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La mente nella natura

di Guido Dalla Casa - 13/01/2021

La mente nella natura

Fonte: Arianna editrice

Premesse

  Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg (Fisica e Filosofia, Natura e Fisica Moderna) formulò il suo famoso principio di indeterminazione con il quale veniva introdotta inevitabilmente l’osservazione (cioè la mente) in tutti i fenomeni e in tutti i processi. Negli studi e nei comportamenti successivi si sarebbe dovuto tener conto che si stava trattando sempre con entità miste di mente-materia, ormai inscindibili. Niels Bohr mise ordine nell’intuizione-dimostrazione di Heisenberg codificandola nell’interpretazione di Copenhagen.

  Inizialmente alcuni interpretarono le conseguenze del principio di indeterminazione come una riproposta di mettere al centro l’osservatore-umano, ma questa interpretazione ebbe breve durata: infatti l’”osservatore” poteva benissimo essere qualcos’altro, qualcosa di non-umano.

 Oggi possiamo sintetizzare la situazione con queste parole del fisico italiano Carlo Rovelli:

 “Il problema dell’interpretazione di Copenaghen è proprio questo: cioè non si dice mai cosa si intenda per osservatore. È per questo che è stata poi formulata la cosiddetta interpretazione relazionale, una versione moderna e più completa di quella di Copenaghen, che cerca di ripulirla dai suoi aspetti confusi e chiarirne le conseguenze. Nell’interpretazione relazionale, qualunque sistema fisico – anche un fotone, dunque – può essere considerato come osservatore. ..Tutte le quantità fisiche, in questo senso, sono relazionali.” Insomma, non esistono oggetti permanenti ed autonomi, ma esistono solo relazioni (psicofisiche).

  Successivamente lo scienziato russo-belga Ilya Prigogine (La Nuova Alleanza, La fine delle certezze) ha trovato, anche per altra via, che nei sistemi complessi si manifestano fenomeni mentali (scelte nelle biforcazioni-instabilità). Gli studi successivi hanno sempre confermato questa presenza di fenomeni mentali connaturati con la complessità dei sistemi.

  Ancora per altra via, gli studi e gli esperimenti dello scienziato-filosofo inglese Rupert Sheldrake (La rinascita della Natura, La mente estesa, Le illusioni della scienza) hanno portato al concetto di “mente estesa”, simile all’idea di “mente” dei fisici quantistici.

  Aggiungiamo che recentemente lo scienziato italiano Stefano Mancuso e il tedesco Peter Wohlleben hanno dimostrato che le piante comunicano fra loro e provano emozioni.

   Non toccheremo qui il problema della coscienza, riportando solo, da una fonte autorevole:

  “Le forze psichiche non hanno certamente niente a che fare con la coscienza; per quanto ci piaccia trastullarci con il pensiero che coscienza e psiche siano identiche, la nostra non è altro che una presunzione dell’intelletto. La nostra manìa di spiegare tutto razionalmente trova una base sufficiente nel timore metafisico, perché illuminismo e metafisica sono sempre stati due fratelli ostili. Le “forze psichiche” hanno piuttosto a che fare con l’anima inconscia.”                                                                                                                     Carl Gustav Jung     

Comunque l’Ecosfera stessa, come tutte le sue componenti, potrebbe benissimo essere anche cosciente, o avere un tipo di coscienza diversa dalla nostra.

La situazione attuale

  Lo sviluppo economico sostituisce materia inerte a sostanza vivente, mette strade, impianti, fabbriche, plastica, cemento, orrori del ciclo della carne, rifiuti indistruttibili, al posto di foreste, paludi, savane, ghiacciai, praterie, barriere coralline. Altera l’atmosfera, fa diminuire vertiginosamente la biodiversità e provoca una crescita patologica di mostruosi agglomerati umani.

  In genere qualunque istanza per cercare di arginare questi fenomeni viene trattata, anche dagli oppositori, facendo richieste ai politici, che, quando va bene, promettono green economy, sviluppo sostenibile, crescita verde e simili amenità contraddittorie, ma non accenneranno mai a rinnegare la crescita e a mettere in discussione il primato dell’uomo, da loro visto come esterno a tutte le entità naturali, che invece costituiscono con noi un unico Organismo, l’Ecosfera.

  La civiltà industriale ha gli anni contati. Secondo Serge Latouche: “Noi che siamo qui in questo momento abbiamo il privilegio fantastico di assistere al crollo della civiltà occidentale. Si tratta di un fatto rarissimo, paragonabile alla fine dell’Impero Romano. Con la differenza che questo si è svolto in un arco temporale di 700 anni, mentre il crollo della nostra civiltà si compirà in meno di trent’anni”. (da: Scommettiamo sulla decrescita).                      Personalmente, ho qualche perplessità sull’espressione “privilegio fantastico”, dato che sarà molto difficile evitare eventi traumatici.

  Possiamo solo sperare in un fortissimo cambiamento. Ma gli unici cambiamenti reali sono quelli che avvengono nel paradigma generale scientifico-filosofico in cui si inquadrano le conoscenze: l’ultimo è iniziato attorno al 17°-18° secolo e ha fatto nascere la civiltà industriale, ma neanche quello ha mai intaccato alla radice il punto essenziale della visione del mondo imperante: l’antropocentrismo, l’idea preconcetta che l’uomo sia al di fuori e al di sopra del mondo naturale, che resta al suo servizio. Questa idea di base, ben radicata in tutto il mondo giudaico-cristiano e islamico, che non ha mai ascoltato il parere di molte altre culture umane, orientali o native, è una delle radici degli attuali guai del mondo. Neppure le due guerre mondiali hanno cambiato minimamente la visione del mondo dell’Occidente. Anche un movimento di altro tipo, sostanzialmente fallito, come il cosiddetto “Sessantotto”, non ha ottenuto grandi risultati, perché non ha mai cercato contatti con l’altro movimento scientifico-filosofico, più lungo e silenzioso, che era già in corso (Bateson, Naess, Capra, Lorenz, e altri). Anzi, i Sessantottini erano più che mai antropocentrici e si consideravano “il Progresso”. Parlavano anch’essi il solito linguaggio politico-sociale-economico, incapaci di colloquiare con un linguaggio scientifico-filosofico.

Conclusioni

 Oggi sappiamo che c’è una Mente nella Natura, ma quasi nessuno se n’è ancora accorto.

 Se riconosciamo lo spirito delle piante e della foresta, non abbattiamo alcun albero, se ascoltiamo lo spirito del torrente, non lo riempiamo di plastica e altri rifiuti, se “vediamo” lo spirito della montagna, non la deturpiamo con orribili impianti, se ascoltiamo l’anima del mare, non lo riempiamo di rifiuti e non ne distruggiamo la vita.

  Queste sono le vere rivoluzioni, questo è il vero cambiamento, non la green economy dei politici e degli industriali. Ripeto che dobbiamo renderci conto fino in fondo che c’è una mente nella Natura: tutte le entità naturali sono entità psicofisiche, probabilmente con qualche forma di coscienza.  

  Il numero di scienziati che trattano problemi un tempo riservati ai filosofi è in aumento. In particolare, si possono leggere scritti di scienziati che si allontanano sempre più da quel paradigma meccanicista cartesiano-newtoniano che era caratteristico della scienza fino ad alcuni decenni orsono e che costituisce ancora il sottofondo di quella che viene divulgata come l’unica “scienza”. Per concludere, qualche citazione:

  Senza la mente, spazio e tempo non sono nulla. Questa mente è correlata con gli oggetti del regno spazio-temporale. La conclusione sembra inevitabile: il cosmo è pervaso dal regno della mente, le cui osservazioni fanno sì che gli oggetti si materializzino, assumano una proprietà oppure un’altra o saltino da un posto all’altro senza attraversare alcuno spazio intermedio. E’ stato detto che questi risultati eludono una comprensione logica. Però si tratta di veri esperimenti, riprodotti ormai così tante volte che nessun fisico li mette in discussione. …Ma il biocentrismo dà un senso a tutto questo, per la prima volta, perché la mente non è secondaria a un universo materiale, bensì è una con esso.                     (Robert Lanza, Oltre il biocentrismo)                          

     Sai che gli alberi parlano? Si, parlano l’uno con l’altro e parlano a te, se li stai ad ascoltare. Ma gli uomini bianchi non ascoltano. Non hanno mai pensato che valga la pena di ascoltare noi indiani, e temo che non ascolteranno nemmeno le altre voci della Natura. Io stesso ho imparato molto dagli alberi: talvolta qualcosa sul tempo, talvolta qualcosa sugli animali, talvolta qualcosa sul Grande Spirito.                                                                         Tatanga Mani (da: Recheis-Bydlinski, Sai che gli alberi parlano?)

  La cosa più importante è che la depressione è un'affezione endemica collettiva e noi la sentiamo e pensiamo che sia soltanto dentro il nostro cervello. "Nella… mia famiglia, nel mio matrimonio, nel mio lavoro, nella mia economia"… Abbiamo portato tutto questo dentro un "me". Invece, se c'è un Anima Mundi, se c'è un'Anima del Mondo – e noi facciamo parte dell'Anima del Mondo – allora ciò che accade nell'Anima esterna accade anche a me, e io avverto l'estinzione delle piante, degli animali, delle culture, dei linguaggi, dei costumi, dei mestieri, delle storie… Stanno tutti scomparendo. Per forza la mia anima prova un sentimento di perdita, di solitudine, di isolamento, di lutto, e di nostalgia, e di tristezza: è il riflesso in me di una condizione di fatto. E se non mi sento depresso allora sì che sono pazzo! Questa è la vera malattia! Sarei completamente escluso dalla realtà di quello che sta succedendo nel Mondo, la distruzione ecologica.     J. Hillmann (filosofo-psicanalista junghiano)

    L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile, senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando.                               

                                                                                           Hubert Reeves (astrofisico canadese)