La svolta epocale della politica estera degli Stati Uniti è una luce nel buio
di Carlo Rovelli - 12/12/2025

Fonte: Carlo Rovelli
“Dopo la fine della Guerra Fredda, le élite della politica estera americana si erano convinte che il dominio permanente americano sul mondo intero fosse nel migliore interesse del Paese. […] Le élite americane hanno mal calcolato la disponibilità dell'America ad assumersi per sempre oneri globali e […] hanno sopravvalutato la capacità dell’America.” Queste parole non vengono da un post su Facebook di un pacifinto putinista anti-occidentale. Sono parole centrali del recente documento ufficiale sulla “National Security Strategy” del governo dello stato più potente del mondo.
Ci sono aspetti di questo documento che piacciono alla destra europea, non a me. Per esempio sul rischio per la civiltà rappresentato dalle migrazioni in atto. O ancor più sulla feroce opposizione agli organismi sovranazionali. Ma questi aspetti mi sembrano secondari rispetto alla epocale svolta politica rappresentata dal cambiamento dell'obiettivo generale della politica estera degli Stati Uniti. Questa svolta è un raggio di luce nel buio della situazione attuale della politica internazionale. Biden insisteva che il mondo aveva bisogno di essere guidato dagli USA ("The US led world order” erano le sue parole ricorrenti). La nuova amministrazione riconosce che era un errore. Penso che abbia ragione. Perché?
Perché il mondo è a un bivio. Un bivio drammatico. Il progresso economico si è diffuso nel pianeta alterandone in profondità gli equilibri economici. Il blocco occidentale che fino a pochi decenni fa rappresentava tre quarti del prodotto lordo del mondo, ora si è ridotto a meno della metà. Non perché l’Occidente si sia impoverito, tutt’altro, ma perché il resto del mondo, fortunatamente, è cresciuto in economia, istruzione, scienza, successi, fiducia in se stesso, forza. Questa non è una cattiva notizia —il mondo sta meglio— eccetto per coloro che pensano che i privilegi dell’Occidente rispetto al resto del mondo siano diritto divino, da difendere con le armi.
Le possibili risposte occidentali a questo ri-bilanciamento economico globale sono due. La prima è accettare un parallelo ri-bilanciamento politico. Accettare il multilateralismo globale, in cui gli stati occidentali non sono più gli indiscussi padroni del pianeta come lo sono stati più o meno per tre secoli, ma siedono insieme agli altri —forti, ma assieme agli altri— in un consesso di popoli. Questa è ragionevolezza, e questa è la strada che, con lungimiranza, indica la nuova “National Security Strategy” degli Stati Uniti.
L’alternativa, a cui molti a casa nostra restano appesi, è per l’Occidente voler difendere a ogni costo, spesso con guerre ininterrotte come hanno fatto recentemente gli Stati Uniti, il dominio globale dell’Occidente. Questa direzione, senza dubbio, ci porta verso la Terza Guerra Mondiale e un XXI secolo che ripeterebbe le catastrofi del XX secolo: 100 milioni di morti ammazzati, e una continua danza al brivido con la catastrofe atomica.
Come sempre, le scelte politiche si ammantano di ideologia e nobili parole. La Spagna ha invaso il mondo e ha riempito le sue casse d’oro giustificando le guerre di conquista con la necessità di diffondere il Cristianesimo. Le ferocissime guerre Europee che hanno devastato il nostro continente, come la guerra dei Trent’anni, sono state vendute come guerre di religione, dove ogni parte difendeva il “vero Dio” dalle eresie diaboliche della parte avversa. L’intero dominio mondiale dell’Europa, alla radice dell’attuale ricchezza e potere dell’Occidente, è stato giustificato con l’ideologia del Progresso: portare “la civiltà” ai popoli “primitivi”. In nome di questo Progresso, sono stati compiuti innumerevoli genocidi, quasi azzerando la popolazione del contenente americano, e trascinando in schiavitù decine di milioni di africani. Oggi l’ideologia si chiama “democrazia”, una parola vuota, ripetuta alla nausea, ridotta solo a coprire la feroce determinazione dell’Occidente ricco a difendere il proprio privilegio storico. Ma una determinazione miope, più che feroce, perché il ri-bilanciamento economico è già avvenuto, e l’Occidente è a un bivio storico: scatenare l’inferno per cercare di preservare ancora per un po’ il dominio militare e politico sul mondo. Oppure accettare il multilateralismo, le legittime aspirazioni di vastissime aree del pianeta a seguire la loro strada, culturale e politica, senza piegarsi al volere occidentale.
Temevo che la miopia e l’accecamento ideologico delle élite al potere in occidente, troppo abituate a sentirsi —da secoli— padroni e arbitri del mondo, sentirsi legittimati a punire, contenere, imporre il proprio volere con le armi e con la (ora perduta) schiacciante superiorità economica, stessero portandoci verso l’abisso. Con tutto quanto in esso non mi piace, il “National Security Strategy” degli Stati Uniti mi fa pensare che forse non tutto è perduto. Forse qualcuno capace di guardare un po’ più in là del suo naso, nelle stanze dei bottoni, c’è.
Il nostro continente, abituato a godere dei privilegi dei vassalli dell’impero, in cambio solo di una seria rinuncia alla sovranità (basti pensare alle armi atomiche sul nostro territorio che noi neppure controlliamo) e qualche occasionale partecipazione simbolica alle continue guerre imperiali, sta reagendo alla svolta politica americana con sgomento, e in maniera scomposta. Si sente abbandonato dal muscoloso papà, si spaura. Mi sembra una confusione salutare. Invece di trincerarsi dietro l’ipocrisia delle alate dichiarazioni sulla “democrazia” che servivano solo per coprire il gioco sporco del potere, della guerra per le risorse, della difesa dei privilegi (prima difendevamo l’Ucraina come paladini senza macchia e senza paura della libertà e della giustizia, poi quando una soluzione si è prospettata, d’un tratto la questione è diventata “e noi cosa ci guadagniamo?”), cominciamo piuttosto a guardare un po’ più in là del nostro naso, e articoliamo proposte.
L’Europa non ha bisogno degli Stati Uniti. Non ha bisogno di armarsi, tanto meno al livello folle del 5% dei PIL, quando quasi nessuno nel mondo spende a questo livelli, neppure gli Stati Uniti (La Cina spende l'1,6% del PIL per spese militari). L'Europa non ha ragione di avere paura della Russia, che da sempre non cerca altro, talvolta in maniera troppo brusca e scomposta, certo, che un modo di essere invitata a tavola e non essere schiacciata. La Russia è stata ripetutamente attaccata e invasa dall'Europa nella storia (dalla Francia, dalla Germania, persino dagli italiani nella Guerra di Crimea) e non ha mai attaccato l'Europa. Tantomeno si è mai sognata di attaccare un paese Nato: ha attaccato l'Ucraina proprio perché non era nella Nato e per evitare che lo diventasse. L’Europa non ha necessità di “punire” la Russia e sentirsi l’arbitro del mondo.
L’Europa, a differenza degli Stati Uniti, crede nel diritto internazionale, nella legittimità e nel valore prezioso delle istituzioni sovranazionali: dia peso a quelle come il luogo per discutere e implementare la legittimità. Perché non lo fa? Si troverà d’un tratto, forse con stupore, alleata a tre quarti del mondo. L’Europa si adoperi per affrontare in maniera multilaterale, assieme, i problemi veri dell’umanità: evitare e diminuire le guerre, riscaldamento climatico, colossali e crescenti diseguaglianze economiche, povertà estrema che persiste in vaste aree del mondo. Su queste questioni, che sono le questioni importanti per tutti noi, siamo molto più vicini al resto del mondo che agli Stati Uniti.
Usciamo dal delirio “democrazia verso autocrazia”, in un mondo in cui cosiddette autocrazie crescono economicamente molto più di noi, raccolgono più consenso interno di noi, e migliorano la vita dei loro cittadini a livelli mai visti nella storia, e pensiamo al mondo come una comunità di popoli che ciascuno cerca la sua strada come vuole, che talvolta litigano fra loro, ma che che devono imparare a farlo in maniera più civile, senza trucidarsi in continuazione. È una straordinaria opportunità, che il mondo chiede, e che ci aprono i cugini d’oltreoceano

