Hollande, erano state “normalizzate”, cioè destrutturate delle loro, dottrine sociali e dei loro principi sovranisti. Attraverso la loro progressiva omologazione al neoliberismo globalista made in USA, è stata eliminata la “anomalia” della Francia.
Tale anomalia ha ben precisi riferimenti storico – politici. De Gaulle determinò l’uscita della Francia dalla Nato, teorizzò l’Europa delle Patrie, Jospin si rifiutò di aderire all’embargo americano contro l’Iran, Chirac si schierò contro le guerre imperialiste americane in Iraq e Afghanistan. Occorre rilevare inoltre che con un referendum popolare la Francia respinse nel 2005 la costituzione europea poi divenuta Trattato di Lisbona. Con Sarkozy invece la Francia fu “normalizzata” all’Occidente americano, con il rientro nella Nato. Sarkozy si rese inoltre responsabile della devastante aggressione alla Libia con il sostegno armato alle primavere arabe, generatrici del terrorismo islamista, migrazioni di massa e successive guerre ancora presenti in Siria e in tutto il medio oriente. Hollande poi ha sostenuto la politica anti – Putin in Ucraina e Siria. Con la obsoleta politica tradizionale, scompare anche la sovranità degli stati nell’Europa americana.
Macron non ha fatto mistero del suo accentuato americanismo in politica estera: ha espresso l’intenzione di attaccare la Siria di Assad e si è dichiarato anti – Putin. Ci si poteva aspettare altro da un ex banchiere dei Rothschild? Afferma Paul Craig Roberts: “
Oggi l’intero establishment francese fa riferimento a Washington ed esegue la volontà di Washington, che consiste nel mantenere la Le Pen lontana dalla presidenza della Francia a tutti i costi”.

 

 

L’europeismo antisociale di Macron
La crescita della Francia, successivamente alla crisi del 2008, si è rivelata assai debole, la disoccupazione è al 10,5%, il debito pubblico si attesta al 96% del Pil. Il rapporto deficit/Pil è stato al di sopra del 3% dal 2008 al 2016. Macron è quindi l’uomo che imporrà una decisa svolta liberista alla Francia, con tagli drastici alla spesa pubblica, nuove riforme del lavoro improntate alla flessibilità, ridimensionamento dello stato sociale. Infatti ha annunciato un programma di riduzione del deficit pubblico che comporterebbe un taglio della spesa pubblica per 60 miliardi e quindi il licenziamento di 120.000 dipendenti. Egli vuole portare a compimento il processo di liberalizzazione economica e smantellamento dello stato sociale già intrapreso come ministro del governo Hollande.
Tali politiche, generatrici di delocalizzazioni industriali, recessione economica, disoccupazione, faranno crescere il dissenso e la conflittualità sociale, già manifestatasi in Francia nel 2016 con il varo della loi du travail, legislazione antisociale che diede luogo ad una lunga stagione di scioperi e violente proteste, spesso silenziate dai media italiani.
In campo economico Macron si è rivelato un diligente discepolo dell’economista ultraliberista Jacques Attali, famoso per la sua dichiarazione riguardo all’euro: 
“Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?”.
Dovrà attuare il programma di riforme imposto dalla Germania, in cambio di maggiore tolleranza circa l’osservanza dei parametri finanziari della UE. Sorgerà un nuovo asse franco – tedesco squilibrato in favore della Germania. L’Europa è un progetto incompiuto e saranno proprio le riforme antisociali imposte dal processo di integrazione le cause della sua progressiva decomposizione. In tale contesto infatti, nel prossimo futuro è facile prevedere il diffondersi di nuovi e drammatici conflitti di classe.

 

 

L’Europa è irriformabile?
L’elezione di Macron non determinerà la fine del populismo. Semmai Macron rappresenterà la fine di ogni illusione circa la possibilità di riformare la UE. Tutti invocano riforme, ma la politica europea non registra mutamenti di sorta. La UE a guida tedesca si conferma rigida nella politica del rigore finanziario, come dimostra la recente imposizione alla Grecia di nuove misure di austerità.
La crescita europea si rivela nel complesso modesta ed incapace di produrre redistribuzione del reddito. L’economia europea vive in una fase di precaria stabilità, dovuta soprattutto al prolungamento del QE, cioè della erogazione di liquidità da parte della BCE. L’incremento dell’inflazione verificatosi nel 2017 è dovuto all’aumento dei prezzi agricoli ed energetici, non alla crescita della domanda interna, tuttora stagnante. Il QE garantisce la stabilità del debito sovrano degli stati. Ma oscuri e imprevedibili sono oggi gli orizzonti che potrebbero dischiudersi all’indomani della fine del QE.
Permane l’instabilità del sistema bancario europeo, in primis di quello tedesco, i cui crediti deteriorati e gli asset di derivati – spazzatura in portafoglio restano non quantificabili. La Germania auspica la fine del QE in quanto penalizzata dai tassi d’interesse a zero, ma secondo quanto affermato da Andreas Dombart, consigliere della Bundesbank, l’innalzamento dei tassi d’interesse, conseguente alla fine del QE, esporrebbe a rischi sistemici circa 800 banche tedesche. Ma soprattutto la liquidità emessa dalla BCE non si è trasmessa che in minima parte alla economia produttiva: la ripresa europea non è sufficiente a garantire la sostenibilità del sistema bancario.
La UE è una entità sovranazionale costituita al fine di realizzare l’integrazione economica europea. Tuttavia la costituzione della UE e poi dell’euro furono atti eminentemente politici. Fu infatti una svolta politica la devoluzione degli stati membri alla UE, prima della sovranità economica e poi della sovranità monetaria con la creazione dell’Eurozona. Fu Mitterand a presiedere alla svolta epocale dell’integrazione europea allo scopo di “europeizzare” la Germania, per coinvolgerla in Europa, onde limitarne la potenza economico – finanziaria all’indomani della riunificazione tedesca. E’ oggi incontestabile come invece sia la UE che l’avvento dell’euro ne abbiano invece favorito il dominio sull’Europa.
Le rigidità delle regole di bilancio e lo stesso fiscal compact non furono conseguenze dirette della creazione della moneta unica, dato che tali normative erano già implicite nel Trattato di Maastricht del 1992. Infatti, mentre la fuoriuscita dalla UE è resa possibile dal Trattato di Lisbona e la Brexit ne è la dimostrazione, impossibile è invece l’uscita dall’euro e la contemporanea permanenza nella UE. Una eventuale uscita dall’euro comporterebbe inevitabilmente anche l’uscita dalla UE. 
E’ quindi questa Europa irriformabile? Se la UE è una istituzione fondata da trattati di natura politico – istituzionale, anche la sua riforma non potrebbe che derivare da atti politici.
Occorrerebbe dunque modificare profondamente i trattati istitutivi della UE, con riforme che implichino la revisione dei parametri finanziari, la integrazione delle politiche fiscali degli stati membri, con annessa condivisione dei debiti sovrani. Tali prospettive sono oggi impensabili, a causa dei ripetuti veti della Germania, che peraltro si è sempre opposta alla emissione degli eurobond. Inoltre, la UE si è rivelata incapace di imporre alla Germania il rispetto delle regole europee (invece imposto coattivamente agli altri stati), riguardo il contenimento del surplus commerciale (oggi vicino al 9%), entro il 6% previsto dai trattati.
Data la conclamata irriformabilità della UE, dovrebbero verificarsi eventi che possano determinare la rottura dei rapporti di dominio della Germania sull’Europa. Solo una crisi della Germania (che non è impossibile), può determinare un ridimensionamento della potenza tedesca e quindi possa ipotizzarsi un recupero della sovranità degli stati ed una eventuale rifondazione dell’Europa.
Non sarà certo Macron a riformare l’Europa, che anzi contribuirà a consolidare gli attuali rapporti di dominio. Macron è dunque “l’uomo della provvidenza” di turno apostolo della salvezza dell’Europa dal pericolo “populista” dissolutore della Le Pen. L’oligarchia europea, non disponendo più di forze politiche di riferimento è ricorsa al partito artificiale e al leader virtuale Macron, quale sua ultima risorsa per la propria sopravvivenza? No, la UE è in grado di realizzare la riproduzione seriale dei Macron.
 Ma l’avvento di Macron non è la fine della protesta anti europea. Segna semmai l’inizio di una nuova stagione di conflittualità sistemiche tra i popoli e le elites di una UE sempre più instabile, precaria e percorsa da correnti dissolutrici sempre più profonde.