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La ricerca di Dio nella scuola di Plotino

di Giancarlo Rinaldi - 12/10/2016

Fonte: Ereticamente

  1. Il quadro generale(1)

Porfirio(2) parlando della controversia tra Plotino e gli gnostici ci rappresenta uno scontro tra due visioni del mondo diverse che s’intende nel suo specifico contesto di storia sociale e culturale(3). La lezione romana di Plotino si svolse dal 244 al 270. Furono anni difficili: incursioni di barbari, pestilenze, guerre civili. A oriente incombeva il regno di Persia, rinvigoritosi grazie a grandi re tra i quali Shapur I (240-272). Lì vigoreggiava la dottrina di Zoroastro e fiorì anche l’astro religioso di Mani. Nelle province dell’Occidente e nella stessa capitale, i cosiddetti “culti orientali” si erano oramai radicati. Tra questi quello dei cristiani: una galassia di indirizzi di pensiero e di pietà diversi accomunati da una visione sostanzialmente di derivazione giudaica che andò poi traducendosi nel linguaggio colto dell’epoca, quello della filosofia.

Plotino

Plotino

Le comunità si davano sempre più elaborate dottrine, non parliamo poi di quella pletora di persone che abbracciavano un indirizzo sincretistico di pensiero: ricercatori che attingevano al meglio d’ogni tradizione oppure gente semplice la quale si collocava nella non mai ben definita fascia di confine tra “paganesimo” e “cristianesimo”. I seguaci di Marcione prendevano sdegnosamente le distanze dal Dio irascibile dei giudei e dalle pastoie dei loro rituali. V’erano poi gli “gnostici”, eclettici e disinvolti nel loro esser familiari di volta in volta con miti e filosofemi antichi così come con testi e tradizioni d’Israele. Sull’altro versante i “pagani” che celebravano i rituali di una devozione civica che procacciava la pax deorum o riscaldavano il loro cuore intorno alla vicenda di un Dio sofferente, poi morto, poi di nuovo gioiosamente vigoroso. Le filosofie si caratterizzavano per la loro aspirazione a penetrare la dimensione del divino. Tutti i filosofi, però, presero le distanze dall’estasi del profeta cristiano così come dai deliri teocosmogonici dei maestri gnostici. Per loro la religione civica era un instrumentum regni mentre l’incontro con il divino era un traguardo a cui ci si preparava con lo studio dei capolavori del pensiero, in primis quelli del maestro Platone. Tale “stile” pervase l’età di Plotino che, in termini di storia dell’arte, fu anche quella dei cosiddetti sarcofagi filosofici. Nella Roma di Plotino accorrevano coloro che desideravano dare risonanza al loro magistero(4). Tutto questo magma cristiano entrò in rotta di collisione con la società, specialmente con coloro che erano attenti alla tutela delle categorie culturali su cui questa si fondava. La grande antitesi tra la civiltà classica e la visione del mondo dei giudei e dei cristiani era vistosa. Ma nel trattare la questione dei cristiani da parte delle autorità si procedette con incertezze. Gli imperatori alternarono politiche di tolleranza (Filippo l’Arabo, Gallieno), di persecuzione (Decio) e anche d’esplicito impegno anticristiano (Valeriano). Il quadro si complica se pensiamo che ogni norma era destinata ad essere applicata da governatori locali, i quali agivano con ampio margine di discrezionalità. Avvenne in pratica che qua e là i cristiani furono perseguitati in momenti di pace ufficiale, altre volte vissero al riparo in momenti di persecuzione generale.

  1. La via plotiniana al divino

Nel mondo cristiano la conoscenza di Dio costituisce un’esperienza del cuore e non una ricerca che trae solidità dall’argomentare secondo ragione. Nella visione classica, invece, l’acquisizione di un’adeguata idea del divino è prospettata come un traguardo da raggiungersi attraverso la riflessione filosofica e l’esercizio delle virtù. La religiosità di Plotino si palesa nell’espressione che egli pronunziò al momento del suo trapasso: cercate di far risalire il divino che è in voi al divino che è nell’universo(5). Ogni cenno a miti e riti della tradizione classica nelle Enneadi è trasposto nella dimensione della filosofia e da questa, poi, in quella dell’esperienza dell’anima contemplante che s’accorge d’esser parte dell’Anima universale e attraverso questa attinge poi alla dimensione dell’Uno. Il divino cessa d’essere concetto della mente e diviene esperienza ineffabile(6). Plotino l’ebbe quattro volte nel corso della sua esistenza(7). Nell’esperienza religiosa di Plotino non vi fu spazio per rituali, nenie e incantamenti, e neanche per la preghiera intesa come richiesta verbale agli dèi(8). È illuminante il seguente episodio che ha come protagonisti Plotino stesso e Amelio:

«Fervido sacrificante com’era, Amelio andava in giro ai riti sacri e alle neomenie e ad altre feste religiose, senza lasciarsene sfuggire una; ora egli pretese, una volta, che Plotino vi partecipasse con lui. “Spetta agli dèi – rispose Plotino – venire da me; non a me andare da loro”. Per quale considerazione egli pronunziò una così altera parola? Non riuscimmo a comprendere; né ardimmo interrogarlo»(9).

Con quella sua espressione apparentemente blasfema, Plotino alluse al descensus del divino in lui, così come poi sul letto di morte avrebbe alluso al processo inverso, cioè all’ascensus verso il divino: un’unica esperienza filosofica e religiosa a un tempo. La ricerca di Dio in Plotino fa tutt’uno con la ricerca della verità filosofica. I sacrifici fatti celebrare da Plotino in occasione del genetliaco di Socrate e di Platone(10) s’intendono alla luce di quest’identità di percorso(11). Il suo linguaggio, che talvolta riecheggia il lessico e l’esperienza dei misteri, tende a una trasposizione sul piano del ragionar filosofico di questi ultimi(12). Sono significativi due passaggi delle Enneadi(13) dove egli fa cenno all’esperienza di un contemplante che, attraversato il vestibolo di un tempio, ornato di belle statue, entra nel penetrale e qui, da solo a solo, ha comunione con il divino. Il filosofo afferma che quest’ineffabile esperienza giova a far relegare le visioni di quei simulacri nel rango delle acquisizioni di second’ordine, a fronte della diretta contemplazione della divinità. Plotino non disprezzò certo i riti consacrati dalla tradizione, né i venerandi discorsi dei teologi antichi. Non guardò dall’alto in bassor-2questo patrimonio della grecità, ma seppe trasporlo in sistema filosofico.

  1. Scolari di Plotino

La Vita porfiriana ci trasmette alcuni nomi di allievi di Plotino(14). Ricorderemo tra i primi Amelio Gentiliano e Porfirio di Tiro. Amelio fu coinvolto dal maestro nella polemica contro gli gnostici e compose quaranta libri per confutare l’Apocalisse di Zostriano del quale possiamo leggere l’intero testo nell’ottavo tra i codici gnostici scoperti a Nag Hammadi. Fu lettore del prologo di Giovanni, si soffermò sulla dottrina del Logos ammettendone la divinità e l’azione creatrice e persino l’incarnazione, a patto che la si ravvisasse più in generale nell’Anima mundi e non soltanto, comevolevano i cristiani, nella persona storica di Gesù(15). Di Porfirio, in quanto homo religiosus, basterà ricordare il coinvolgimento nella polemica antignostica del maestro con la confutazione dell’Apocalisse di Zoroastro(16). Castricio Firmo(17) aveva a Minturno possedimenti nei quali ospitò Plotino che colà si era ritirato negli ultimi suoi giorni; fu buon amico di Amelio e di Porfirio il quale gli avrebbe poi dedicato il suo De abstinentia(18). Tra chi frequentò la scuola di Plotino non mancarono appartenenti all’ordo senatorius(19). Per costoro la dottrina esposta da Plotino, prima ancòra di essere esercizio della mente, poteva fungere da percorso di indiamento. Tra i frequentatori della sinusia, Sabinillo(20) era stato consul ordinariusinsieme a Gallieno(21) nell’anno 266. Di Marcello Oronzio non conosciamo altro se non ciò che qui leggiamo. Ma Porfirio ricorda specialmente il senatore Rogaziano(22) il quale giunse a un ripudio degli onori e dei beni terreni per dedicarsi alla ricerca spirituale e ad azioni di evergetismo culturale(23). Tra chi fu coinvolto nella politica ricorderemo anche Zeto presso le cui proprietà, a sei miglia da Minturno, Plotino morì(24). L’imperatore Gallieno e sua moglie Salonina venerarono con affetto Plotino, così che quest’ultimo fu sul punto di realizzare un suo progetto mirante a stabilire una “Platonopoli”, dove egli stesso con i suoi discepoli si sarebbe ritirato(25). Il tutto naufragò a causa d’ostacoli posti da personaggi di corte(26): delle fumoserie dei filosofi non v’era bisogno in un’epoca in cui l’impero si sgretolava e quando non certo i maestri di virtù, ma gli uomini in corazza sembravano chiamati a far da salvatori della patria. Tale fallimento ci fa pensare che l’intesa operativa tra il filosofo e l’imperatore non sia stata efficace, insomma che Plotino non fu l’influente consigliere di Gallieno nelle faccende di religione, né l’ispiratore di una reazione ellenistica al cristianesimo(27). La cosiddetta rinascenza umanistica di Gallieno induceva a considerare la novità cristiana un corpo estraneo alla società antica; così l’adesione di Plotino al maestro Platone(28) e a tutti i “vetusti divini”(29) conduceva a una condanna della visione del mondo orientale, antitetica a quella ellenica, quale era quella giudaico cristiano gnostica(30).

  1. La via cristiano gnostica al divino

Nel brano di Porfirio citato all’inizio non ricorre il termine “gnostici” ma si parla di “cristiani”(31). L’autore riconosce tra costoro l’esistenza di numerose correnti. È il tema della poichilia dei cristiani che però qui, ad onta del fatto che a scrivere sia Porfirio (Christianorum hostis per antonomasia!), non ha una connotazione controversistica come invece riscontriamo sempre altrove(32). L’autore si limita ad affermare che tra i numerosi cristiani di quell’epoca ve n’erano alcuni i quali erano soliti rifarsi alla filosofia antica. Costoro frequentavano la scuola di Plotino. Fu solo a un certo punto, probabilmente a seguito dell’ingresso in questa di Porfirio, che si palesò un’insanabile antitesi tra la loro lettura di Platone e quella plotiniana. Il maestro notò che questi “eretici dal pensiero antico” erano ben radicati nei loro convincimenti e che esercitavano un’influenza all’interno della sua scuola tale da turbarne il sereno andamento. Così egli pronunciò quattro discorsi con i quali s’impegnò a confutare le loro dottrine(33). Sono i quattro trattati enneadici(34) che Porfirio mal distribuì nel corpus degli scritti del maestro, ma che un’attenta ricerca ha ricondotto a unità, restituendoci una paideia antignostica. Tra questi il più diretto ed esplicito è il nono della seconda enneade il cui titolo nella sua completezza era Contro coloro che dicono cattivo il demiurgo del mondo e cattivo anche il mondo(35). Porfirio non adoperò il termine “gnostici” per almeno tre motivi: 1. suonava “moderno”; 2. coloro che noi oggi chiamiamo gnostici si reputavano a pieno titolo membri della comunità cristiana di cui credevano di costituire una élite; 3. non pochi spunti controversistici di Plotino colpivano aspetti del cristianesimo tout curt(36). Plotino era in grado di cogliere sia la radice comune della visione gnostica e di quella cristiana, sia l’antitesi che essa configurava nei riguardi della filosofia ellenica. Se valorizziamo i titoli delle opere ricordate in Vita 16, possiamo pensare che Plotino abbia avuto di fronte gruppi di sethiani; se ci basiamo sui temi affrontati e su alcuni termini ricorrenti nei trattati enneadici penseremo a seguaci della gnosi valentiniana. Vero è che tra le diverse correnti della gnosi vi fu ampia circolazione di testi e di suggestioni. Plotino, inoltre, fu alieno dal fare citazioni di testi e dall’impelagarsi in una disamina delle diverse denominazioni cistiane(37).

  1. Apocalissi gnostiche alla scuola di Plotino

Il tentativo di identificare i testi gnostici menzionati da Porph., v. Plot. 16, si è giovato dei ritrovamenti di Nag Hammadi(38), ma il problema non ha ricevuto una soluzione definitiva. I corifei del gruppo contro cui polemizzò Plotino si chiamavano Adelfio e Aquilino. Nulla sappiamo di Adelfio. Nel sec. IV v’era una setta di adelfiani che non è rubricata nel pianeta dei movimenti gnostici. A un’opera dal titolo Esegesi sui numeri, attribuita a un certo Aquilino, accenna Giovanni Lido(39). Costoro possedevano moltissimi libri attribuiti ad Alessandro Libio, Filocomo, Demostrato, Lido. Principalmente si avvalevano di testi apocalittici quali: Apocalisse di Zoroastro. Scomparsa. Porfirio ci dice che ne compose una confutazione denunciandone il carattere apocrifo e seriore. Il nome di questo profeta possedeva rilevante valenza nella letteratura d’ispirazione ermetica. Negli Stromata di Clemente Alessandrino si parla dei libri segreti di Zoroastro

Porfirio

Porfirio

utilizzati dallo gnostico Prodico(40) e delle rivelazionisull’Aldilà di Zoroastro il Panfilico(41). Proco testimonia(42) l’esistenza di uno scritto Sulla naturaattribuito a Zoroastro, di carattere apocalittico e d’interesse astrologico. Apocalisse di Zostriano. Amelio ne compose una confutazione in ben quaranta libri. Su questo personaggio avevamo notizia in Arn., ad. nat. 1,52 che ne ricorda il nome insieme a quello di altri cui la tradizione conferiva fama di mago; l’apologeta ricorda in primisZoroastro definendolo anche Zostriani nepos. Possiamo leggere un’Apocalisse di Zostriano quale primo trattato dell’ottavo codice di Nag Hammadi. Vi si parla di un iniziato che ascende i cieli conoscendo ogni parola di passo e ogni potenza celeste nel cui nome è battezzato; quindi scende tra gli uomini per risvegliare a salvezza gli eletti tramite la conoscenza. Il testo termina con un colophon che accomuna i due nomi: «Zostriano. Parole di verità di Zostriano. Dio di verità. Parole di Zoroastro». Non è il caso di pensare con Doresse(43) che questa crittografia asserisca l’unicità dell’opera da attribuirsi all’uno e all’altro dei personaggi. Il fatto che siano state prodotte due confutazioni milita a favore dell’esistenza di due distinte apocalissi. Plotino in Enn. 2,9,6 prende di mira il lessico dei suoi avversari, in particolare termini quali“upostaseis”, “karoikesis”, “metanoia”, “antitupoi”(44). Si tratta di vocaboli che ricorrono nella parte iniziale dell’Apocalisse di Zostriano. Sembra che Plotino abbia tenuto presente soltanto questo esordio dello scritto gnostico e che mai ne abbia utilizzato il sèguito. Forse iniziò la lettura dell’Apocalisse ma poi, sdegnato per tale sua “modernità di linguaggio”, la mise da parte, affidando il còmpito di confutarla al suo allievo Amelio.Apocalisse di Nicoteo. Il nome di Nicoteo compare in un manoscritto manicheo trovato nelTurfan(45). Lo ricorda e lo invoca l’alchimista Zosimo di Panopoli(46) come quello di colui che conosce il nome dell’Adamo celeste decaduto e poi salvato da Cristo. Ancòra più rilevante è la sua menzione nella cosiddetta Topografia celeste restituitaci nel Codex Brucianus dove compare come veggente e rivelatore in compagnia di due profeti(47) tenuti in onore presso la setta degli arcontici. Sempre nella Topografia leggiamo espressioni che sono sembrate essere state fatte oggetto di ironia e di scherno in Plotino. Il che c’indurrebbe a ipotizzare che Plotino abbia avuto sott’occhio la Topografiao che la perduta Apocalisse di Nicoteo abbia condiviso concetti ed espressioni di quest’ultima(48). Apocalisse di Allogene(49). Il terzo trattato del codice XI di Nag Hammadi reca proprio il titolo Allogene e contiene le rivelazioni che questo personaggio riceve dalla vergine Youel e poi metteper iscritto a favore del figlio Messos(50). La sua epopea culmina con il suo indiamento operato in virtù della visione suprema che egli riceve e da cui è trasformato. Il biblico Seth, figlio di Adamo, presso i valentiniani era prototipo degli “spirituali”, così come Abele lo era dei “psichici” e Caino dei “terreni”(51); talché “sethiani” era denominazione di una vasta corrente gnostica(52). L’Apocalisse di Messos non c’è giunta, ma è testo che dobbiamo far gravitare nell’orbita della sapienza attribuita ad Allogene, visto che costui è detto suo padre. Plotino selezionò i temi di controversia con i suoi avversari, non potendo sviscerare l’intera materia del contendere(53). Alcuni erano comuni alla più generale polemica anticristiana anche se Plotino, a nostro avviso, non lesse né trattati anticristiani né testi biblici e si limitò a colpire chi aveva davanti: Tutto l’esistente è articolato in una sola triade (Uno, Spirito, Anima) che non ammette altre articolazioni(54) né, pertanto, le ipostasi vanno moltiplicate come sono soliti fare gli gnostici con la loro lussureggiante genealogia di eoni(55). L’anima non è soggetta a decadimento, né essa crea dopo che sia decaduta(56). Sbagliano coloro che identificano l’Anima del tutto con le anime individuali per poi disprezzare la prima(57). Non si dica che l’Anima ha creato “per essere onorata”, né che essa possa distruggere ciò che una volta ha posto in essere(58), poiché non si ammette che essa possa pentirsi(59). Il cosmo(60) non è malvagio, e non bisogna pretendere che sia assolutamente perfetto, poiché non coincide con lo Spirito ma ne è solo un’immagine, la migliore possibile(61). Poiché la creazione non è atto volontario, ma necessario(62), bisogna ritenere che il cosmo sia eterno(63). Gli avversari di Plotino sono superbi(64), pretendono di aver contatto personale con l’intellegibile e si ritengono superiori al sole(65) e a gli astri(66); parlano male dei pensatori dell’antichità(67), anzi degli stessi dèi(68). Ritengono di poter loro soltanto attingere alla perfezione, e non concedono ciò ad altri uomini sia pur di bella fama, né a dèmoni, né a dèi(69). Promettono a chi vogliono rendere loro seguace: «Tu sarai superiore a tutti, non soltanto agli uomini ma anche agli dèi»(70). Chiamano “fratelli” uomini della peggiore specie, purché appartengano alla loro consorteria, e negano poi tal rapporto di fratellanza con il sole, gli dèi celesti e la stessa Anima del mondo(71). Ritengono che Dio si dia cura di loro soltanto e non dell’universo mondo(72) e che la provvidenza agisca solo per loro(73). Mentre affermano che la loro anima è immortale e divina rimproverano il disordine del cosmo(74) e proclamano l’avvento di una “nuova terra”(75), di un “mondo migliore”(76). Gridano allo scandalo osservando come esistano ricchezza e povertà e dimostrano così di non sapere che il saggio non tiene gran conto di ciò(77). Temono i corpi celesti e ricorrono a rituali magici, litanie, “mormorii”, “aliti”, fischi” per indurre effetti lassù!(78). Promettono preghiere ed esorcismi per guarire chi è affetto da morbi che loro credono siano causati da vessazioni demoniache(79). Essi ricorrono ad espressioni quali “dimore di esilio”, “riverberi”, “penitenze”, distorcendo il loro significato tradizionale(80). Si rivelano così cattivi plagiari, specialmente di Platone(81). Con tali argomenti Plotino esprimeva la grande antitesi tra la ricerca di Dio nel mondo classico e in quello giudaico cristiano(82). Volle colpire esclusivamente gli gnostici oppure si pose una finalità genericamente anticristiana?(83) La polemica di Plotino vola alto ed è incentrata su temi generali, a differenza di quella svolta da Porfirio che scese nei particolari(84).

  1. Mistica plotiniana del silenzio – liturgie e litanie gnostiche

Nel suo trattato antignostico Plotino prende anche di mira la consuetudine dei suoi avversari di ricorrere a formule d’invocazione e a salmodie di vario genere. Questa critica rientra nella sua più generale convinzione secondo la quale la pratica stessa della preghiera formulata a viva voce è inammissibile e la si può addirittura assimilare a un’operazione di magia. Partiamo da Enn. 2,9,14:

«E che dire che proprio essi e in ben altro modo contaminano la purezza degli esseri superni!

Allorché infatti compongono cantilene da rivolgere loro – non soltanto all’Anima, ma anche agli Esseri che sono più in alto – che altro fanno se non magie, incantesimi, scongiuri, destinate a persone con le quali van cianciando che i Superni porgono ascolto alla formula e sono persino attratti qualora uno di noi sia ben esperto nel litaniare ritornelli (mšlh) in un certi modo e nel modulare variamente la voce – mormorii, aliti, fischi – e in altre cose le quali, secondo le loro scritture, esercitano un potere magico lassù!».

In Enn. 4,4 (Problemi dellAnima), abbiamo altre attestazioni sul medesimo tema:

«…Gli effetti derivanti per via di una estrinseca influenza provocata, ad esempio, con preghiere – sia queste semplici o salmodiate con arte magica –: tutto questo deve riportarsi, volta a volta, a uno di quegli astri, ma solo alla natura dell’accadimento in sé»(85).

«Ma pure agli incantesimi ottenuti col canto e con musiche appropriate e con la figura stessa dell’incantatore… l’anima è estranea; appunto perché non sono affascinati dalla musica né il deliberato proposito, né il puro pensiero, ma solamente l’anima irrazionale… Ma anche in tema di preghiere, non si creda poi che ci sia una volontà ad esaudirle… Dall’Essere cui l’uomo prega, scende qualcosa o sullo stesso orante o su altra persona; ma il sole o altra stella che sia, non intende la preghiera, e si attua quel suo esaurimento sol perché tra parte e parte dell’universo regna la simpatia, come in una corda tesa…»(86).

«…Comunque non si deve ammettere che l’universo soggiaccia ad affezioni di magia o di preghiera; o, meglio, il suo principio reggente vuol essere concepito impassibile…»(87).

Anche altrove(88), Plotino si pronuncia contro il ricorso alla preghiera verbale: non può ammettersi che un complesso d’invocazioni (inni o preghiere) possa determinare nei corpi celesti, nell’Anima mundi, nella divinità, per dirla in breve, un mutamento d’atteggiamento o un positivo intervento a favore di chi qui dal basso agisce. Tale comportamento può essere assimilato a quello di un mago(89). Per Plotino la magia esercitava una sua propria azione a motivo dell’intervento di dèmoni interessati a faccende terrene(90); tuttavia da tali infauste influenze il saggio era immune poiché la sua mente era concentrata verso gli intellegibili. Già Celso(91) aveva riportato un simile parere e, d’altro canto, chi in quell’epoca dubitava delle influenze magiche? Anche i cristiani n’erano persuasi e parimenti credevano di esserne immuni, ma non già per la loro saggezza, bensì per la loro fede(92). La “preghiera”, secondo Plotino, è invece quel complesso d’elevazioni della mente e dell’anima, di esercizio filosofico e di virtù attraverso cui si rende chiara la visione interiore dell’Uno sino a che questa non divenga consapevolezza d’identità. Ci troviamo al cospetto di un’esperienza personale che (per il suo essere individuale e mistica(93) è ineffabile. Plotino illumina il tema dei rituali in uso nelle comunità gnostiche sul quale le fonti letterarie (e ancor più quelle documentarie) non sono prodighe d’informazioni o ci consegnano ritratti contraddittori. Da un lato, infatti, la spiritualità gnostica si risolse in un’autoconsapevolezza interiore e, per tale via sembrerebbe abbia fatto a meno di cerimonie liturgiche o le abbia ridotte a un minimo(94). D’altro canto, gli gnostici nella letteratura eresiologica sono spesso accusati di ostentare ampi gesti rituali di tipo magico ed è noto che una quantità grande di reperti con formule e immagini esoteriche viene frettolosamente compresa nella categoria delle “gemme gnostiche”. Una pagina di Ireneo di Lione(95) ricorda da vicino la denuncia di Plotino:

«I basilidiani… fanno uso di magia, immagini, incantesimi, evocazioni e di ogni altra arte straordinaria»(96).

«(I carpocraziani) esercitano anch’essi le arti magiche, incantesimi, filtri e allettamenti amatori, come assistenti ed esperti nel mandare i sogni, e tutte le altre pratiche maligne, dicendo di avere questo potere per dominare su principi e artefici di questo mondo; e non solo su di essi ma anche su tutte le cose che sono state create in esso»(97).

Nell’antichità, l’accusa di magia fu diffusa e trasversale a diversi gruppi religiosi: fu rivolta dai giudei a Gesù, dai “pagani” ai cristiani e poi agli gnostici (è il caso di Plotino!), quindi dai cristiani agli gnostici e,